Nicola Bottiglieri
I miti classici e la nostra storia

I Bronzi migranti

Da culla che era, il Mediterraneo è diventato un muro tra le culture. Al punto che i Bronzi di Riace potrebbero ben essere dei guerrieri migranti morti in un naufragio...

Per rispondere alla domanda se i classici abbiano un futuro, dobbiamo partire dalla constatazione che questi (intesi nel senso più ampio, come quel patrimonio culturale e quella civiltà che si sviluppò prima in Grecia e poi nell’impero romano) hanno accompagnato la costruzione dell’Europa, e la sua espansione nel mondo. In questi due millenni, dalla caduta dell’impero romano fino a noi, i classici sono stati un linguaggio vivo e inesauribile che ha accompagnato e spesso modellato i grandi cambiamenti culturali. Nel Medioevo furono cristianizzati (basti pensare al Virgilio di Dante), nell’umanesimo furono le radici dalle quali fiori il Rinascimento, nel barocco fu una presenza costante, fino al neo classicismo ed al secolo XX, quando entrano perfino nelle avanguardie, come recita una mostra che si tiene a Ravenna dal titolo “La seduzione dell’antico”.

Il neo classicismo rimodellò l’idea dell’Europa. Il nostro continente fu visto come una grande Grecia, dove Berlino prendeva il posto di Atene e la contrapposizione fra greci e barbari fu vista non solo nei confronti degli arabi (da qui l’orientalismo) ma sopratutto verso gli africani, la barbarie per eccellenza che bisognava prima distruggere e poi colonizzare.

ll colore bianco delle statue greche (teorizzata da Johann Joachim Winckelmann e perpetuato nei calchi in gesso delle accademie, visibili pure nella Facoltà di Letras dell’Università dell’Avana), offriva un supporto ideale per la leggenda della “superiorità” germanica. Il colore bianco delle statue neoclassiche non era visto come la somma di tutti i colori, ma come sterilizzazione dei colori, il bianco come candore, come purezza indice di una superiorità spirituale. Superiorità spirituale che con il tempo si trasformò in superiorità razziale. Ed è interessante ricordare che anche nel ventennio fascista continuò questa predilezione per il colore bianco in architettura, come si evince dall’uso del travertino e dei marmi bianchi nella scultura monumentale del Foro Italico a Roma. Per i neoclassici, le statue greche dovevano essere bianche, perché quelle colorate appartenevano al cattivo gusto dei popoli barbarici del Vicino Oriente, che nulla avevano in comune con il mondo greco.

In realtà l’arte greca era più barbara di quanto i neoclassici pensassero, in quanto le loro statue erano tutte colorate, come si evince dai ritrovamenti che vennero fatti nel 800 ma anche e dalle analisi chimiche più moderne. La qual cosa, ossia la contaminazione fra scultura e pittura, offre al nostro immaginario una visione più moderna dell’arte greca, che curiosamente si avvicina alle ibridazioni del mondo latinoamericano.

Dice Carlos Fuentes che nel secolo XX, per legare l’esperienza nazionale latinoamericana a quella del mondo intero, viene preso a prestito il linguaggio universale del mito. I miti greci diventano perciò l’oceano nel quale confluiscono i fiumi di tutte le nazioni, il grande mare dove navigano le barche di molti scrittori. Insomma, la carne e il sangue saranno presi dalla storia dell’America, ma la lingua che essi parlano è quella universale dei miti greci, fonte inesauribile della cultura latinoamericana. La letteratura latinoamericana, attraverso il meticciato ed il sincretismo culturale, si riallaccia non alle idee neoclassiche, bensì a quelle più moderne delle “rovine” viste come punto di partenza di una elaborazione letteraria, (è il caso di Bomarzo di Mujica Lainez) oppure che vedono il mondo greco contaminato da quello dei barbari, ossia da quelli che stanno scoprendo che le statue greche erano dipinte, e che nella società greca vi erano contaminazioni culturali più forti di quanto si pensi. E l’esempio più evidente di opera latinoamericana contaminata è quella di Derek Walcott Omeros, che ha fuso insieme l’Iliade e l’Odissea, ambientandola appunto nei caraibi. Un testo scritto in lingua inglese.

Non possiamo fare riferimento a quanti hanno riscritto il mito di Ulisse in America Latina, figura che può essere vista come il paradigma del rapporto tra America ed Europa. Basti ricordare Pablo Antonio Cuadra, Luis Borges, Alejo Carpenier, Ruben Dario, Leopoldo Marechal e molti altri ancora, tuttavia per chiudere questa riflessione voglio solo riportare la definizione di mediterraneo tropicale di Carpentier.

«In definitiva – dice Carpentier – latinità non significa purezza di sangue, come era solito affermare con una terminologia antiquato il Santo Uffizio. Tutte le razze del mondo antico si sono mescolate nella straordinaria conca del Mediterraneo, madre della nostra cultura. Straordinario talamo rotondo è stato il Mediterraneo, in cui i romani si sono fusi con gli egiziani, i troiani con i cartaginesi, dove Elena stessa conobbe uomini di pelle più chiara. Svariati sono stati i capezzoli della lupa di Romolo e Remo. Dire latinità significava dire meticciato e tutti eravamo meticci in America Latina; tutti avevano del nero e dell’indio, del fenicio o dell’arabo, dell’andaluso o del celtibero con un poco di lozione Walker per rendere lisci i capelli, una verità nascosta nelle segrete casseforti della famiglia».

Ebbene, questa definizione affascinante oramai è divenuta obsoleta. Il Mediterraneo, con l’affluenza di centinaia di migliaia di migranti non è più un talamo rotondo ma è divenuto un muro insormontabile. Non è più un mare nostrum ma un mare monstrum, ed è un mare divenuto muro. Oggi, sotto la spinta di questa massa umana, il concetto di Europa si sta sgretolando, e con esso quello di latinità. I classici avranno un futuro se terranno conto di questi sconvolgimenti, perché il Mediterraneo sta cambiando e con esso la cultura che racchiude.

Oggi grazie all’esperienza storica delle migrazioni, possiamo anche immaginare che le statue del bronzi di Riace altro non sono che i corpi di due guerrieri che fuggivano dai luoghi dove erano nati e forse volevano solo trovare un luogo migliore dove vivere dalla Grecia alla Magna Grecia. Guerrieri morti in un naufragio lungo le coste della Calabria e che il sale del mare ha reso incorruttibili. Oggi i bronzi di Riace, la testa di Apollo di Salerno, la tomba del Tuffatore ed i mille reperti venuti alla luce dal mare o dalla terra, possono essere paragonati al ritrovamento del gruppo marmoreo del Lacoonte del 1506 che influenzò il Rinascimento, sperando che questo passato che riemerge all’improvviso possa essere inizio di un nuovo rinascimento europeo.

Questa è una parte dell’intervento che Nicola Bottiglieri terrà mercoledì prossimo nell’ambito di un convegno su “Tradizioni classiche e letterature ispanoamericane” che si terrà all’Università di Salerno, nel Dipartimento di Studi Umanistici diretto dalla Professoressa Rosa Grillo

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