Il dibattito sul nuovo razzismo
Dopo Colonia
Il New York Times chiede le dimissioni di Angela Merkel "colpevole” di favorire un nuovo nazismo con la sua “tolleranza“. Un obbrobrio politico e sociale, che annulla l'Occidente, i suoi limiti e i suoi valori
Con il titolo Germany on the Brink (Germania sull’orlo del precipizio) il New York Times del 9 gennaio ha chiesto, a firma di Ross Douhat, le dimissioni di Angela Merkel per “le sue follie idealistiche”. Si riferisce alla sua apertura sull’immigrazione, argomentando che i rischi di modificare la composizione etnica delle leve giovanili (nell’intorno superiore ai 20 anni) sono tremendamente pericolosi, poiché i nativi tedeschi sono pochi e gli immigrati arabi e africani sono molti e sono prevalentemente giovani e maschi.
Questo argomento è duro, non peregrino, degno di approfondimento, riguarda problemi di ampia portata e non recenti. Quelle denunciate sono tendenze che si manifestano da anni: proprio per questo, però, la conclusione del giornalista, e cioè che Angela Merkel per la sua recente apertura sull’immigrazione se ne debba andare, è completamente immotivata e tremendamente pericolosa. Non è certo la recente posizione della Merkel che determina i problemi rilevanti di coesistenza tra i giovani che arrivano e i giovani che risiedono. Questo cortocircuito commesso dal giornalista aiuta la confusione che si sta creando su questi temi delicati e aiuta gli estremisti xenofobi nella loro campagna foriera, quella sì, dei rischi di baratro.
Prontamente assistiamo gli effetti delle rappresaglie in Germania contro pachistani e siriani, finiti in ospedale: sono stati organizzati in rete da hooligan, buttafuori e simpatizzanti degli Hells Angels.
I delitti di Colonia e di altre città, molestia e violenza sessuale, rapina, non sono certo prerogativa degli immigrati: la violenza di gruppo contro le donne, la violenza contro i più deboli, sono presenti nelle società europee, anche nelle società europee più evolute, anche in quelle del nord Europa civile, tollerante, politicamente corretto e sessualmente avanzato. O crediamo che, se i volti erano scuri nella notte di Capodanno a Colonia, solo i volti scuri commettono simili efferatezze? Vediamo qualche dato. Secondo la Bild, settimanale tedesco di ampia diffusione, le imprese punitive contro immigrati sono state più di 800 nel 2015. L’Agenzia FRA (European Agency for Fundamental Rights) lamenta una carenza di documentazione statistica sul fenomeno della discriminazione in Europa e deve ricorrere ai dati del 2008, gli ultimi disponibili. Risulta che i più discriminati sono i Rom, la maggiore minoranza europea, con il 50% che dichiarava di aver patito discriminazioni negli ultimi 12 mesi, seguiti dagli africani sub sahariani con il 41% e dai nordafricani con il 36%. Concludeva che «la cacofonia degli argomenti razzisti e intolleranti influenza il comune sentire politico a livello nazionale e, più importante ancora, a livello locale, svilendo fiducia e coesione sociale e contribuendo al clima di paura e insicurezza tra i membri delle minoranze tecniche e religiose». Ha detto Emma Bonino che «sul corpo delle donne è passato di tutto, dai matrimoni obbligati alle mutilazioni genitali alla violenza domestica», insistendo sulla necessità di fare politiche che promuovano i diritti e i doveri dell’integrazione: un discorso che l’Europa e meno ancora gli stati, aggiungo io, vogliono fare.
Vediamo i dati sulla violenza contro le donne della rilevazione della FRA del 2014. Da cui risulta che, dopo i 15 anni, un terzo delle donne europee ha subito violenza o violenza sessuale; l’8% la ha subita nei 12 mesi precedenti l’intervista. Da cui risulta, inoltre, che l’11% ha subito violenza sessuale dal partner o da altri. Da cui risulta, infine, che il 5% delle donne è stata violentata.
La Cancelliera Merkel è preoccupata da PEGIDA, il movimento multiforme che sta prendendo piede a partire dalle città dell’est come Dresda, dove – in una città dove ci sono assai meno immigrati che nella media – con toni nazionalisti si oppone frontalmente «all’islamizzazione dell’occidente», alle «guerre di religione sul suolo tedesco» in nome del Popolo, secondo uno dei suoi slogan preferiti: «Wir sind das Volk». Non è nato con Capodanno né a Colonia PEGIDA, che giustamente preoccupa gli osservatori internazionali tra cui il New York Times. Ma agitare la sua stessa bandiera, quella di far cadere la Merkel, in un momento così critico e privo di leader del suo livello nel deserto europeo, sembra un delirio che ben poco si richiama alla tradizione liberale del giornale. Al NYT, che sembra averle dimenticate, ricordiamo le parole che Helmut Schmidt, recentemente scomparso, aveva detto un anno fa, certamente non sull’onda dell’emotività di Capodanno: alla Bild che sollecitava il suo giudizio sul movimento PEGIDA, rispondeva che le protese si richiamano a «pregiudizi ottusi di xenofobia e di intolleranza. Ma non è la Germania. La Repubblica federale non deve colpire i rifugiati e i richiedenti asilo. La Germania deve rimanere aperta e tollerante». La tradizione che Angela Merkel fino ad oggi ha difeso.