Simona Negrelli
Al Teatro Auditorium di Arcavacata

L’armonia di Nekrosius

Il regista lituano Eimuntas Nekrosius conclude il suo lavoro sulla Divina commedia mettendo in scena il Paradiso. Un'elegia scenica centrata sull’idea di armonia e coralità

Ai tempi della scuola, il momento in cui il professore d’italiano chiedeva di tirare fuori la Divina Commedia era tra i più temuti, gli occhi si alzavano al cielo in segno di insofferenza e giù a sbuffare, come sempre accade quando una cosa la si deve fare per forza, mentre gli ormoni impazziti per la pubertà ti vorrebbero condurre chissà dove, chissà con chi. Riprendere quel poema in mano in età adulta aggiunge senso là dove non se ne trovava. Vederlo rappresentato a teatro, poi, è un’esperienza unica, almeno se a metterlo in scena è Eimuntas Nekrosius. Il regista lituano aveva dedicato la prima parte del progetto a Inferno e Purgatorio insieme, ben quattro ore di uno spettacolo che aveva fatto storcere il naso a più di un critico. La seconda parte, ben più snella, dedicata al Paradiso, è andata in scena al Teatro Auditorium dell’Università della Calabria, ad Arcavacata (Cs), all’interno della stagione curata dal Centro arti musica e spettacolo. Un lavoro in cui il gesto e la musica prevalgono sul testo, pure presente in alcune terzine dantesche, pronunciate in lituano, con sopratitoli in italiano.

L’operazione ad alcuni spettatori è sembrata ostica, a tratti ermetica, eppure solo una rappresentazione antinaturalistica, visionaria e onirica, ricca di rituali e simbolismi, poteva tradurre in scena il lirismo e gli elementi figurativi presenti nella cantica dantesca più dottrinale, a tratti persino didascalica.

L’esposizione dei principi della religione cristiana, l’invettiva contro le gerarchie ecclesiastiche corrotte, l’elogio dell’istituto imperiale non trovano spazio in questo spettacolo emozionante incentrato sull’idea di armonia e coralità. Gli attori della compagnia Meno Fortas che interpretano le anime dei beati intonano canti (brani classici e persino Wish you were here dei Pink Floyd) e si muovono come un ingranaggio perfetto (Dante stesso aveva suggerito l’immagine di un orologio), spesso segnando dei cerchi, simbolo ricorrente in tutto il poema, che segue una struttura precisa e simmetrica, a rappresentare quello che si riteneva fosse l’ordine divino. Al centro di tutto stanno Dante e Beatrice (interpretati da Rolandas Kazlas e Ieva Triskauskaitè) e la loro estasi di fronte alla luce celestiale. Le corde tese sul palco suggeriscono bene i raggi di questa luce.

paradiso nekrosius2Un altro simbolo è quello dell’acqua, che in Dante rappresenta purezza e oblio, a cominciare dal fiume Lete che lava dai peccati. Durante lo spettacolo il suono del suo scrosciare è spesso presente, gli attori ne bevono dai calici, fino a intonare un canto come fossero gargarismi. Nekrosius inserisce qualche elemento di comicità lieve che non intacca la tensione spirituale dell’opera, quella che porta gli attori a disfarsi dei propri oggetti, collane, specchi, libri. Forse un duplice simbolo, questo: le anime per salire in Paradiso hanno bisogno di spogliarsi della propria sostanza terrena, certo, ma che anche Nekrosius si stia liberando di quello che ha caratterizzato, finora, la sua cifra stilistica, gli oggetti, appunto, che negli spettacoli precedenti assurgevano quasi al ruolo di personaggi? Di sicuro c’è che l’argomento biblico del suo ultimo spettacolo, Il libro di Giobbe, dimostra un ulteriore interesse spirituale del regista. E che “Il Paradiso c’è”, come ammonisce il sopratitolo finale dello spettacolo dantesco. A ciascuno il compito di trovare il proprio.

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