Un filosofo al cinema
L’aporia di Woody
"Irrational man" di Woody Allen è una (meritoria) opera contro la filosofia corrente. Un film dove la logica dell'ingenuo-uomo-comune scardina la "morale" autoreferenziale dei filosofi
Irrational man: anche solo il titolo del film è già geniale. Una sintesi mirabile dell’intera Filosofia nelle sue tesi ed antitesi. Ma l’intero film è l’opera di un genio. E non solo per la profondità della cultura: ampie letture, profondamente meditate, e non solo filosofiche (da Delitto e Castigo, a I Miserabili, oltre che Kant, Kirkegaard, Heidegger, Sartre…). Genio è infatti in primo luogo chi vede (e dice) tutto ciò che gli altri non vedono pur avendolo sotto gli occhi. Genio è in primo luogo chi smaschera ovvietà. Che però sono ciò che più conta. Esse costituiscono infatti ciò che è diffuso e prevalente.
Ebbene, l’ovvietà che abbiamo sotto gli occhi è qui la moderna Filosofia nella sua deplorevolezza. Come edificio di sapere ma anche come istituzionalità del conoscere fondamentale, cioè filosofico.
È questo che Woody Allen osserva dall’esterno e nello stesso tempo da vicinissimo. Cioè in quella posizione (espostissima) che, entro la strategia militare, prelude immediatamente ad un attacco a sorpresa. E quindi è per definizione di avanguardia. La Filosofia non consente in genere a nessuno di assumere questa posizione. Essa non consente che la si osservi dall’esterno. Le mura dell’edificio sono pertanto circondate da immense estensioni di «no man land» e «no fly zone».
E se dunque questo è stato possibile a Woody Allen, ciò è stato dovuto in parte alle sue virtù (uno straordinario coraggio unito ad una geniale capacità di sintesi, frutto a sua volta alla saldezza di una limpidissima intuizione morale) ma in parte anche alle virtù proprie di quella che è l’Istituzione filosofica americana. Quella che lo stesso Woody Allen denigra come «non-continentale» (cioè indifferente alla morale al modo di un’analitica tutt’altro che esistenzialista), ma che, oggettivamente, rispetto alla filosofia invece «continentale», cioè europea (germanica e francese), ha almeno il gran merito di astrarsi completamente dalla morale invece che di pontificare, de-costruendola selvaggiamente.
Dunque sotto lo spietato quanto saggio mirino del microscopio alleniano cade quella Filosofia moderna che è nello stesso tempo tanto immorale (a-morale) quanto iper-morale, ovvero moralistica. Si tratta di un solo apparente dilemma aporetico. In realtà, dato che la lente di lettura di tale fenomeno è quanto mai semplice (si tratta del disorientamento derivante dalla disintegrazione della società andata di pari passo con la demolizione, primariamente filosofica, dei valori), l’aporia non esprime altro che la totale irresponsabilità civile dei filosofi (che è ancora maggiore quando è moralistica in senso paradossale). E questo è un tratto inconfondibile del moderno pensare canonico. Ma è la disintegrazione il fenomeno di fondo. I valori non sono infatti altro che il segno dell’integrazione di una società, civiltà e cultura. E dunque, in assenza di tale saldo appiglio (del pensare, del sentire e dell’agire), si può essere disorientati, depressi e tendenzialmente addict (come il Prof. Lucas) proprio laddove la sollecitazione morale è massimamente strenua, ovvero nei filosofi. Tale strenuità è infatti la stessa, indipendentemente dalla sua coloritura qualitativa : – positiva (Kant), negativa (Nietzsche).
Ebbene, la stridente contraddizione in materia di filosofia della morale, così come colta dal Prof. Lucas, è primariamente quella di Kant. Da qui, per lui, iniziano tutte le «stronzate» della filosofia ed inoltre la filosofia stessa come «stronzata». E ciò per un motivo validissimo, ovvero perché essa è tanto irresponsabile civilmente quanto non attiva. Cosa che le toglie (già da Kant in poi) qualunque titolo per pontificare su un pensiero fondamentale (puramente teoretico) della morale. Ed è proprio questo il focus del dilemma : – si tratta di quella filosofia di vita e prassi (crescita spirituale) che la filosofia antica aveva teorizzato, promosso ed affermato, mentre la filosofia moderna l’ha negata. La Filosofia, si dice infatti in tutte le Scuole planetarie (ma forse un po’ meno in quelle statunitensi), ha il solo e soltanto compito di pensare, e soprattutto di pensare-fondamentalmente (fondare l’azione). Ecco l’Husserl che Woody Allen non manca di menzionare. Assolutamente ridicolo, ovviamente! E Lucas ce lo spiega in modo inconfutabile. Infatti tutte le teorie filosofiche, oscurantistiche (pre-Kant), illuministiche (Kant) o rivoluzionarie e de-costruzioniste (post-Kant), o lasciano di fatto il mondo così com’è, oppure addirittura lo peggiorano. Come benissimo dice Lucas (con linguaggio raskolnikoviano), quando con tutta la ragione afferma che «gli scarafaggi vanno schiacciati!».
Tutto resta così com’è perché, mentre la filosofia aureamente e sovranamente pondera, la politica si muove secondo i dettami di quegli stessi filosofi (Machiavelli-Hobbes-Nietzsche-Heidegger-Scheler-Schmitt) che proprio su questo punto non sono stati capaci di star zitti. Lasciando così parlare chi ha titoli ben maggiori per farlo, ovvero un ben più saggio «common sense».
Ma sta di fatto che la filosofia di vita, così come concepita entro una Filosofia svuotata di senso, anima e spirito (come la circostante società), può agire solo producendo mostri ancora più orrendi. È esattamente quello che obietta a Lucas la bellissima allieva (tutt’altro che ammirata da Woody Allen appena libidinosamente!) che afferma di non riuscire ad argomentare efficacemente ma di riuscire però comunque ad intuire perfettamente ciò che è bene e ciò che è male. E per poco per questo non ci lascia la pelle. Dunque, il critico che ha visto in «questo rapporto a due» uno scadere della tensione iniziale del film, è semplicemente uno che non ha avuto il coraggio, la lucidità e la cultura (in sintesi il genio) di avvicinarsi alla cittadella della Filosofia così pericolosamente come ha invece fatto Woody Allen. Spinto giustamente ad abbandonare la pura teoresi per affrontare a viso aperto la prassi morale-civile, Lucas si è intanto fatalmente trasformato in un euforico e stenico Titano faustiano-nietzschiano-heideggeriano, ovvero in un assassino (prima come Raskol’nikov ma poi non come Jean Valjean!). E, mentre egli si gode intanto l’effetto Viagra di tale posizione, solo altri assassini egli potrà commettere (come gli aveva preconizzato l’allieva).
Così, Woody Allen può richiamarci ad una semplicissima morale intuitiva (quella di sempre e di quell’ingenuo-uomo-comune, che è così tanto disprezzato dai filosofi) solo sottraendoci al fascino luciferino delle sinistre e paurose oscillazioni e discontinuità (apiretiche, ma straordinariamente produttive quanto a pensiero canceroso) di quella Filosofia che intanto di fatto si è messa alla testa di una società e civiltà proprio in forza della pseudo-autorità concessale dalla sua stessa primaria (honor habet onus) perdita di punti di riferimento.
Insomma, decisamente c’era da meravigliarsi che nessun intellettuale avesse mai messo allo scoperto una problematica così evidente quanto drammatica. Woody Allen lo ha fatto, e con non poca maestria (con un film coltissimo, profondissimo, sensibilissimo, ironicissimo, benissimo scandito e perfettamente congegnato). Dunque bisogna rendergli solo merito.