Raoul Precht
Periscopio (globale)

Cervantes in scena

Da una attenta analisi del teatro di Miguel de Cervantes si intuisce il peso che ebbe la sua "sperimentazione" picaresca, posta sul versante opposto rispetto alla tradizione di Lope de Vega

Nelle celebrazioni di quest’anno (ricorrono quattrocento anni dalla morte, avvenuta il 22 aprile 1616), di Miguel de Cervantes è stato ricordato in particolare e giustamente il Don Chisciotte, fondamentale per le sorti della narrativa perché ha chiuso la stagione dei libri di cavalleria e aperto la strada al romanzo moderno (anche noi ne abbiamo parlato in questa rubrica). Molto meno si è parlato del suo teatro, genere in cui ha raggiunto risultati forse meno innovativi, ma che si legge ancora oggi con grande interesse.

Contemporaneo di Lope de Vega, Cervantes ha sofferto l’enorme fama del “Fénix” e ha finito per ritrovarsi ai margini del circuito teatrale, se non proprio della vita culturale. Molto si è discusso sulla relazione fra il successo del Chisciotte e il relativo insuccesso delle opere drammatiche – per il teatro l’editio princeps è lacunosa e spesso erronea, il che conferma ancora una volta come Cervantes fosse tenuto in grande considerazione per la prosa più che per i versi –, ma è più probabile che l’insuccesso derivi soprattutto dal tentativo di dar vita a una pratica teatrale diversa dalla comedia di Lope. Una pratica a volte più conservatrice, almeno nei mezzi e nelle risorse sceniche prescelte, ma in ogni caso estranea al mondo fittizio costruito dal monstruo de la naturaleza, come lo stesso Cervantes soprannominò il suo rivale.

Nella commedia picaresca Pedro de Urdemalas, per esempio, Cervantes presenta due livelli, quello dei contadini e quello dei nobili, che fra loro non comunicano e sono disposti già nella struttura del testo secondo opposizioni marcate. Il rischio di un incontro-scontro si avrà a causa di due contraddizioni: la bellezza e grazia della gitana Belica, che troppo si discosta dal livello basso, e la gelosia della regina nei suoi confronti, sentimento che mal si addice a una dama così nobile. La frizione fra questi elementi darà luogo a una sintesi che però non farà che confermare la separazione rigida fra le due classi. Ovviamente l’elemento chiave è l’agnizione di Belica, che non è affatto una gitana, si chiama in realtà Isabel ed è nipote della regina, ragion per cui il protagonista Pedro, un piccolo imbroglione che poi diventa attore, non potrà mai conquistarla. Se alla fine della commedia riesce almeno a sfuggire al gretto mondo contadino, Pedro dovrà comunque ridimensionarsi e ripiegare su un’ascesa sociale più limitata tramite il teatro, senza che il mondo sia messo a repentaglio da una mésalliance.

miguel-de-cervantesHijo de la piedra o, si direbbe da noi, “esposito”, cioè abbandonato da piccolo sul sagrato della chiesa, Pedro è una figura topica nell’immaginario spagnolo, tanto che (per citare solo gli autori maggiori) compare come personaggio o è menzionato in opere di Juan del Encina, Lucas Fernández, Lope de Rueda, Andrés Laguna, Tirso de Molina e Quevedo, mentre anche Lope de Vega gli dedica una commedia. Quasi sempre presentato come un picaro (del resto “urdemalas” è per antonomasia colui che ne combina di tutti i colori, che ne ordisce delle belle), qui Pedro diventa esempio e veicolo di alcune delle ossessioni tematiche di Cervantes: il problema dell’identità, l’attrazione per il proteiforme, il bene che si realizza attraverso il male, l’amore per il teatro e la teatralità.

Sotto il profilo tecnico e scenografico, in generale il richiamo a una maggiore umiltà e coerenza si riflette nel teatro di Cervantes nella semplicità delle risorse sceniche utilizzate, in una direzione che sarà poi teorizzata, nel 1617, da Suárez de Figueroa nel suo Passagero. Quest’ultimo farà una distinzione fra comedias de cuerpo, in cui si rappresenta la biografia (o agiografia) dei regnanti e che hanno quindi bisogno di una profusione di mezzi tecnici e di maggiori spese, e comedias de engenio, indirizzate al volgo (che non va troppo lusingato) e basate sulla vivacità del dialogo. Appartenendo a questo secondo gruppo, in Pedro de Urdemalas non v’è traccia degli elementi scenografici per i quali nei decenni finali del XVI° secolo tutti impazzivano. Non ci sono espedienti come la repentina comparsa di attori in scena, né orizzontalmente (tramoya) né verticalmente (pescante). Non ci sono botole sul palcoscenico e gli attori entrano ed escono con una certa naturalezza. Potrebbe esserci stata forse quella che all’epoca chiamavano una apariencia, ossia il disvelamento di attori nascosti dietro una tenda, ad esempio durante il dialogo fra il re e Silerio, quando il re interrompe le lodi di Belica per ascoltare il romance composto sui suoi amori. In generale, tuttavia, le “macchine” teatrali di cui si serve Cervantes sono di stampo medievale. In altre parole, il Nostro aveva scarsa familiarità con gli strumenti creati proprio in quegli anni in primo luogo da illustri ingegneri italiani, e non avrebbe saputo come utilizzarli. In compenso, disponeva di un’enorme capacità di percepire la scena, di visualizzarla, di rendere con minuti dettagli il tono dell’ambiente raffigurato.

Tuto ruota quindi intorno alla figura del picaro divenuto attore, e di questa preminenza del motivo dell’attore c’è un’altra ragione importante: Cervantes scrive infatti la sua commedia per un interprete ideale, un celebre guitto suo amico, nel quale si può immaginare che confidasse per uscire dal ghetto in cui la supremazia territoriale di Lope l’aveva relegato. L’amico, Nicolás de los Ríos, secondo ciò che se ne sa era un tipo ancor meno prudente di Pedro. Nato a Toledo, ha spesso qualche problemino con la giustizia por varios excesos, tanto che nel 1601, a Valladolid, gli viene addirittura impedito di esibirsi, ma è al tempo stesso una figura di attore-regista nota e celebrata, al punto da comparire quale personaggio del Viaje entretenido di Agustín de Rojas Villandrando, opera che avrebbe ispirato il Roman comique di Scarron, Capitan Fracassa di Gautier nonché La vita è sogno di Calderón e La bisbetica domata shakespeariana. È molto probabile che Cervantes intendesse persuadere l’amico a rappresentare la commedia, ma il progetto andò in fumo per l’improvvisa morte dell’attore, per un colpo apoplettico avvenuto il 29 marzo 1610. In seguito, Cervantes ritoccherà ancora la sua commedia, che nel 1611 sarà pronta; solo che in scena non la metterà nessuno. Vale qui ancora una volta ciò che si suol dire di tutto il teatro cervantino: che alla fine sia stato pubblicato proprio perché nessuno lo rappresentava.

Rispetto a Lope, Cervantes mostra un atteggiamento più critico nei confronti della struttura economica e sociale dell’epoca e dell’irreversibile decadenza che la Spagna cominciava ad attraversare. Non dimentichiamo che alla fine del ‘500 gran parte della popolazione era sotto la soglia di povertà. Pedro de Urdemalas si chiude con un universo aperto di possibilità, che denota dinamismo sociale e si oppone alla restaurazione e all’esaltazione dei valori di casta propugnate nei fatti dalla comedia lopesca. Rimettendo in discussione la formula drammatica dell’arte nuevo de escribir comedias, che mirava a confondere teatro e realtà sociale, Cervantes indica come la trasformazione di Belica da gitana a nipote della regina sia qualcosa che può avvenire solo sul palcoscenico, mai nella realtà di tutti i giorni.

L’ascesa sociale, peraltro frenata, di Pedro potrebbe far supporre che Pedro sia stato l’oggetto di un processo d’integrazione e che la sua ribellione nei confronti dello status quo sia stata neutralizzata. Ma la sua trasformazione dev’essere letta alla luce del concetto barocco di disinganno che l’idea della realtà come sogno, teatro e finzione comportava. A differenza del teatro lopesco, il disinganno non produce però qui una rinuncia passiva, ma un adeguamento attivo, e l’unica possibilità di sviluppo del personaggio, come dell’identità sociale, è data dall’elaborazione di nuove strategie nei confronti del mondo esterno. Si tratta pur sempre di una società, ricordiamolo, in cui solo combinandone di cotte e di crude c’era forse modo di scrollarsi di dosso il peso della propria nascita. E il mondo sarà pure cambiato, all’apparenza, ma quattrocento anni sembrano essere passati davvero in un soffio.

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