Valentina Fortichiari
Un trattatello e cinque racconti

Giorello e l’acqua

Il filosofo della scienza affronta con humour il tema della “Libertà” e ne “Il fantasma e il desiderio” da provetto narratore prende spunto da divagazioni filosofiche per raccontare storie «da nulla e sul nulla». E sempre ritorna la metafora dell’acqua…

Se Machiavelli aveva paragonato il corso degli eventi a uno di quei fiumi che quando sono in piena esondano, il suo amico Leonardo da Vinci vide per la prima volta un’esondazione, quella terrificante dell’Arno, quando aveva 4 anni, acciuffato per un braccio dal nonno Antonio che lo mise in salvo. Molti anni dopo, Leonardo concepì l’idea – un po’ folle per l’epoca – di deviare il corso di quel fiume che gli aveva evocato una lotta per la vita e per la morte: scopo dell’opera – poi inconclusa (l’incompiutezza, il lato debole dell’artista toscano) – non era soltanto il tentativo di mutare il corso degli eventi nella guerra tra Firenze e la rivale Pisa, ma soprattutto di mostrare al mondo che l’acqua la si poteva addomesticare, domare, imbrigliare e addirittura condurre altrove. Potenza dei geni rinascimentali.

Giorello cop 1Giulio Giorello apre con Machiavelli il suo recente saggio Libertà (Bollati Boringhieri 2015, 175 pagine, 11 euro), piacevolissimo trattatello sul libero arbitrio e contro la schiavitù delle passioni. Riferimenti all’acqua, metafora di rivolgimenti non sempre pacifici, tornano a proposito di Melville e di Benito Cereno, a suo parere un apologo della opposizione inesauribile tra potentia dei singoli individui e imperium delle strutture del potere. La vicenda narrata sarebbe un esempio di come in mare, su una nave negriera, il potere del master possa capitolare di fronte a uno schiavo che abilmente lo tenga in scacco e sobilli i suoi simili all’ammutinamento. Il territorio franco delle acque marine è anche qui il campo di una lotta per la vita e per la morte. Del resto, in tutte le vicende di costituzioni sospese tra imperium e potentia, si iscrive anche il dramma di Ulisse e delle Sirene. Ai suoi marinai Ulisse diede cera per le orecchie, ma se ne guardò bene dal privarsi del canto ammaliatore: in questo caso, ci spiega Giorello, la conoscenza è lo strumento perché i marinai di tutto il globo possano riacquistare la pienezza della potentia (desiderio di conoscenza forte quanto quello dell’amore). E che dire allora di un vero pirata? Nell‘Isola del tesoro Stevenson attribuisce a Jim Hawkins, ormai «adulto e imborghesito», la nostalgia per la canaglia dei mari che gli aveva fatto assaporare la carezza di un vento di libertà: non era forse l’atmosfera che si respirava sul ponte dei vascelli della Grande Pirateria la sola vera libertà? (nessun dubbio a chi vadano le simpatie di Giorello).

Nel saggio sulla Libertà, originale repertorio di esempi e inni al corollario più importante – la mente -, Giorello addita con il consueto humour le sue preferenze: i modelli di libertà, indipendenza, emancipazione, e racconta con brillanti virtù oratorie. Se a queste si aggiunga il gusto per l’arte pura del narrare, ecco allora un felice esordio nel libro intitolato Il fantasma e il desiderio (Mondadori 2015, 104 pagine, 18 euro): cinque divagazioni in forma di racconti, dove il divertissement è assicurato, a Giorello nello scrivere e al lettore che sotto l’atmosfera gotica in certi passaggi evocante Thomas Hardy (Jude l’oscuro), avverte sempre il guizzo dell’ironia e del grottesco, e il gusto della battuta che mai, al momento giusto, abbandona l’autore. I racconti prendono spunto da divagazioni filosofiche, paesaggi e personaggi congeniali, spiritelli ovvero scherzi non proprio innocenti della fantasia, tra i quali Giorello si muove con l’abilità disinvolta di un vero scrittore.

giorelloMa è ancora l’acqua a generare stupore in chi legge. Se nel quinto e ultimo racconto Fuoco nella pianura, Roberta, la protagonista femminile dall’esuberante sensorialità, si immerge nel tepore dell’acqua delicato e protettivo dove la mente ondivaga come il liquido della vasca può vagabondare senza meta, poco dopo l’acqua gelida che beve la risveglia di colpo, preludio a un dramma («Era quasi sera quando lo vide») al quale a fatica potrà sottrarsi, nel finale. La morale? mai innamorarsi di una non entità che medita di farci la pelle.
Nel Prologo, Giorello parla di fantasmi, ovverosia di spettri, spiriti disincarnati che altro non sono se non creature di un desiderio perpetuamente insoddisfatto, finzioni del nostro animo tormentato. Ma si chiede: siamo noi a dare vita ai nostri fantasmi, oppure sono loro che l’infondono a noi? Nell’Epilogo, una precisazione: «I morti non sono più, ma proprio per questo i loro spettri cominciano a frequentare le nostre dimore». E per stare alla sostanza, siano essi libertari o libertini (e si noti, anche qui, la radice della parola libertà, declinata tra ideali e piacere), gli spettri ci tengono comunque allegri a patto di non prenderli troppo sul serio.

E allora, venendo ai racconti, se il primo è un omaggio al filosofo preferito, Spinoza, il secondo un gioco di specchi tra credulità e incredulità, il terzo la cronaca di una inquietudine, il quarto, Le foglie della Sibilla, che è forse il racconto migliore, ci riporta al tema dell’acqua. Narrato in prima persona («Era la mia ultima estate…»), è una reminiscenza autobiografica della passione per la logica e la matematica, insorta sin da quando, Giorello, preparando la sua tesi di laurea in filosofia sull’ipotesi del continuo formulata da Georg Cantor, era stato colpito dalla battuta di questo grande e sfortunato visionario, per il quale «l’essenza della matematica è la sua libertà». Tra le nebbie persistenti e sottili del Mare del Nord, sull’onda dell’ispirazione di Cantor, può allora capitare che un bizzarro personaggio di nome Corrado Bozzolo, autore di una teoria degli insiemi che simulano l’abisso, finisca cadavere nei fondali, sconciato dalle correnti e dalle rocce. In un’atmosfera spettrale e lunare, una mano enorme, emersa da un ribollio di onde, si sarebbe avventata sul promontorio di St. Andrews in cerca di qualcosa. La mano aveva ghermito il malcapitato, capace soltanto di emettere un urlo disperato e umano, terribilmente umano, e poi si era inabissata con la sua preda.

Giorello cop 2È evidente che negli incubi dei filosofi, i quali preferiscono tenersi a debita distanza dal mare, l’acqua è un abisso di creature spaventose. Sarebbero, esse, le cose che non comprendiamo e che la Scienza in taluni casi farebbe ben poco per comprendere? Finzioni della mente? Può darsi. Ma se davvero le tre spie di qualsiasi realtà virtuale sono tempo reale, interattività e immersione, è lecito pensare che soprattutto la terza, l’immersione, sia preferibile purché in un liquido come una pinta di ale o un eccellente Sauternes, onde placare eventuali suggestioni troppo immaginifiche in uno stato di totale smemorato benessere. In ogni caso, leggendo questi racconti «da nulla e sul nulla», il lettore faccia suo l’atteggiamento di distacco e ironia dominante in ogni pagina, tanto più se gli è stato assicurato che i fantasmi NON ESISTONO.

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