Fa male lo sport
Doping, la storia infinita
Ora è il turno dell'atletica russa. Ma questa ultima inchiesta che mette sotto accusa un sistema di “farmacia statale” troverà credibilità solo quando tutti i santuari del malaffare e delle formule chimiche, diffusi ovunque, saranno esplorati
La corruzione della Fifa, i “biscotti” nel motociclismo, e ora il doping di Stato dei russi. Dovunque ti giri, lo sport emana un odore nauseabondo, una puzza di fogna a cielo aperto. Ogni tanto c’è un sussulto, una indagine, una squalifica. La società che corre e suda aderisce perfettamente a quella che trascorre le giornate a corrompere e a titillare il malcostume. Siamo in un mondo globalizzato anche in questo. E visto che di mezzo c’è la Russia, già si titola sulla nuova “guerra fredda”, così lo sport assorbe anche le tensioni sullo scacchiere internazionale.
Sono stati “pizzicati” gli atleti di Putin. Che hanno le loro colpe: forse l’atletica russa non andrà alle Olimpiadi di Rio del prossimo anno. Ma sia chiaro: non si possono alterare le prestazioni in modo così vistoso, non si può buttare dentro un corpo tutte quelle sofisticatissime schifezze senza il timbro e la complicità di chi sta in alto. Dai tecnici ai presidenti delle federazioni, fino ai responsabili politici. Ai servizi segreti. Lo sappiamo, l’Est europeo è stato maestro di mostruosi inganni: la Ddr, l’Urss, la Cecoslovacchia, la Romania hanno praticato negli anni il doping di Stato, un disegno criminale e diffuso, tollerato da chi nel passato, sull’altro fronte, quello sportivo, ha permesso ogni cosa: ormoni alterati, sangue risciacquato, muscoli gonfiati come quelli dei vitelli. Ma non è che il cosiddetto “mondo libero”, come si diceva una volta, sia rimasto a guardare. Al contrario, l’Occidente si è industriato ad affinare le tecniche e la chimica, a sfuggire ai controlli, a godere di complicità corrompendo e blandendo. Qualche anno fa parlavamo dello scandalo Armstrong o dei cinesi, adesso parliamo della Savinova e della Poistogova (nelle foto sopra). E un rapido ritorno al passato, riporta alla mente le Tamara Press o le nuotatrici tedesche, oppure Ben Johnson, oppure le Olimpiadi di Los Angeles, vero trionfo dello sport alterato dalla farmacia. Degli atleti sono morti per certe pratiche. Ma a ogni allarme, alle denunce è corrisposto una scrollata di spalle. Il potere vuole le medaglie, il pubblico chiede lo spettacolo: questi i ritornelli a ogni latitudine. In Occidente e in Oriente, al Nord e al Sud del mondo. Con la benedizione dell’industria farmaceutica, degli sponsor, dei mass media. Senza che uno solo di quelli che dovevano sorvegliare e reprimere battesse ciglio. Al contrario, spesso favorendo e incoraggiando. Coprendo.
Non bisogna andare molto lontano, arrivare fino in Russia. Li avevamo anche in casa, gli indifferenti, chiamiamoli così. Primo Nebiolo, ad esempio, padre-padrone dell’atletica mondiale negli anni Ottanta e oltre. Il professor Francesco Conconi, scienziato e “facilitatore” di tante pratiche, il suo allievo Michele Ferrari. Il Coni per un lungo periodo ha accolto a braccia aperte i dottor Mabuse. Il Comitato olimpico internazionale ha fatto anche di peggio. Perché i parrucconi del Cio hanno ricche rendite e bustarelle sottobanco per chiudere occhi e orecchie. Non hanno mai detto ad esempio al signor Lamine Diack (nella foto a sinistra), presidentissimo dell’atletica leggera mondiale fino a ieri, di farsi un pochino da parte. Il senegalese, successore di Nebiolo, adesso è sotto inchiesta della magistratura francese. I buoi però sono, nel frattempo, scappati. Ma forse il peccato più grande dello sport e dei suoi dirigenti disonesti è proprio quello di subire i diktat dei governi. Persino la Giamaica si è opposta a indagini più severe sui propri atleti, a cominciare da Usain Bolt. Così la polvere si accumula sotto il tappeto. Di tanto in tanto si dà una spazzata.
Allora, questa ultima inchiesta che mette sotto accusa tutto un sistema di “farmacia statale” troverà credibilità soltanto quando si allargherà e illuminerà gli angoli più bui. Tutte le imprese agonistiche, a una a una, vanno messe sotto una lente di ingrandimento. Lo sport mondiale ha bisogno di un bagno di credibilità, di lavare i panni sporchi di fronte all’opinione pubblica mondiale, di esplorare i santuari del malaffare e delle formule chimiche. Di abbattere i colossi gonfiati e intoccabili. L’impressione però è che ci si muova sempre verso le discipline più deboli, meglio, meno forti di altre che hanno dalla loro parte multinazionali miliardarie, la loro corazza impenetrabile. Comandano contratti e affari. Non che l’atletica leggera non munga latte da mammelle prosperose. Il giorno però in cui ci spiegheranno, senza ingannarci, come un calciatore riesca a sopportare la fatica di una partita dietro l’altra o come un tennista possa affrontare tanti tornei ravvicinati, allora forse si potrà smettere di diffidare e di non credere a quello che si vede.
Questo è lo sport moderno, bello e farlocco. Il terribile sospetto è che piaccia proprio così, nonostante tutto.