Il nostro inviato al Lido
Villeneuve batte Wenders
Wim Wenders torna a lavorare con Peter Handke: ne è venuto un film lento e incomprensibile. Tutto il contrario della fantascienza un po' pazza di Denis Villeneuve
Bei tempi quando il nostro amatissimo Wim Wenders ci raccontava storie e non le faceva raccontare a degli attori che ne raccontano una già raccontata chissà quante volte, quella che racconta la distanza incolmabile tra il sentire maschile e il sentire femminile. Les beaux jours d’Aranjuex nasce da una nuova collaborazione con Peter Handke e se non altro conferma il continuo arricchimento dei procedimenti narrativi del regista tedesco, che qui utilizza anche il 3d, del quale francamente non si intuisce l’utilità. Visto questa mattina in sala Darsena abbiamo toccato con mano la potenza soporifera della pellicola, sentendo qualcuno pronunciare argutamente «bel regista questo Wenders… sembra che non dica niente e invece dice tutto», temiamo però che Wenders non abbia una Flaminia Zagato.
Per continuità motoristica parliamo di un altro film in concorso, Arrival, diretto da quel genialoide di Denis Villeneuve. Storia di fantascienza, con tanto di dischi volanti enormi e oblunghi, alieni grandi grossi brutti e non cattivi. Molto interessante l’approccio del regista de La donna che canta, all’importanza del linguaggio ritenuto più importante della scienza nel primo contatto con civiltà e mondi a noi sconosciuti. Funziona benissimo anche la struttura circolare della narrazione, che chiude in maniera esemplare anche quelle propaggini della storia che sembrano non avere senso. Credibili, e non è così sconatato in un film di genere come questo, le interpretazioni di Amy Adams e Jeremy Renner, protagonisti di una relazione che, ci suggeriscono, va vissuta, anche nella sua ineluttabile drammatica conclusione.