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Più delitti che pene
Le inchieste di Roberto Costantini, Fulvio Santi, Martin Suter; i misteri di Jesse Ball e il rapporto tra giudice e ergastolano raccontato da Elvio Fassone. Cinque libri speciali sul mondo della giustizia
Il condannato. Si legge nella seconda pagina di questa straordinaria corrispondenza tra magistrato ed ergastolano, a cura di Elvio Fassone (Fine pena, ora, Sellerio, 210 pagine, 14 euro): «Ho motivo di preoccuparmi. Salvatore è condannato all’ergastolo. Ci scriviamo da ventisei anni, lui è in carcere da trentuno». Poco dopo, Salvatore scrive: «L’altra settimana ne ho combinata una delle mie: mi sono impiccato». Nella riga seguente: «Mi scusi». Il tentativo di suicidio c’è stato veramente, non era uno scherzo: «Adesso ho ancora male al collo, ma è passata».
Nelle ultima pagina, il giudice che ha dovuto condannare Salvatore in Assise, menziona La Bibbia, là dove si parla di Caino e Abele: «L’assassino» scrive Fassone « ripaga il malun actionis non tanto con una sofferenza (malum passionis) ma con la riparazione, cioè con il bonum actionis). Questo anomalo dialogo è successivo al maxi processo del 1985 alla mafia catanese. Il rapporto tra giudice e condannato si fonda non solo sul reciproco rispetto, ma anche sulla fiducia. Salvatore vuole emanciparsi con il lavoro e lo studio, malgrado le regole durissime del regime 41 bis.
Inspiegabile. Siamo nel Giappone, anno 1977. In una città di provincia molte persone scompaiono, senza lasciar traccia. Il caso è difficile, ma alla fine la polizia ha la confessione di un certo Oda, impiegato. Alle domande non risponde, malgrado sia spinto a farlo da una ragazza misteriosa. Un americano, che ha accanto una moglie rotolata nel silenzio più inspiegabile, indaga. Pone domande a varie persone, scava in passati e in comportamenti, fino a scoprire alcuni scottanti segreti dietro la cortina dell’onore, dei tradimenti, dell’ideologia e dell’amore. Questo groviglio psicologico dai risvolti filosofici si trova nell’incalzante Quando iniziò il silenzio di Jesse Ball (Baldini&Castoldi, 270 pag.,18 euro). L’autore è proprio l’indagatore americano. Significativo questo estratto. D. “Quando parla di picchiare, intende con un bastone?”. R. “Sì, ma non è picchiare, è comunicare. Non deve considerare l’azione in se stessa. È l’effetto di una pressione costante. E’ un risultato, non un atto. Non può considerarla separata dal resto”. Ed è proprio questo “resto” a inquietare.
Triangoli. Il commissario si chiama Balistreri, è romano. Il suo inventore è Roberto Costantini, ingegnere, dirigente della Luiss, già autore della fortunatissima Trilogia del Male, apprezzatissima all’estero. Ora il poliziotto torna alla ribalta con La moglie perfetta (Marsilio, 447 pag. 19 euro). Primi attori in scena, psicologica e criminale, sono però un terapeuta della coppia, sua moglie magistrato, l’ambiguo docente di matematica Victor, sua moglie Nicole (vittima di violenze domestiche) e sua cognata, la sensualissima e disinibita Scarlett, ventenne. È quest’ultima a minare l’ossessivo ritmo coniugale del terapeuta, che s’invaga di lei fino a perdere la bussola esistenziale. Interessante è lo scavo che l’autore fa proprio nella vita del terapeuta. Ma la morte dell’americano, trovato asfissiato e ammanettato al suo letto, innesca complicazioni internazionali. Di tale portata da mettere a rischio i rapporti diplomatici tra Italia e Usa. Bella e significativa una considerazione dell’autore: “Non conta quando muori, conta quanto hai vissuto prima”.
Lupi mannari. L’ispettore Drago, che non si occupa di un delitto da una ventina d’anni, ricorda le parole della madre: «Attento, figliolo, quelli sono montanari, chiusi, reticenti». E aggiunse: «Sono come lupi mannari». Drago, esce dall’ufficio sommerso di scartoffie minimamente burocratiche, per indagare sulla morte di un uomo trovato senza vita. L’episodio è narrato bene e con ironia da Fulvio Santi (lodato da Carlo Lucarelli) in La primavera tarda ad arrivare (Mondadori, 306 pagine, 18,50 euro) Siamo a Montefosca, sperduto borgo alle pendici delle Alpi Friulane. La vittima, un uomo anziano senza identità. L’hanno freddato col un colpo di pistola alla testa. Drago, a parte il tranquillo ma anche noiosissimo tran tran tra multe per divieto di sosta, deve lasciare, sia pur temporaneamente, la sua grande passione: la coltivazione dell’orto. Sosta in osterie, beve bicchieri di ottimo vino, ascolta il brusio della gente, interroga. E così si trova nel bel mezzo di antichi fantasmi, misteri tenuti “in gola”. La zona di confine tra Italia e Slovenia è territorio dove dissotterrare segreti “inconfessabili”. E lui, sornione non molla la presa. Ne esce il ritratto di una provincia, che, come tutte, è simbolo dell’Italia non metropolitana.
Banconote. Un thriller freddo e distaccato, anche se comprende una storia d’amore. Non ci sono assassini, non corre il sangue. In primo piano finanzieri e banchieri svizzeri, pronti tutti a battersi per conservare o ad aumentare i propri privilegi. Il ginepraio tra le banconote fruscianti lo svizzero Martin Suter lo chiama Montecristo (Sellerio, 286 pg., 16 euro). Tutto inizia quando Jonas Brand è in treno per Basilea. Il convoglio si ferma in galleria a causa di un suicidio sulle rotaie (se ne parla poco, ma eventi come questi sono in allarmante aumento anche in Italia). Scende e curiosa, interroga testimoni, fa attenzione ai dettagli. Tra questi ultimi ci sono due banconote da cento franchi con lo stesso numero di serie, cosa che è tecnicamente impossibile. Il videoreporter allora investiga, assieme a un collega esperto di economia. Si apre così un mondo per lui nuovo, quello dell’oligarchia dei banchieri elvetici, satiri con i denti aguzzi.