Grandioso omaggio allo scultore polacco
Ikaro a Pompei
È di quelle da non perdere assolutamente la mostra che propone i colossi di Igor Mitoraj tra le rovine di Pompei: un gioco di rimandi tra mito e arte, nel segno della spettacolarità creativa
«Amo da sempre la dimensione del sogno, che ricorre spesso nelle mie opere. Lo spazio del sogno è quello che prediligo perché è libero da tutti i disturbi della vita quotidiana, è il luogo dove le idee arrivano inaspettate, con leggerezza e profondità. È qui che mi sento veramente libero, tutta la mia arte è intrisa di sogno e se riesco a far sognare gli altri con il mio lavoro, sono felicissimo. Il mio desiderio più grande sarebbe quello di plasmare, tramite l’arte, i nostri eroi. Perché non li abbiamo più. E perché ci mancano. Ma penso a dei ed eroi che non hanno vinto le battaglie, ai perdenti, perché il vero eroe è quello che sa perdere. Per questo nelle mie sculture creo sempre dei guerrieri che recano evidente il segno della ferita». Ravello, marzo 2012: Igor Mitoraj si racconta a Paola Nicita – il testo sarà inserito nel catalogo della mostra La memoria del futuro – un percorso emozionante tra le sue colossali sculture ex voto incastonate tra i giardini di villa Rufolo e l’auditorium Niemeyer.
Simulacri di una classicità eterna, icone ferite, mutilate nella loro arcana perfezione. Si innalzano lente e solenni, come se uscissero da un tempo in cui anche il nostro tempo è già trascorso. Bussole che ci indicano la direzione possibile di un viaggio sulla rotta del sogno alla ricerca della bellezza e dell’armonia perdute con l’illusione di una loro possibile rinascita. Dall’antichità al contemporaneo, tra sacro e profano in un continuo dialogo con l’umanità. E’ stata l’ossessione dell’artista franco-polacco, per scelta italiano nella Pietrasanta di Michelangelo, scomparso il 6 ottobre scorso a Parigi. Il sogno più bello, rincorso per una vita, allestire i suoi lavori negli Scavi di Pompei, l’ha sussurrato da un letto d’ospedale allo scultore Luca Pizzi, suo collaboratore da vent’anni e compagno nei difficili, a volte contestati, allestimenti in siti archeologici come la Valle dei Templi d’Agrigento (2011) e i Mercati di Traiano a Roma (2004): «Te ne devi occupare tu».
Mitoraj è vivo, in quel sogno che è diventato collettivo: dal 14 maggio i suoi eroi e semidei sono discesi dall’Olimpo per popolare le strade, le case e i templi della città vesuviana distrutta dall’eruzione tsunami del 79 d. C. Uno spazio espositivo unico al mondo per questa mostra postuma che si annuncia tra le più belle del 2016 e che potremo ammirare fino a gennaio 2017. Trenta effigi di bronzo, alte cinque metri, distese al suolo, quasi emerse dalla terra, o protese ad abbracciare il cielo dal quale sono precipitate come un passato remoto che si innesta nel contemporaneo. Apparizioni, sembra che siano sempre state lì, ma solo ora ce ne accorgiamo, si fondono e confondono nel paesaggio, risvegliano le rovine come attori che si muovono in un teatro fuori dallo spazio. Sono quadri visivi, il racconto di un Mediterraneo classico, evocato con malinconica nostalgia ma senza paura di sporcarsi col presente, ripercorso per comprendere meglio l’oggi, vissuto come sfida per ridisegnare il domani. Assenze che si fanno presenze – e il luogo contribuisce a restituirne intatte la fisicità – si materializzano al nostro sguardo suscitando meraviglia e stupore.
E meraviglia e stupore si sono letti nello sguardo del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, primo Capo dello Stato in mezzo secolo a visitare l’area archeologica di Pompei, che sabato scorso ha inaugurato Mitoraj a Pompei, accompagnato dal ministro ai Beni culturali, Dario Franceschini, dal governatore della Campania, Vincenzo De Luca, e dal direttore generale della Soprintendenza Massimo Osanna. La pioggia non l’ha fermato, è rimasto rapito dal fascino dell’Ikaro screpolato e dell’Ikaro Blu, vera star, in due giorni il più gettonato dai turisti. «Questa mostra – ha commentato – è una straordinaria combinazione tra antichità e contemporaneità; una città di duemila anni fa ed un artista dei nostri tempi le cui opere a Pompei sembrano nella loro collocazione naturale, segno che la cultura non ha tempo né steccati. L’unico rammarico è che Mitoraj non abbia potuto vedere realizzato questo sogno».
Una giornata importante, che testimonia un nuovo corso, con un Paese che vuol scrollarsi di dosso quel “Vergogna” urlato da Giorgio Napolitano, appena qualche anno fa, nel pieno della stagione dei crolli e del degrado di un sito patrimonio dell’umanità, divenuto sinonimo di negatività. L’epoca dei tagli alla cultura è un triste ricordo, i finanziamenti oggi ci sono, il bilancio dei beni culturali è aumentato del 36 per cento rispetto al 2015 con investimenti fino a due miliardi, il primo maggio – lo sottolinea Franceschini – il Cipe ha individuato più di 33 grandi progetti italiani che da anni aspettavano risorse, e tra questi c’è Pompei con i suoi 43 cantieri completati, altri 27 in corso e la sfida di rilanciare le aree interne del parco archeologico, tre milioni di visitatori nel 2015 e la tendenza è in aumento. «Ogni investimento in cultura – proclama Mattarella – è ben speso, perché è un investimento nel Paese che crea ricadute di crescita e di economia. L’Italia ha il più grande patrimonio artistico al mondo, tutelare e valorizzare è un dovere sia nei confronti della nostra storia che del nostro futuro».
La memoria come strumento di riappropriazione culturale e presupposto indispensabile per ogni nuova conquista. Mitoraj a Pompei, l’immersione nel mito da lui stimolata, diventa lo slogan della Pompei che rinasce, che si fa contaminare dai linguaggi del contemporaneo, che da città-museo si trasforma in qualcosa di vivo per attrarre i turisti, utilizzando come biglietto da visita nomi di artisti internazionali. «Ho incontrato Mitoraj nel suo laboratorio-cantiere di Pietrasanta – ricorda Franceschini – Conversammo circondati da volti enigmatici, busti mutilati, giganti feriti in grado di ricordare la nostra fragilità umana. Mi disse di avere un sogno, una grande mostra a Pompei, e mi indicò anche i luoghi dove sistemarla». Ed ecco finalmente i suoi colossi collocati in un luogo così fragile. Merito non solo dello Stato che ha superato lungaggini e intoppi burocratici, ma anche della Fondazione Terzo Pilastro con il coordinamento di Stefano e Roberto Contini della Galleria d’Arte Contini e sotto la direzione artistica di Luca Pizzi dell’Atelier Mitoraj di Pietrasanta. Mentre Emmanuele Emanuele, presidente di Terzo Tempo, rivendica il suo impegno col finanziamento di trecentomila euro.
«A Pompei – scriveva nel 1852 Théophile Gautier – due passi separano la vita antica dalla vita moderna». Una frase che sembra racchiudere la sfida di Mitoraj, il dialogo silenzioso che ha intessuto con la solennità delle architetture romane e le figure che ha creato da novello Dedalo, il mitico padre della scultura. Il Dedalo posto su un basamento del Santuario di Venere, all’inizio del percorso monumentale – imbracato e spettacolarmente calato dall’alto con una gru di 75 metri perché i camion non possono entrare negli scavi – oggi si presenta come l’autoritratto di un uomo ossessionato dalla saga di Icaro e dal desiderio di poter volare oltre l’orrore di un secolo, il Novecento, segnato dalla violenza. «A Pompei non ci sono solo le sue opere ma la sua storia – fa notare Richard Cork, curatore del catalogo – Nato nel 1944 a Oederan, nella Germania nazista dove il padre, francese, era prigioniero di guerra e la madre, polacca, deportata, Igor tenne vivi a lungo quei ricordi, i bombardamenti, l’infanzia vissuta sotto il regime sovietico».
Le ferite della sua anima sono le cicatrici tatuate nelle sue opere. La classicità è il volo, la leggerezza, «la vittoria della bellezza – osserva il critico Gabriele Simongini – nei confronti degli oltraggi del tempo». Morte e rinascita. Corpi levigati, ma sempre lacunosi, mancanti di parti, tagliati da nicchie contenenti frammenti di altre immagini, spiazzanti. Un torso alato forse di un guerriero. Un Centauro svettante dalla testa mozza, la maschera a pezzi del Centurione a guardia delle Terme Stabiane dove tre giovani Pompeiani sono saldati sulla sommità di una colonna, non in una fuga ma fieri nell’affrontare la pioggia di lapilli che sommergerà la città. Sulle colonne della Basilica si guardano i gemelli Ikaro e Ikaria, lei priva di testa e braccia, il seducente corpo alato pronto a spiccare il volo, ma trattenuta a terra da una mano maschile che le stringe la caviglia. Ecco nel Foro l’Ikaro blu giacente al suolo, braccia e gambe recise, le ali spezzate, doloroso e drammatico. È il prezzo della libertà, che, citando Giovanni Testori, nell’insegnamento di Cristo «non può pagarsi che attraverso le ferite, le spine, i tagli e il dolore della croce».
Ad altre suggestioni invita la passeggiata tra le rovine pompeiane. In questo Grand Tour del terzo millennio ci accolgono i profumi e le atmosfere della Pompei lussoriosa e opulenta di prima dell’eruzione del Vesuvio. Ci sono gli odori dei giardini ricostruiti, limoni, ulivi, palme che adornano le domus riaperte da marzo: quella di Giulia Felice, del Frutteto, della Venere in Conchiglia, di Marco Lucrezio e di Octavius Quartius, fulcro della mostra Natura e Mito, visitabile fino a giugno. C’è, nel Tempio di Iside, la mostra egizia con i reperti giunti da Torino. C’è Villa Imperiale, arredata com’era prima che la lava la seppellisse. Ci sono allestimenti multimediali, piatto forte delle visite serali che dureranno fino al primo ottobre. E, da appuntare in agenda, i concerti evento di David Gilmour, storico chitarrista e cantante dei Pink Floyd, il 7 e l’8 luglio, del mitico Sir Elton John il 12 e del pianista cult Ludovico Einaudi il 13.