Un libro da non perdere
I tic della storia
Con "Eccentrici" Geminello Alvi torna alla sua idea di catalogare il mondo attraverso brevi biografie che colgono il senso di un una vita in un particolare apparentemente insiginificante
A vent’anni da Uomini del Novecento, nel suo recente Eccentrici (Adelphi, 2015, 184 pagine, 13 euro) Geminello Alvi allinea altre biografie brevi, anzi brevissime, di persone variamente memorabili, con una preferenza quasi esclusiva per chi è vissuto nel secolo scorso o a cavallo tra Otto e Novecento, epoca indubbiamente favorevole all’eccentricità, come già aveva dimostrato Paolo Albani coi suoi “mattoidi” e come conferma Alvi allineando profili di trasvolatori audaci, alchimisti fuori tempo massimo, scienziati anticipatori, ciclisti scorrettissimi o marciatori impeccabili: epoca in cui il culto per l’impresa eccezionale s’incrocia in modo inedito con la partecipazione di massa che presto sfocerà nello star system – o, più malinconicamente, nei cinque minuti warholiani di popolarità per tutti.
La scelta della biografia breve (quattro pagine scarse, in media) e la limpida eleganza dello stile d’ascendenza rondesca, lavoratissimo nelle preferenze per il vocabolo ricercato (non desueto ma raro) e per qualche originale forzatura sintattica, ci fanno accostare queste “vite” di Alvi ad altre biografie rapidissime o para-biografie di marca iperletteraria, come quelle di Eugenio Baroncelli o di Edgardo Franzosini. Eccentrici è, insomma, una lettura per palati raffinati, adusi al piacere dell’apprendimento, quando leggono ricostruzioni di stampo quasi erudito di vicende poco note come quella della digiunatrice Therese Neumann o del grande pugile “scientifico” Gene Tunney, o al piacere del ritrovamento di vicende già ben note ma sempre ricche di sfaccettature nuove, come quella pirandelliana di Cary Grant (cara pure a Baroncelli) o quella così triste, solitaria y final di Emilio Salgari.
Che scriva di cineasti sottovalutati (magistrale il profilo di Buster Keaton!) o di scrittori quasi dimenticati (Pizzuto), di avventurieri (Ned Buntline, il barone von Ungern) e rivoluzionari (Amadeo Bordiga o Pancho Villa) mai sazi di nuove esperienze oppure di tranquilli scrittori “padri della patria” come Collodi o Artusi, è sempre ammirevole la capacità che Alvi dimostra di saper cogliere in un episodio, in un tic, in un particolare il riassunto di una vita, o del senso profondo di essa. Soprattutto se lo fa privilegiando prospettive sghembe e inusitate, come il profilo di Tolkien “filologo” o quello di Colette tracciato attraverso la biografia del marito, “monsieur Willy, agorafobo”.
Il libro di Alvi risulta un po’ meno convincente quando il profilo d’un attore rimane schiacciato da quello d’un suo personaggio memorabile (il George Bailey di James Stewart o la Garance di Arletty: ma quanto sono belle le pagine dedicate a Les enfants du paradis!) o quando l’eccentricità del biografato non è di immediata evidenza (è il caso di Mario Bava): ma, a parte queste minime mende, leggendo Eccentrici si rimane non solo ammirati per il cesello del singolo capitolo-biografia, ma soprattutto affascinati dalla capacità di fare “reagire” l’eccentricità del biografato con il “sapore” del tempo che ha vissuto: che si tratti del tramonto d’una civiltà (si legga di Geronimo, capo indiano, e del suo malinconico trascinarsi tra i tendoni d’un circo) o del sigillo d’un destino incastonato nel pieno “senso” del Novecento (si veda almeno il capitolo su Yves Klein), la nozione di eccentricità risulterà, in fondo, non il segno d’una marginalità bizzarra e recintabile in un girone di sconfitti, folli e infelici ma piuttosto la cifra indelebile, di segno positivo e negativo insieme, d’un secolo che, pur funestato da orrori apparentemente senza fine, ha portato allo zenit le capacità dell’uomo di guardarsi dentro, di giudicarsi, di fare i conti con la propria coscienza (magari infelice).