Pierluigi Pietricola
«Del terrorismo come una delle belle arti»

Tra storia e storiette

Il nuovo libro di Mario Perniola insegue la casualità della letteratura, sospesa tra l'arbitrio kantiano e le gerarchie hegeliane. Ma ormai senza più rapporto con i "classici"

Il nuovo libro di Mario Perniola, Del terrorismo come una delle belle arti. Storiette (Milano, Mimesis, 2016) ha mosso in me una ridda di interrogativi su quali possano essere i destini verso cui la letteratura approderà nei prossimi anni: argomento che, a mio avviso, riguarda la scrittura letteraria nel suo insieme. Definirei questo volume un affresco lucido, ponderato, niente affatto consolatorio ma che non suscita inquietudini, che insegue, analizza e racconta vicende che hanno per protagonista la lenta sparizione del contenuto di un’azione o di una corrente artistica, a favore d’una forma della quale si dispone senza sapere bene perché.

La letteratura e la poesia, invece, partono da una domanda all’antipode di tale concezione: cosa ha determinato ciò che è, che siamo, di cui disponiamo? Dalla metà degli anni Sessanta ad oggi, questo interrogativo è venuto meno. Perniola lo racconta benissimo scegliendo la forma più consentanea: la storietta.

Di definizioni di storietta nel libro se ne trovano parecchie: fili sottilissimi e invisibili che tengono insieme il passato il presente e il futuro purché vi sia qualcuno disposto a raccontare; vicende prive di esemplarità; ciò di cui la Storia si compone; storie di individui non più esemplari; un genere letterario che implica distacco – a prescindere da ciò che lo motiva; una tipologia letteraria dotata di una sua dignità e che ha origine con Talleman des Reaux, Sade e Stendhal; una forma di scrittura che privilegia il presente e che non ama né rievocare il passato in forma nostalgica, né profetizzare un futuro di là da venire; infine, una storia che ha perduto un intimo rapporto con l’universale.

Nel romanzo è vivo un rapporto con l’universale che nella storietta è il lettore a dover percepire e far suo.

Fra storietta e racconto ciò che segna la differenza è la singolarità di un avvenimento. Impossibile scrivere un racconto su tutto ciò che accade: il respiro della sua brevità non lo permette. Diversamente, la storietta può consentirsi di narrare avvenimenti usuali. Singolarmente presa, essa non ha significatività; più storiette messe assieme, possono assumere valore emblematico.

del-terrorismo-come-una-delle-belle-arti-mario-perniolaIo sono persuaso che Perniola avrebbe potuto scrivere la Storia degli ultimi quarant’anni di vita culturale italiana. Non lo ha fatto. Perché?

Una prima risposta la si può trovare nel suo L’arte espansa. Qui si afferma che nell’attribuire a qualcosa un valore artistico o estetico, si presuppone un fondamento metafisico in base al quale si intuisce cos’è arte. La svolta fringe di cui parla Perniola, muove su di un presupposto diverso: è artistico ciò che io, come singolo individuo, stabilisco che lo sia.

In Del terrorismo come una delle belle arti tutto si gioca su due modi di interpretare l’esistente: uno di natura kantiana e uno di stampo hegeliano. Il primo sostiene che non vi è altra autorità da prendere in considerazione se non il proprio intelletto: magnificazione massima dell’individuo come fonte e origine di tutto. La posizione hegeliana, al contrario, afferma che una guida cui fare riferimento si rende necessaria, altrimenti si naviga a vista per poi naufragare irrimediabilmente. Ciascuna storietta oscilla fra queste due concezioni filosofiche. La definirei un’autentica svolta fringe dell’esistere che storicamente ha determinato anche quanto avviene in campo artistico.

Credo che Perniola non sia del tutto a favore né di una concezione fringe né di una assoluta metafisica dell’esistere e dell’operare. Semmai egli propende per una sintesi che dia ragione alla fattualità senza disconoscere ciò che la trascende.

È da questa concezione che nasce la scrittura in forma di storiette. Se Perniola avesse dato vita a un romanzo, ciò avrebbe voluto dire schierarsi dalla parte della posizione hegeliana creando, così, un’autentica aporia – filosofica, oltre che letteraria – nel raccontare un’epoca che ha bandito l’universale sia dal campo dell’arte che dall’esistere. Perniola avrebbe anche potuto manifestare una forte posizione critica nei confronti di quel periodo. Non lo ha fatto perché la storietta non lo consente, e perché ciò avrebbe voluto dire schierarsi a favore della concezione kantiana, e quindi erigersi come unico giudice che stabilisce ciò che è valido da ciò che non lo è. Per di più sarebbe stato fortemente antitetico con le nature di persona e di studioso proprie di Perniola, che ama osservare da lontano, acquisendo ottima visione prospettica su ciò che accade, riflettendo e meditando prima di agire. È da qui che nasce l’esigenza di porre in scena un narratore esterno, conoscitore non diretto dei fatti raccontati, ma che è perfettamente al corrente di quanto accaduto e vissuto dall’autore.

Tutto ciò può far pensare che Del terrorismo come una delle belle arti sia un libro assolutamente razionale. Non direi. Distaccato certamente sì, ma per due ragioni epistemologiche che hanno a che fare da un lato con l’autore e dall’altro col genere della storietta.

Quanto all’autore, egli possiede un modus vivendi tipicamente filosofico che ne L’arte espansa è definito nei termini di osservazione partecipante: riuscire ad estraniarsi da quanto avviene intorno a noi e in noi ma senza rinunciare a partecipare al gioco che è la vita dell’uomo.

Quanto al genere letterario della storietta, essa non può che rinunciare, seppur apparentemente, allo stile enfatico e arioso proprio del romanzo: in primis perché non se ne trarrebbe alcuna interpretazione del proprio presente; in secondo luogo perché, venuto meno un rapporto coll’universale stabilito a priori dall’autore, la storietta non può che presentarsi placida e il più possibile rapida e diretta, affinché sia il lettore a connettere le varie vicende tra loro individuando quel sottile filo rosso che le tiene insieme e che è la Storia.

In che modo tutto ciò può far intravedere un destino, o più destini futuri della letteratura oggi? Scomparsa la potenza simbolica che ha reso e sempre renderà grande la letteratura; venuta meno, nell’uomo a cavallo tra il XX e il XXI secolo, l’attitudine a meditare su ciò che accade per agire con ponderatezza e consapevolezza (si veda, a tal proposito, il volume di Perniola Miracoli e traumi della comunicazione), credo che la letteratura non possa che produrre degli instant-books, cioè libri che mai costituiranno il Catalogo di una casa editrice e che, nel tempo, mai diverranno dei classici. A meno che non si decida di percorrere l’unica via possibile in grado di restituire, tanto ai lettori quanto agli scrittori, una nuova capacità di pensare l’ente – leggi: la realtà –: la storietta.

In tal senso, Del terrorismo come una delle belle arti non è solo una novità nel panorama culturale odierno, ma credo costituisca un punto di partenza dal quale ogni scrittore dovrebbe muovere le proprie considerazioni nella prospettiva di rinnovare il suo lavoro e nella speranza di restituire un futuro letterario migliore di quello attuale.

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Accanto al titolo, “Profili” di Mario Ceroli

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