Festa in onore del Premio Nobel
Il secolo di Dario Fo
Dario Fo compie novant'anni. Nella travagliata storia del suo teatro c'è la parabola di un'Italia che si nasconde le verità per poi riscoprirle e celebrarle. Insomma, un vero e proprio "Mistero buffo”
«No che non esiste». Sicuro? «Non c’è, non esiste, non ci credo. Però…». Però cosa? «Che invenzione. Come diceva Voltaire, Dio è la più grande invenzione della storia. E quel che più conta, ha fatto tutto da solo, si è inventato da sé». È l’inizio del libro dialogo di Giuseppina Manin con Dario Fo su religione e spiritualità, Dario e Dio che Guanda (pp. 172, 15,00 euro) manda in libreria per i 90 anni – oggi – del grande autore e attore Premio Nobel per la letteratura nel 1997.
Del resto, Dio e Gesù hanno sempre affascinato Fo tanto che sono al centro del suo spettacolo e testo più importante e significativo, quel divertentissimo, irriverente, umanissimo Mistero buffo nato nel 1969 e replicato per anni sempre con varianti, aggiunte, nuovi e diversi riferimenti all’attualità. Il lavoro si ispirava ai Vangeli apocrifi «le fonti più antiche e per me più affascinanti e ricche di spunti privati che aprono spiragli curiosi e sorprendenti sulla prima parte oscura della vita di Gesù», ma poi portava in scena anche i re magi come Bonifacio VIII, l’arcangelo Gabriello o Caino e Abele, nipotini di Dio che riempie di complimenti il primo e non volge «nemmeno uno sguardo al secondo e ai suoi doni»; visitando quelle storie e quei personaggi con un’ottica nuova, popolare e di umana partecipazione che ne esalta i lati paradossali. Il tutto, recitato tanto col corpo, quel corpo elastico, parlante, stralunato e disarticolato di Fo, quanto con la voce e la costruzione di un linguaggio inventato, tra l’arcaico e il padano, onomatopeico e allusivo in cadenze e inflessioni con risultati in cui spesso il suono dice più del senso con effetti teatralissimi, in un ribaltamento che vede dare alle parole un valore didascalico e ai gesti il valore di parole.
È con Mistero buffo che Fo e la sua compagnia, in cui ha una parte di comprimaria assoluta la sua compagna Franca Rame, rompe rapidamente i rapporti con i teatri tradizionali e cerca luoghi diversi, in cui andare incontro al pubblico. Le sue critiche a tutto campo, anche sul revisionismo del Pci, lo portano a avvicinarsi alle organizzazioni extraparlamentari (durante gli spettacoli si raccolgono fondi per i «detenuti politici») e Fo e la Rame diventano un simbolo, tanto che nel 1973 un gruppo di fascisti sequestra e violenta la Rame. L’anno dopo si arriva quindi all’esperienza della Palazzina Liberty a Milano, occupata e poi legalmente affidata ai due attori dal Comune, in cui la coppia percorse l’impervia strada del teatro politico in anni violenti e ideologicamente manichei, anni di stragi, morti, feriti, sequestri. Si trattò di un teatro povero, di sinistra, costruito sull’attualità, un teatro, come scrisse il critico Roberto De Monticelli, «con dentro il nero dei titoli dei giornali».
Certo è, e non da oggi e per i suoi 90 anni, che questo giullare e mimo, questo attore e regista, autore e polemista, agitatore politico ha segnato assieme a Franca Rame la storia del nostro paese dagli anni ’60 agli anni ’90 del Novecento, sempre andando un po’ controcorrente, cercando sin dall’inizio di mettere Il dito nell’occhio del potere, come si intitolava il suo primo spettacolo del 1953, con Franco Parenti e Giustino Durano, sorta di cabaret politico sociale satirico, cui seguì Sani da legare, subito colpito dalla censura con anche un primo scontro di Fo con la Rai, e l’abbandono della sua trasmissione radio. Il secondo avverà con l’abbandono della conduzione di Canzonissima nel 1962, con un divieto di farlo comparire in video durato 15 anni.
Nato nel 1926 a San Giano (Varese) da un ferroviere e una contadina, Fo studia pittura a Brera e architettura al Politecnico di Milano. Subito dopo la guerra è quindi la scenografia il suo tramite col teatro e poi l’incontro con Franco Parenti che lo spinge alla stesura di alcuni sketch e a calcare le scene del varietà e della commedia musicale. Negli anni Sessanta acquista sempre più visibilità e popolarità con una serie di sue divertenti commedie dai titoli curiosi: si va, per citarne alcune, da Gli arcangeli non giocano a flipper del 1959 con cui nasce la compagnia Fo-Rame a Chi ruba un piede è fortunato in amore, Isabella tre caravelle e un cacciaballe (rivisitazione della storia di Cristoforo Colombo), Settimo: ruba un po’ meno su imbrogli e speculazioni in un cimitero, La signora è da buttare sull’americanismo imperante tra politica e moda. Quindi, dopo un periodo di preparazione-studio, arriva Mistero buffo seguito poco dopo da L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone, che appunto nell’anno della contestazione giovanile e dell’autunno caldo nelle fabbriche, apre la stagione dell’impegno politico diretto.
Verranno allora, tra l’altro, Morte accidentale di un anarchico sul caso Pinelli, Pum pum! Chi è? La polizia! (accusato di vilipendio alle forze armate), Ci ragiono e canto, Il Fanfani rapito, arrivando nel 1977 a Tutta casa letto e chiesa di e con Franca Rame e al Fabulazzo osceno del 1982. Pian piano, passando anche per uno spettacolo su Arlecchino alla Biennale di Venezia, i due tornano a rivisitare alcuni vecchi spettacoli degli inizi e poi a un Dario Fo recita Ruzzante del 1995, naturale incontro col grande drammaturgo veneto del ‘500 che, per ricerca linguistica e temi popolari, rimanda al Mistero buffo.
Insignito, oltre che dell’inatteso e discusso Nobel, di due lauree honoris causa alla Sorbona di Parigi e alla Sapienza di Roma, artista multiforme, da sempre anche pittore, Dario Fo scrive libri, da un fortunato Manuale minimo dell’attore a volumi intervista con Giuseppina Manin, di cui quello su Dio è l’ultimo, e poi romanzi, dall’autobiografico e riuscito Il paese dei mezarat a La figlia del papa su Lucrezia Borgia, solo per citare i principali, assieme a testi su San Francesco come su Giotto che nascono da suoi spettacoli e recital, perché, alla sua età, Daio Fo ancora sale in palcoscenico e sorprende con le sue invenzioni e impennate tra fantasia e razionalità.