A proposito di "Indaffarati"
Dalla parte dei figli
Filippo La Porta cerca di tracciare la frontiera fra i comportamenti inutili e nevrotici con quelli validi e pieni di senso che caratterizzano una generazione perennemente "connessa"
Michel de Montaigne a 36 anni nel 1570 si ritirò nelle sue terre dedicandosi agli studi ed alla meditazione. In questo “buen retiro” nacquero i famosi Saggi, una summa di riflessioni sulla cultura, sulla vita e sul mondo. Io credo che Filippo La Porta abbia fatto, parecchi secoli dopo, qualche cosa del genere, avendo oramai superato i sessanta anni. Non recandosi nella sua villa in campagna – non so se ne abbia – ma prendendo posto al mattino ad un tavolino del bar del rione Testaccio di Roma per riflettere sulla vita, sulla cultura contemporanea e sul mondo. Da queste riflessioni io credo sia nato il pamphlet Indaffarati (Bompiani, 180 pagine, 12 Euro), un libro di riflessioni sul «mondo che si sta smantellando», sul presente e il vorticoso futuro nel quale siamo incappati.
Di mattina, al Testaccio, vi transitano pensionati, mamme e bambini: il mondo frenetico si prende una pausa, è possibile leggere un libro o scrivere qualche pagina in santa pace in un bar, respirando quel clima vivace e pieno di echi profondi che caratterizzano il quartiere. Infatti, qui vi sono i cocci delle anfore della navi romane, mischiate al mercato di frutta, si mescolano cucine tipicamente romanesche con ristoranti vegani, è il cuore della tifoseria romanista ma anche il quartiere più cosmopolita e “intellettuale” che io conosca, con biblioteche, teatri, cinema a portata di mano. Insomma un ottimo posto per osservare il mondo.
E il mondo, in questo libro, è osservato, incalzato con brio e acume, partendo da due “figure” generazionali: i figli ed i libri. Figure che hanno molto in comune e che in qualche modo sono in mezzo alla catena generazionale; pertanto, riflettere su di loro significa riflettere sul passato e sul futuro.
Questo è il lietmotiv del libro: quali figli abbiamo partorito e quali comportamenti essi adottano per stare al mondo. Quanto dei loro linguaggi riusciamo a capire e quanto del nostro mondo abbiamo loro trasmesso. Alla stesso modo, quali libri sono stati importanti nel “secolo breve” e quali strumenti abbiamo oggi per capire quello che ci sta arrivando addosso. Tutto questo sapendo che «la cultura è impotente e a volte perfino complice con l’inumano». Perché il problema che si pone ancora oggi è questo: cosa salviamo del passato, o meglio della cultura umanistica dopo due guerre mondiali, la Shoah, la bomba atomica, la rivoluzione tecnologica, la globalizzazione dell’economia, della tecnologia e dell’inquinamento?
Perché quello che salveremo sarà ciò che riusciremo a trasmettere ai nostri figli, come quello che metteremo da parte sarà quello che non scriveremo sui libri.
La Porta non da risposte definitive – népuò darne – ma pone molte domande, che possono essere quelle di tutti noi. Innanzitutto quelle rivolte ai figli: è proprio vero che essi sono incolti perché leggono poco? Oppure sono portatori di nuovi linguaggi e valori, attraverso i quali raccontano il mondo nel quale vivono? E la lettura, mantra ossessivo della nostra gioventù, è proprio quel sano esercizio che conforta e irrobustisce il cuore di ognuno?
All’inizio, l’autore racconta un aneddoto nel quale, dopo una cena a casa con un amico, il figlio ventenne osservava non tanto il valore delle idee dell’ospite ma la passione e l’autenticità con le quali le aveva esposte. Questa riflessione mi sembra molto pertinente, perché sul tema dell’autenticità e della passione anche io avrei molte cose da dire. Credo pure io che la verità sia sempre figlia della passione, come l’autenticità sia il risultato di un prolungato esercizio critico. L’autenticità non è solo chiarezza intellettuale ma anche valutazione di quanta parte di te stesso metti nelle parole che pronunci. Ho sempre pensato che ognuno di noi si deve guadagnare il significato delle parole che usa, perché spesso c’è la tentazione di dare molti valori alla stessa parola (o allo stesso gesto) e lo sforzo che si fa per dare un “senso compiuto” alle parole usate impegna sia la mente che il corpo di una persona. E se la mente è capace di ingannare se stessa, questo non può farlo il corpo, perché il valore di quello che uno dice è dato dal peso delle azioni fatte, da quanto di sé è riuscito a mettere nelle parole e nei gesti compiuti nel passato.
Del valore dell’autenticità sono piene le domande dei giovani, alla disperata ricerca di qualcuno o qualche cosa alla quale affidarsi, perché il mondo nel quale vivranno non solo «è grande e terribile», come diceva Gramsci, ma difficilissimo da capire, come diciamo noi oggi. Insomma abbiamo messo in moto meccanismi profondi che non riusciamo più a controllare, forse perché abbiamo dimenticato le parole magiche che usavamo una volta o perché la magia non basta più per capire il mondo.
I rapporti fra le generazioni sono stati sempre complicati, ma nel nostro caso la complicazione ha caratteristiche diverse, quello che La Porta chiama «essere sempre indaffarati». Essere indaffarati significa «essere sempre connessi» con qualche cosa o qualcuno, avere sempre le mani occupate e la bocca piena con qualche cosa, ma può significare anche vivere consapevolmente il proprio presente, partecipare gioiosamente e con vigore alla vita della comunità. Ed è proprio la frontiera fra i comportamenti inutili e nevrotici con quelli validi e pieni di senso che interessano l’autore. E fra questi vi è la lettura dei libri.
In pieno consumismo anche i libri si possono consumare come pop-corn al cinema, mangiando mentre si guarda una pellicola. La bulimia della lettura è l’altro volto dell’anoressia delle parole. Nelle pagine intitolate “La lettura non è un valore in sé” La Porta passa in rassegna i pro ed i contro legati a questo esercizio che una volta ritenevamo sublime cibo della mente, per concludere che forse oggi le più autentiche pratiche di lettura si possono trovare negli anonimi “gruppi di lettura” che nascono da ogni parte, grazie anche alla possibilità di connettersi con la rete. Insomma questo libro cerca di aprire con il punteruolo della ragione ma soprattutto con quello dell’ironia le valve più tenaci di quelle ostriche cresciute sullo scoglio della tradizione umanistica negli ultimi secoli, per vedere se in esse c’è qualche perla da recuperare e infilare nella collana da affidare al futuro dei nostri figli. Una tradizione che spesso cambia forma, presentandosi a volte come futuro a volte come passato, fino a scomparire del tutto quando non sappiamo cosa dobbiamo cercare.
I Saggi di Montaigne sono volumi corposi e impressionanti per saggezza ed acume, il pamphlet di La Porta è molto più agile e “intrigante”. Che cosa hanno in comune i due autori è presto detto: fare il punto della situazione nella quale si è giunti, guardarsi attorno dal buen retiro di una villa o dal tavolino frettoloso di un bar. Le risposte naturalmente sono diverse, ma l’esercizio vale la pena sia praticato da ognuno di noi. Sapendo che se noi siamo davvero nani sulle spalle dei giganti, ebbene a volte è molto faticoso scrollarsi di dosso il peso dei giganti, soprattutto quando essi sono caduti per terra per inerzia, consunzione o semplicemente perché erano stanchi di tenerci sulle spalle e si sono sdraiati per terra, per mettersi a dormire.