La filosofia sull'orlo del baratro
Santo Heidegger
Donatella Di Cesare, esegeta del grande (e contrastato) filosofo, ha scritto un saggio sagace che mette sotto processo i detrattori del maestro a proposito del suo antisemitismo. Quasi un atto di «neo-negazionismo»
Per quanto l’abbia molto studiato e meditato, non posso definirmi uno studioso di Heidegger. In quanto ciò esige lo status di «specialista». Il che poi, nel caso specifico, esige tanto la conoscenza di un’opera sterminata quanto anche il consenso al pensiero. Meriti che io non posso di certo vantare. E tuttavia sono (ufficialmente) uno studioso di Edith Stein. Una delle pochissime filosofe che abbia criticato il pensiero di Heidegger senza uscire dai limiti della Filosofia. Dunque, proprio come studioso della pensatrice ho dedicato abbastanza tempo allo studio dell’oggetto della sua critica. Lavoro da cui è poi nato un libro recentemente pubblicato (Heidegger. Il moderno pensiero della distruzione). Un libro che però si pone fuori dagli usuali circuiti filosofici. Inevitabilmente! Ebbene, è proprio su questa base che ho l’ardire di commentare criticamente Heidegger e gli ebrei, di Donatella Di Cesare, specialista del pensatore nonché vice-presidente della «Martin Heidegger- Gesellschaft» (MHG). Il libro parla dei famosi Quaderni neri (QN) – sorta di occulto diario filosofico di Heidegger –, e della questione dell’anti-semitismo da essi sollevata.
Mi sembra che già qui si possano trovare mescolati diversi degli ingredienti che (appunto) inevitabilmente stanno alla base della lettura di un libro come questo. Ma vedremo tra poco che essi stanno inevitabilmente anche alla base della sua stessa scrittura. Infatti il problema centrale, in entrambi i casi, è quello che invariabilmente si pone tutte le volte che si tocca Heidegger. Ciò avviene già nel pieno della Filosofia. Figurarsi poi quando ciò avviene invece «fuori» di essa. Laddove con questo «fuori» intendo naturalmente il prodotto di una prassi coercitiva. Perché esso si pone quando ci si muove fuori di quel terreno del discorso sul quale la Filosofia erige molteplici filtri ed ostacoli (schermanti ed inibenti). Così tanti e fittamente distribuiti che esso diviene un vero e proprio campo minato. Sul quale quindi all’incauto (il tacciato di «non-filosofia») il minimo passo falso può costare la vita. Ebbene è proprio il libro della Di Cesare – che con un energico quanto stizzoso scrollone decide di liberare la Filosofia di un’inutile ed inconsistente querelle –, è proprio questo libro stesso – che intende chiudere per sempre l’inammissibile discussione sul valore o disvalore di Heidegger (impossibile giudizio sul pensiero!) –, ad affermare una volta per tutte, nel modo appena descritto, l’intoccabilità del Gigante. E pertanto, se proprio (così impudentemente) si è voluto portare la querelle sul piano così imbarazzante dell’anti-semitismo, allora proprio in relazione a quest’ultimo (quale suo nucleo) la tesi della Di Cesare può essere riassunta davvero in pochissime parole. Si tratta proprio di ciò che occupa il primo capitolo del libro («Tra politica e filosofia»). Non credo che chi è interessato in primo luogo al dibattito debba leggere altro che questo capitolo. Sebbene, per chi fosse invece interessato ad Heidegger stesso (ed alle connesse specifiche questioni filosofiche), il resto del libro offra ottimi e ricchissimi elementi di riflessione. È per questo che l’ho letto tutto e non posso non consigliarne la lettura.
Ma ecco come può essere riassunta la tesi della studiosa: non vi può essere il sia pur minimo dubbio circa il fatto che Heidegger è stato forse «il filosofo» par excellence dei tempi moderni. Dunque anche il rappresentante per excellence del pensiero moderno. E questo deve bastare. Chiusa la discussione! Infatti è solo e soltanto la Filosofia che in fondo conta. E quanto più essa è autarchica, cioè impermeabile ad ogni giudizio (ed al di sopra di esso) – ancor più quando è astrusa, oscura, sofistica e perfino perversa nel pensare –, più essa è davvero «filosofia». Tutto il resto invece non lo è! Insistere, pertanto, non solo è «non-filosofico» ma anche barbaro e volgare.
Questa è nel complesso la tesi della Di Cesare. La cui mano ferma quanto leggera (nel blindare con rilassata sovranità l’argomentazione contro ogni possibile obiezione) si appaia perfettamente alla maestria sofistica con la quale il presidente della MHG, Peter Trawny, sorvola con altrettanto sovrana leggerezza sul presunto fango dell’intera polemica. E Trawny è poi proprio colui che tira le fila della complessiva operazione dei QN. Dalla quale ci si aspetta una vera e propria Endlösung. Infatti, una volta che l’operazione si condotto con il dovuto sussiego filosofico essa recherà senz’altro alla riabilitazione definitiva ed incontrovertibile di Heidegger.
La tesi è dunque quella (si direbbe) di una neo-negazione. Rispetto alla quale decadono le tesi, altrettanto rozze, che sono state protagoniste del così insostenibile «processo» ad Heidegger (che poi è sostanzialmente processo alla moderna Filosofia) : 1) la tesi dell’affermazione (accusa e radiazione), di Faye ; 2) la tesi della vetero-negazione (proscioglimento e riabilitazione), di Farías e Fédier. Che infine si è appiattita su una pavida versione ufficiale, incapace del coraggio di proclamare il Gigante contro ogni pregiudizio moralistico. Non meno rozza è poi per la studiosa anche la tesi di una parte di quella sinistra accademica (Adorno, Lukacs, Losurdo…) che è stata così incauta da pronunciarsi contro Heidegger. Mentre invece l’altra sua parte (Derrida, Foucault, Agamben) ne faceva un intoccabile idolo ed un vero e proprio guru del moderno pensiero. E ciò perché quest’ultima avrebbe colto nel pensatore tedesco quella così fondamentale moderna «filosoficità» che la stessa Di Cesare apprezza come «lettura anarchica» (e che trova poi il suo culmine in Derrida). Ebbene il lemma di quest’ultima è estremamente significativo : – «una distruzione portata fino in fondo». Era esattamente il tratto di fondo che io stesso vedevo nel pensiero di Heidegger. Ma senza plauso! Sta di fatto, però, che proprio il plauso a tutto ciò è considerato «filosofico» par excellence. Dato che la moderna Filosofia si identifica anima e corpo con la Distruzione. Cioè con Heidegger – il cui immenso merito appare essere per la Di Cesare quello di voler conservare quella «domanda» (mostrante l’Essere quale Nulla) in forza della quale qualunque scrupolo morale deve impallidire e svanire.
La Filosofia deve infatti avere qui mano del tutto libera. Tanto che l’unica accusa morale che può essere a mossa ad Heidegger, quella di un anti-semitismo «metafisico» (e non invece «razziale»), è esattamente quella che per la Filosofia non costituisce affatto un’accusa. Anzi essa è del tutto benvenuta. Dato che nel moderno pensare è esattamente della metafisica che intendiamo sbarazzarci una volta per tutte. E così, per la studiosa, si può addirittura riconoscere proprio nell’attacco a questo così gradito anti-semitismo l’opera malefica di una filosofia anti-«continentale» che è impegnata nello sferrare contro Heidegger l’«attacco finale» (cos’altro è questo se non la ben nora demo-plutocrazia giudaica statunitense?!).
Come ho detto non parlerò del resto del libro (sebbene sia tutt’altro che privo di interesse). Lo farò magari in un prossimo articolo. Ma qualcos’altro di questo primo capitolo va ancora detto.
Innanzitutto nuovamente in generale. Il libro mostra che l’occasione «Heidegger» è quella da cogliere per dire, a chi si spaccia per «filosofo», cosa in verità si debba intendere oggi per «filosofare». L’affermazione centrale è che l’intero processo ad Heidegger (inclusa la difesa) è vergognoso in quanto dovuto all’inqualificabile ardire di voler dare un giudizio sulla Filosofia (e sul «pensare» da essa custodita quale Istituzione). Infine, sullo sfondo di tutto ciò può essere individuato un Heidegger quale pensatore del sublime Ineffabile (qui «esoterico» ed «escatologico»…), del tutto in linea poi con un Heidegger quale autentico campione del moderno Titanismo filosofico.
Insomma in generale ciò di cui ne va con la difesa ad oltranza di Heidegger (perfino contro accuse anti-semite che il libro stesso considera così lampanti da non rivestire dopotutto il sia pur minimo interesse filosofico) è della possibilità dei filosofi di conservare la forma più moderna del loro tradizionale orgoglio. E cioè quella de-costruttiva. In particolare poi c’è poco altro da aggiungere dal libro. Nel complesso il nazismo e l’anti-semitismo di Heidegger hanno costituito un «errore» (meramente e bassamente «storico») di cui il filosofo di razza può e deve infischiarsene. Del suo pensiero bisogna infatti assolutamente conservare quella concentrazione sulla «storia dell’essere» (nella quale è raggiunto di fatto l’acme stesso della filosofia) a fronte della quale qualunque rilevazione di «bassezza» diviene mera distrazione. E del resto (come vogliono gli analitici) la Filosofia non può né deve avere nulla a che fare con la vita – se non ammettendola in tutta la sua pienezza moralmente indifferente. I QN possono infatti chiudere la questione «Heidegger» proprio perché essi pongono strenuamente in primo piano l’«oblio dell’essere», rendendo così superfluo ogni ricerca di «archivio», e relativa imbarazzante «testimonianza». Inoltre i QN completi devono, con sfacciata ma legittima arroganza, screditare anche il loro iniziale uso. Rivolto ad «addomesticare» il Titano annacquandone così la portata dirompente (limitando la sua vera visione a quella del primo Heidegger, innocuo fenomenologo ed aristotelico). Ed infine proprio i QN mostrano senza ombra di dubbio che Heidegger fu anti-semita e nazista. Oltre che sfacciato opportunista. Ma, data la profondità di pensiero che essi evidenziano, essi dimostrano anche che porre tale questione è del tutto ozioso. Dal punto di vista filosofico.
Perché proprio quale «filosofo» Heidegger è un Gigante. Quale «filosofo» e basta!