Lidia Lombardi
Memorie del Novecento

«Imparate l’arte»

Storie di conflitti (antichi) tra collezionisti privati e musei pubblici: colloquio con Fabrizio Russo, gallerista antiquario, nume tutelare della memoria futurista

Fabrizio Russo, gallerista antiquario, espone nelle vetrine e nelle sale – in via Alibert, cuore della Roma degli artisti – “gioielli” futuristi. Ma è attento anche ai contemporanei, come i sette giovani artisti che animano la rassegna Shakespeare in Rome appena inaugurata, che, con il patrocinio del British Council, celebra i quattrocento anni dalla morte del Bardo. Ciascuno con la propria cifr,a Enrico Benetta, Diego Cerero Molina, Roberta Conui, Manuel Felisi, Michael Gambino, Massimo Giannoni, Tommaso Ottieri, hanno creato per l’occasione un’opera evocativa delle atmosfere, dei personaggi, dei luoghi del drammaturgo inglese.

Russo è impegnato dunque su due fronti, il Novecento e il Duemila. E molto ha da dire sul sistema dell’arte in Italia. Egli è erede di una dinastia nel campo cominciata dal 1898. «Il mio bisnonno Pasquale Addeo – dice – proponeva al pubblico l’antico, dal Quattrocento al Seicento, pur collezionando per hobby, opere dell’Ottocento; la stessa propensione fu di mio nonno, Franco Russo mentre gli zii, che aprirono la Galleria La Barcaccia, optarono per il contemporaneo, con tanta intelligenza da prendere a contratto Giorgio De Chirico. Papà, Salvatore Russo, fece lo stesso, creando Lo Scalino, in via Capolecase. Io infine sono qui dal 1984 e da allora ho prodotto 80 titoli in collane per il 95 per cento monografiche, tra cui Campigli, Guttuso, Cambellotti, nel cui Fondo si trovano, risalenti al 1906, primissime testimonianze futuriste, pur non avendo egli aderito al Futurismo».

Russo_mostra GiannoniAppunto il Movimento di Marinetti è però l’ambito più esplorato da Russo, al quale si devono rassegne su Balla, Boccioni, Dottori, sulla collezione di Casa Marinetti, con catalogo per la consultazione. Ma anche la cura dell’Archivio di Antonio Mancini, «un genio del XIX secolo», sottolinea.

Un’attenzione rivolta al Futurismo fin dagli anni nei quali questa corrente artistica era oggetto di diffidenza in massima parte ideologica. «Già. Io ho collezionato artisti del primo e secondo Futurismo, quello dell’Aeropittura, praticata da Tato, Delle Site. E del grande Carlo Erba, morto nel 1917 e oggi dimenticato. La chiusura al Futurismo è durata fino agli anni Ottanta. Pensi che Argan considerava Boccioni un artista minore. Disattenzione che permise al Moma di New York di acquistare quel capolavoro assoluto che è La città che sale. Ma in fondo non è un male. È esposto nel più prestigioso museo d’arte moderna del mondo».

Sul blocco delle nostre opere rispetto al mercato estero Russo è polemico. «La legge di notifica, varata da Bottai nel 1939, è importante, ma va rivista. L’Associazione operatori mercato dell’Arte ha posto il problema al ministro Franceschini, che si è mostrato sensibile alla necessità di internazionalizzazione, come ha evidenziato con la scelta di sovrintendenti stranieri per molti nostri musei. La legge di notifica, che impone vincoli dello Stato all’esportazione di opere d’arte, arriva perfino a fermare un Tano Festa del ’63. Però poi lo Stato si dimostra disattento a tante eccellenze. Il Futurismo non possiede un museo, ma intanto al museo etrusco di Tarquinia sono accatastate pile di sarcofagi. Non sarebbe più logico che se ne vendessero alcuni in asta pubblica, dunque in modo trasparente, e si utilizzassero i proventi per restauri o nuove acquisizioni?».

Ma l’Italia ha sofferto di spoliazioni, a causa del mercato clandestino, obiettiamo. Per questo il meccanismo della notifica è stato confermato nel 2004.

Però l’irrigidimento della norma favorisce la clandestinità. E svilisce il nostro patrimonio, sia pubblico che privato. I musei potrebbero anche prestare opere a pagamento, con cespiti importanti. E, per esempio, un lavoro di Balla che vale qui un milione di euro, portato all’incanto pubblico potrebbe ottenerne dieci, di quei milioni.

Resterebbero le perplessità dei “protezionisti”, i timori che i grandi ricchi del pianeta, dagli arabi ai cinesi, s’impossessino di pezzi d’Italia, come hanno già fatto di imprese, edifici, società calcistiche.

Le rispondo così: il Louvre ha aperto ad Abu Dabi. E ancora: la norma di Bottai, ripeto fondamentale nel periodo in cui fu varata, tutela la rappresentatività di un artista italiano. Ma se di quell’artista possiedo cento opere, magari variazioni su un unico tema, sarebbe poi un male irreparabile che dal Paese ne uscissero venti?.

Russo torna a sottolineare l’incoerenza delle istituzioni e della società italiana. Da una parte si impedisce la circolazione dei beni, dall’altra non li si valorizza.

Dagli anni Novanta viviamo un imbarbarimento culturale. Sparita la Terza Pagina sui giornali, sparito un intelligente esercizio della critica, che una volta suscitava fruttuosi dibattiti. Massificato il gusto. Ingessato il mercato. Un tempo un acquisto si faceva dopo un approfondimento culturale, oggi è frutto di speculazione, come un titolo di Borsa.

Ma lei, che al Museo Bilotti e a Villa Torlonia, sedi del Comune di Roma, ha portato rassegne notevoli, come “Mario Sironi e le illustrazioni per il Popolo d’Italia”, che rapporto ha con il Campidoglio?

A senso unico, ovvero le iniziative e l’onere vengono soltanto da me. L’unico assessore che è sceso sul territorio dando attenzione alla Angamc, Associazione Nazionale Gallerie Arte Moderna e Contemporanea, è stato Umberto Croppi. Dal Maxxi, mai visto nessuno. Dal Macro solo uno, Barbero. Del resto, ai vertici sono inguaribili provinciali malati di esterofilia. Le sembra normale che per inaugurare le Scuderie del Quirinale, lo splendido spazio di fronte alla Presidenza della Repubblica, furono scelti gli Impressionisti?.

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