Elisa Campana
Tra indagini e paesaggi

Giallo a Finistère

«La fuga. Delitto in Bretagna» Gianluigi Schiavon è una storia ambientata a Finistère, un luogo dove la natura ha un impatto molto forte sugli umori e le abitudini di che ci vive

La fuga. Delitto in Bretagna è il nuovo libro di Gianluigi Schiavon (Giraldi editore, 215 pagine, 13 Euro) ed è un romanzo che comincia dalla fine, sulle ventose spiagge vicino Roskoff che fronteggiano fiere le onde impetuose della Manica. Nella misteriosa Bretagna, il lettore si immerge in un giallo rompicapo al quale nuovi tasselli si aggiungono senza sosta: ogni capitolo presenta un personaggio o una coppia di personaggi, storie e avventure apparentemente indipendenti che invece si scontrano e si mescolano all’avanzare della narrazione. A tenere vigile l’attenzione del lettore, è il commissario di polizia Lucien Bertot, un poliziotto atipico e irriverente, dal carattere scorbutico e irascibile che gli è costata la carriera. Ha un figlio che non riesce a vedere, sente spesso la necessità di fare “qualcosa di illegale”, ama la bottiglia, Elena, una giovane prostituta dell’Est e, soprattutto, il grande compositore russo Tchaikovsky.

Il commissario è stato da poco trasferito a Strasburgo da Parigi per via della sue alzate di testa, delle irriverenti sfuriate ai suoi superiori e, soprattutto, di un caso irrisolto che lo tormenta: la mancata cattura dello spacciatore algerino Tarek Racim detto Camomilla.

«Buttò il cappello sulla scrivania, guardò il gruppo di pratiche ben impilate, fece una smorfia. Non era di buon umore, e non si trattava di una novità […] come tutte le mattine era arrivato in ufficio a piedi, abitudine utile per smaltire l’eccesso di Macallan e quel retrogusto di rabbia e scoramento che da troppo tempo segnava il contrasto tra la sua tempra di combattente e l’impotenza del buttar tutto per aria».

La fuga di Gianluigi SchiavonLa telefonata sarcastica e il tono perentorio del suo superiore, Jacques Poulen, spediscono Bertot a Quimper nella Bretagna più profonda, da dove è giunta una segnalazione sull’avvistamento di Tarek: «È la sua ultima chance per…riscattarsi» tuona Poulen dall’altro capo del telefono.

Ma nella capitale del Finistère, la storia si infittisce e i tasselli si aggiungono senza un’apparente logica intorno a una vetrata della cattedrale, a un frammento di vetro rosso noto come “il bottone di Cristo”. Bertot si ritrova così ad indagare su un efferato delitto. Ecco allora che il lettore lo segue da est a ovest, poi di nuovo a est, giù per le strade della Bretagna, Locronan, Pont l’Abbé, Concarneau, poi Bécherel, Josselin, Saint-Malo, rocamboleschi inseguimenti alla ricerca della verità, del tassello mancante che rimetta ordine al caos della malvagità umana.

Paladino della verità, il commissario Bertot corre e rincorre lo Squalo Bianca, a bordo della quale fuggono Julien e Michelle, due giovani amanti, potenziali colpevoli che sembrano racchiudere la chiave a tutti i misteri. La loro storia s’incrocia con quella di un’altra coppia, Marie Lacroix, timida giardiniera dell’Orto Botanico di Strasburgo e Jean-Claude Fontana «senza accento sull’ultima vocale: origini italiane», vecchio pugile perseguitato dai ricordi.

Marie è di origini bretoni ed è spesso grazie ai suoi racconti che si evocano le leggende e i miti di questa terra orgogliosa della sua anima. Si racconta che Re Gradlon, che domina orgoglioso le guglie della cattedrale di Quimper, fu fondatore della città di Ys, sommersa poi dalla violenza del mare; si ricorda i troménies, percorsi di espiazione che ripercorrono la strada che Saint Ronan faceva ogni mattina scalzo e a stomaco vuoto nei pendii intorno a Locronan, cittadina dove il tempo sembra essersi bloccato all’epoca medievale.

Le note del compositore russo risuonano come un leitmotif che percorre le pagine del libro e accompagnano una narrazione intrisa di sequenze cinematografiche. I flashback e i colpi di scena incitano a voltare pagina per scoprirne sempre di più.  

Poi ci sono le accurate descrizioni dei paesaggi che, come l’occhio veritiero di una telecamera, svelano e dipingono la terra bretone, fiera e selvaggia. «Il mare e la terra ridono. Si scambiano effusioni. L’onda allunga carezze sulla spiaggia scivolando sui sassi: indugia, estenuata, poi si ritira e i ciottoli l’inseguono, come migliaia di amanti attirati al largo. Ridono, ancora, i sassi nel fragore della schiuma […] un gabbiano li sorvola silenzioso, una nuvola ingentilisce di trine il cielo trasparente, la siepe di ortensie fa del suo meglio per completare il quadro con colori discreti».

Il cerchio si chiude su un traghetto che attraversa la Manica, lo stesso paesaggio contemplato nella prime righe del romanzo. È il colpo di scena finale, nell’aria risuona una melodia potente, drammatica, semplicemente umana.

«Perfetta – pensa il commissario – La sesta, come all’inizio di questa storia, quella volta usai il giradischi in ufficio, ricordo benissimo. Era un paio di settimane fa. Pare successo in un’altra vita. Allegro, allegro non troppo, moderato… Non potevo scegliere migliore colonna sonora finale».

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