Every beat of my heart, la poesia
Scavi sull’essere
Una dedica di Alfonso Gatto a Mario Napoli, lo scopritore del Tuffatore di Paestum e di Elea-Velia, in calce a una sua poesia sulla figura del padre. Così si conclude l’omaggio all’archeologo Mario Napoli
Continua la “Napolineide”, permettetemi questa giocosa citazione che certo Francesco Napoli, il critico letterario figlio dell’archeologo, non disdegnerà, e su cui anche il protagonista, da quanto mi risulta, avrebbe sorriso. Napolineide, piccola ma densa epopea incentrata sulla Tomba del Tuffatore, capolavoro di arte del quinto secolo a.C. – e, secondo lo scopritore, Anita Seppilli, Roberto Mussapi, Teresa Maresca, Giuseppe Ungaretti e altri happy few – di tutti i tempi. E incentrata quindi sulla figura del suo scopritore. Mario Napoli, che inoltre portò alla luce, come i nostri lettori hanno riscoperto, la città di Velia e la Porta Rosa. Un grande dell’archeologia, inscindibilmente legato all’arte, antica e contemporanea, e alla poesia. Amico di pittori e poeti. Abbiamo, letto, dopo il mio omaggio al Tuffatore (omaggio estatico, post-visione), la poesia di un suo visitatore che divenne amico, Giorgio Bassani. Oggi una lirica a lui dedicata da Alfonso Gatto, uno dei grandi poeti del Novecento, che, grazie a Francesco Napoli e al sottoscritto, è stato anni fa sottratto all’indegno oblio e riportato alla luce che gli spetta.
Un’intensa preghiera laica del Novecento scritta da Alfonso Gatto negli anni più bui della Seconda Guerra mondiale, a poco più di dieci anni dalla morte del padre. Un ripensamento della figura paterna di un poeta che, come quasi tutti fino a allora, aveva messo al centro del suo ideale pantheon familiare la madre.
Con Mario Napoli si conoscono nella Salerno degli anni Sessanta, nelle fervide sale della Galleria d’Arte il Catalogo della cittadina campana. Un’amicizia forte ed empatica tra un poeta-pittore quale era Gatto e un soprintendente archeologo grandemente attratto dalla forza della poesia (ha scritto versi giovanili gelosamente custoditi nell’archivio famigliare) e incline all’arte figurativa (per anni a Napoli aveva insegnato all’Accademia di Belle Arti). Una sintonia che ha un limpido riscontro nella dedica che Alfonso Gatto appose nell’aprile del 1964 nel consegnare nelle mani di Mario Napoli copia fresca di stampa delle prose di Carlomagno nella grotta. A Roma, in casa del poeta, s’incontrarono e lui scrisse: «Al prof. Mario Napoli questo libro di “scavi” sull’essere e non essere meridionale dedica con affetto l’“oscuro” autore Alfonso Gatto».
A mio padre
Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l’ombra
azzurra già che sembra primavera,
per dirti quanto è buio il mondo e come
ai nostri sogni in libertà s’accenda
di speranze di poveri di cielo
io troverei un pianto da bambino
e gli occhi aperti di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.
Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.
Ora alla terra è un’ombra la memoria
della tua voce che diceva ai figli:
– Com’è bella la notte e com’è buona
ad amarci così con l’aria in piena
fin dentro al sonno – Tu vedevi il mondo
nel plenilunio sporgere a quel cielo,
gli uomini incamminati verso l’alba.
Alfonso Gatto
(Da La storia delle vittime, Milano, Mondadori, 1966;
nell’immagine di apertura: Teresa Maresca, particolare dal “Tuffatore”)