Lettera dall'America
Fermate Trump!
Dopo le contestazioni (durissime) di Chicago, non sono più solo i democratici a prendersela con Donald Trump, ma anche quelli che dovrebbero essere i suoi elettori... Per i repubblicani è cominciato un incubo?
Chicago, roccaforte democratica, The Windy City, spazza via dal suo territorio il candidato repubblicano Donald Trump con un vento di protesta che non si era ancora mai verificato nel paese, costringendo il miliardario americano ad annullare il suo comizio previsto per venerdì scorso. Gruppi di attivisti neri, immigrati messicani e islamici si sono riuniti davanti all’università dell’Illinois dove era prevista la presenza del candidato manifestando il loro dissenso e scontrandosi con i supporter del tycoon. Poco dopo la protesta è stata sedata, mentre Trump in un’intervista a MSNBC dà la colpa più alla polarizzazione della lotta politica nel paese che alla sua retorica infiammata e piena di affermazioni di intolleranza razziale e di genere. E dà la colpa alla rabbia che si è diffusa nel paese in ambedue la fazioni politiche affermando che non si sa che cosa sia accaduto alla libertà di parola e al diritto di riunirsi liberamente e parlare in “maniera pacifica”.
Fa specie che Trump parli di libertà di pensiero e di pacifiche riunioni quando è stato quello che in prima persona ha pronunciato frasi di intolleranza razzista e misogina in continuazione incitando alla violenza e all’intolleranza sin dall’inizio della sua campagna elettorale. Perché se è vero che affermazioni ad effetto possono alzare gli ascolti in televisione, e Trump che è un personaggio mediatico protagonista di svariate trasmissioni di successo sul piccolo schermo lo sa bene, lo stesso non vale per i comizi di una campagna elettorale di questa portata. Perché’ arriva il momento in cui la gente si stanca e si ribella, specie se le offese sono reiterate e mai ritirate. Mai una parola di scusa da parte di Trump nei confronti dei soggetti sociali da lui offesi, minacciati o indicati pericolosamente come responsabili dei guai de paese.
Inoltre, sembra ormai essere diventato uno sport nazionale e internazionale, vero anche nel nostro paese, fare affermazioni che obbediscano a una logica abbastanza evidente e fare poi tutto il contrario di quello che si dice. Senza che nessuno dica niente o perlomeno si ribelli. Quello che in molti ormai chiamano erroneamente “narrativa” riferita alla politica e che invece, secondo me non può che riguardare la letteratura, rivela proprio questa contraddizione di fondo: il contrasto tra quello che si dice e quello che si fa, contando proprio sul fatto che la gente o non sa o dimentica troppo in fretta o non è interessata. Una tecnica mediatica diffusa e che da’ risultati. L’importante è essere convincenti e soprattutto avere una retorica (ripeto non una narrativa, ben più complessa e complicata che richiede pensiero vero), capace di ammaliare lo spettatore e di sedurlo. Berlusconi è stato maestro in questo e Trump ne segue le orme, forgiando una cultura dell’intolleranza che grazie ai tea party sa bene che attecchirà tra gli elettori repubblicani. E lo fa con strumenti mediatici che niente hanno a che vedere con le sue capacità di fare politica, infiammando i suoi sostenitori non con quello che davvero è importante politicamente o con una strategia politica di lungo raggio, ma con quello che vogliono sentirsi dire al momento. Demagogia spicciola che punta sulle divisioni pur parlando di unità.
“Tutti abbiamo le nostre differenze e sappiamo che molte persone nel paese sono profondamente arrabbiate. Proprio per questo dobbiamo rispondere a questa rabbia insieme e i candidati dovrebbero usare parole e azioni che riportino unità tra gli americani” afferma Hillary Clinton. Ma sono gli stessi repubblicani a criticare il loro collega. Così Ted Cruz riferendosi s Trump ha affermato che “ ogni candidato è responsabile della cultura della propria campagna elettorale e quando è in atto una campagna che manca di rispetto ai propri elettori, quando è in atto una campagna che valuta positivamente l’uso della violenza e che deve affrontare accuse di violenza fisica contro i membri della stampa, si viene a creare un ambiente che incoraggia solamente questa sorta di discorso negativo”. E non è più tenero John Kasich che dice “ stasera il seme della divisone che Donald Trump ha seminato sin dall’inizio della sua campagna elettorale ha dato finalmente i suoi frutti ed è stato molto brutto”. E Mark Rubio: “ Trump ha la responsabilità per il tono generale e l’atmosfera di questa campagna che è stata imperniata sul fatto che se le cose vanno male nel quotidiano la colpa è di un gruppo di bande che si scontrano l’una contro l’altra ”. Dunque è dovuta al conflitto che si risolve solo con la sua eliminazione e non entro la dialettica democratica. E questo genera un’intolleranza mascherata dal falso desiderio di risolvere una rabbia che invece viene così alimentata per creare consenso. Tattica pericolosissima che specula sull’ignoranza e sulla frustrazione senza offrire soluzioni, alimentandone invece i motivi al fine di accrescere i consensi a politiche assolutistiche e pericolose.
Ma il vento della contestazione a Trump ormai soffia forte e dalla Windy City adesso si allarga anche all’Ohio e ai prossimi stati dove il magnate dovrà affrontare la polarizzazione di un conflitto che egli stesso ha contribuito a creare.