A proposito de “L’uomo dalla voce tonante”
Tutti i figli di Cuba
Stefano Malatesta ha riunito in un libro tutti i suoi reportage e i suoi ritratti dedicati all'America Latina. Un viaggio nel mito fatto di eroi, scrittori e rivoluzionari. Da Che Guevara a Borges
Se dovessi dare una forma all’insieme delle storie che ne L’uomo dalla voce tonante, Storie dell’America del sud (Neri Pozza) racconta Stefano Malatesta, gli darei quella del cono gelato, la forma geografica del continente latinoamericano. Un cono che ha alla base Capo Horn e in cima la pasta dolciastra del Venezuela e della Colombia, mentre le isole dei Caraibi fanno da granella ruvida e squisita a tanto lucore. A questa leccornìa purtroppo manca il Messico, il quale naviga nei sapori rugosi della tequila e del pulque, che non legano bene con il gelato, sposandosi meglio con un rum invecchiato sette anni, pur rimanendo sempre il Messico e l’America latina all’interno della stessa rumorosa gelateria.
Il lettore ora si chiederà perché recensire un libro di viaggio con un riferimento gastronomico? Perché negli anni freschi della nostra generazione (sia mia che di Malatesta) lo sguardo sull’America latina fu sempre accompagnato da una allegria di base che rispondeva ad un sentimento di libertà interiore che in Europa andava esaurendosi. Per noi l’America latina era il continente più simile all’Europa, ma proprio qui la storia aveva preso un corso diverso.
Se in Italia il ‘68 durò fino all’uccisione di Aldo Moro (maggio 1978), l’entusiasmo per quel continente – scoperto in Europa prima con la rivoluzione cubana del 1959 e poi riscoperto nel 1967 anno della morte del Che e della pubblicazione del romanzo di García Márquez, Cent’anni di solitudine – si prolungò ancora oltre, perché lì, dicevamo noi, la politica si intreccia con la poesia, la musica scandisce i ritmi della giornata, la fantasia e l’immaginazione sono coltivate in larghe piantagioni di consenso popolare. Insomma, in quel continente ci sembrava che la politica tenesse conto più delle aspirazioni dei “popoli” che della finanza, che gli uomini potessero cambiare con le proprie mani gli equilibri internazionali e le leggi del mercato.
Di sicuro, il nostro sguardo su quel continente era frettoloso, ma nasceva dal fatto che l’Europa era schiacciata fra la NATO ed il Patto di Varsavia, il Partito Comunista Sovietico con lungimirante miopia affrettava la sua rovina, i Beatles avevano fatto il loro tempo, la letteratura si era chiusa nelle aporie del Gruppo 63, la nazionale di calcio elaborava un catenaccio funereo che imbalsamava i giocatori ed infine il tono dominante dei vestiti era il “fumo di Londra”, mentre le donne avevano i capelli cotonati e per sedurre usavano il baby-doll, quando già dal 1972 sulla spiaggia di Ipanema a Rio de Janeiro era comparso il tanga!
Di fronte a tante utopie pubbliche e private, le tragedie che si abbatterono con violenza su quel continente ci colpirono davvero nel profondo, perché uccidevano le ingenuità della giovinezza ma facevano anche capire che “l’imperialismo non era una tigre di carta” ed il mondo era più complesso di quanto pensassimo.
Il libro di Stefano Malatesta, L’uomo dalla voce tonante– che porta in copertina la foto di Francisco Coloane –è una raccolta di reportege usciti sul quotidiano La Repubblica che iniziò le sue pubblicazioni il 14 gennaio del 1976, in un arco di venti anni, ed a leggerli sembra rivedere le foto di un album di famiglia, le pagine del diario di una generazione, respirare il profumo di fiori invecchiati, che ancora liberano aromi fugaci.
Il libro è diviso in tre parti: la prima porta il titolo “Il mondo australe e la Terra del Fuoco”, la seconda “Due artisti e nove scrittori, la terza “Viaggi e scoperte”. Insomma politica, geografia, letteratura e scoperte, di questi zuccheri era fatto in quegli anni il sapore del cono gelato.
La sezione che ho letto con più piacere è quella che parla della Terra del Fuoco, mio luogo dell’anima, perché l’amore per quei luoghi remoti è pari alla distanza che da essi mi separano. Questo amore iniziò proprio leggendo qualche reportage di Malatesta negli anni Ottanta e da allora non ho smesso di frequentarli, arrivando a Capo Horn, conoscendo i luoghi di Darwin, parlando con i discendenti degli ultimi indios Yaganes, ritrovando nell’isola Dawson i resti della baleniera Yelcho che al comando del Piloto Pardo, un semplice marinaio cileno andò all’isola Elefantina a riscattare i compagni di Shakleton nel 1916, insomma viaggiando alla “fine del mondo” con i libri di Francisco Coloane in mano. Il quale racconta di uomini che hanno passioni smisurate, allevate in una geografia estrema ed imprevedibile.
La sezione sui viaggi tratta non solo di quelli fatti dall’autore, ma anche dei viaggi di scoperta e di conquista, perché la storia dell’America è proprio una storia errabonda fatta di viaggi e di viaggiatori, di spedizioni di mare e di terra, di avventurieri e vagabondi. Qui troviamo Colombo, Pizarro, Cortés, l’El dorado, la città misteriosa di Machu Picchu, lo scienziato viaggiatore dal nome impossibile il polacco Estanislao Pryemskij morto nel 1982 che esplorò il Mato Grosso, fino al famoso viaggio in motocicletta del Che Guevara. Oltre a quelli delle gambe e della fantasia, vi sono indagini sui viaggi del sesso, le jineteras, le prostitute cubane che come amazzoni montano sulla schiena del “cavallo” obbligandolo a fare quello che vogliono. Un pezzo è dedicato anche al film Fragola e cioccolato del 1994, una storia di gelati e di omosessuali, di tolleranza e di amore per Cuba. Vale la pena ricordare che questo film rilanciò l’immagine di Cuba nel mondo e creò una vera e propria mania fra i turisti dell’isola, i quali, facendo file pazzesche, andavano a prendere il gelato da Coppelia, rigorosamente alla fragola ed al cioccolato, e facevano foto ai luoghi che servirono da scenografia al film.
La sezione centrale del libro parla di scrittori e di artisti. Malatesta attraversa il continente seguendo le orme di Frida Kalo, Luis Borges, Adolfo Bioy Casares, Ernesto Sabato, Miguel Angel Asturias, Octavio Paz, Malcom Lowry, usando l’opera di questi scrittori ed artisti come una finestra attraverso la quale entrare nel l’anima profonda del continente. Un articolo è dedicato a Carlo Coccioli, un italiano medaglia d’argento della Resistenza fuggito in Messico perché omosessuale. Il quale ha trasformato l’amore per questo immenso e vivo paese in scrittura, l’interesse per le religioni orientali in un modo di viaggiare del corpo e della mente. Il libro si chiude con un commosso omaggio a Saverio Tutino, scomparso nel 2011, suo amico, compagno di viaggi e d’avventure, profondo conoscitore di Cuba e creatore dell’archivio dei diari di ogni ordine e grado, con annesso premio dedicato ai migliori scritti pervenuti.
Se la rivoluzione russa fu il grande mito dei nostri padri, nella prima metà del secolo breve, la rivoluzione cubana fu il piccolo mito della seconda metà del secolo, allevato da quelli che ora hanno i capelli bianchi. I quali a loro volta hanno fatto dei figli, lontani dalla politica e dalla letteratura, dai viaggi selvaggi e dalla conoscenza di luoghi estremi, dediti agli oggetti della tecnologia, pensando di trasferirsi a Londra dove trovare un lavoro, curando molto il piercing ed il tattoo, mentre cercano di difendersi dall’inquinamento globale e dal terrorismo fatto in nome della religione.
Questo libro proprio ad essi è dedicato, a raccontare quali furono le passioni dei padri, senza le quali questo mondo sarebbe più triste ed irrisolto, senza i quali questi figli non sarebbero mai nati.