Tra cinema e mito
Edipo e Ascanio
Il nuovo film di Ascanio Celestini, "Viva la sposa", può essere letto come una (moderna) tragedia greca sul legame tra generazioni diverse. E le colpe che rimpallano dalle une alle altre
Non essere nati è condizione
che tutte supera; ma poi, una volta apparsi,
tornare al più presto colà donde si venne,
è certo il secondo bene.
Sofocle, Edipo a Colono.
Come in ogni storia che si rispetti, partiamo dall’inizio. «Era meglio non foste mai nati», dice una madre ai figli. «Sarebbe stato meglio non fossi nata neanche io», dice a se stessa. È con una sentenza da tragedia greca che si apre Viva la sposa, nuovo film di Ascanio Celestini, una storia-non storia ambientata nel sottobosco del quartiere romano del Quadraro. Diciamo sottobosco poiché nei personaggi che popolano il film, siano essi protagonisti o comparse, aleggia una accettazione passiva del proprio posto nel mondo, senza domande o pretese verso la loro condizione. Di certo in tale dimensione nessun personaggio rischia di macchiarsi di ùbris, non c’è nessuno che spicchi o voglia spiccare per qualche ambizione, per qualche velleità, sia essa nel campo dell’onestà o in quello del crimine.
In una quasi unità di luogo (il film è girato in uno spazio compreso in un chilometro per cinquecento metri) si svolge la vita di una anomala famiglia allargata e le poche figure che gli ruotano attorno. Rapporti umani al grado zero, senza fronzoli, senza ipocrisie, a volte crudi come può essere cruda la vita banale e quotidiana di tutti noi.
Ahi, generazioni dei mortali,
come pari al nulla la vostra
vita io calcolo!
Sofocle, Edipo Re.
Viva la sposa è un romanzo corale, in cui la vicenda s’intesse grazie alla partecipazione degli abitanti del quartiere, ma non si tratta di una partecipazione vera, attiva. Queste comparse sono comparse nella loro stessa vita. Vivono e si lasciano vivere dagli eventi, come rassegnati al destino, senza prendere con consapevolezza decisioni sul loro presente e futuro. Come nell’antica Grecia i protagonisti delle tragedie agivano spinti dagli dèi, più umani e volitivi degli uomini stessi, questi personaggi si lasciano guidare dal caso, nel loro stato di incoscienza esemplificato da Nicola, perennemente ubriaco nel corso del film, ma che si può imputare anche a chi nella vicenda rimane sobrio.
Tutte le figure della storia oscillano al limite tra i comportamenti onesti, socialmente accettati e il crimine, la stigmatizzazione, facendoci ricordare, e non è mai di troppo il rammentarlo, quanto sia labile il confine tra giustizia e reato, tra inclusione e marginalizzazione rispetto alla società. Il ragazzo onesto che finisce ladro, chissà se per una volta o per sempre; il Concellino che muore vittima del “mestiere” truffaldino insegnatogli dal padre, e di cui egli stesso era morto; il poliziotto vittima del suo ruolo che finisce per distruggere il lato più umano di se, che pure era venuto a galla in altre circostanze.
Di quanto ti riguarda, non dico nulla: imparerai da te stessa come si ritorce il castigo. Non ora per la prima volta ritengo che le cose umane sono un’ombra; e senza timore affermo che quelli che credono di avere intelletto sapiente e acuto, meritano la punizione più grave. Fra i mortali non esiste uomo felice: certo, se gli arriva la prosperità uno può diventare più fortunato di un altro, ma felice mai.
Euripide, Medea.
Viva la sposa è un film che racconta di figli vittime delle colpe dei padri, e di figli che diventano padri e perpetuano il mìasma, la contaminazione. Di vittime che diventano carnefici di se stesse e del prossimo, ma non ci sono più dèi a cui appellarsi, né voti o sacrifici per ingraziarseli.
Aristotele, nella Poetica, afferma che assistere alla rappresentazione di una tragedia, nonostante o proprio grazie al suo portato di orrori e nefandezze, ha l’effetto di purificare lo spirito dello spettatore, che esce dal teatro arricchito da un insegnamento fondamentale per la vita della società tutta. Oggi proporre una morale non va più di moda, e non è certo questa pellicola a fare eccezione. L’occhio del regista registra, penseranno i giudici a giudicare. A ognuno il suo mestiere.
Altro elemento fuori dal comune, la ripetuta apparizione della sposa. Una sequenza che intervalla lo svolgersi della vicenda con la sua danza lieve tra le macerie vere o metaforiche delle città. Il coro commentava o per lo meno intervallava l’azione tragica con canti e semplici passi di danza da una postazione altra rispetto alla scena degli attori, ma che si trovava sempre all’interno del teatro, l’orchestra. In modo simile la sposa condisce la storia da luoghi altri: la televisione, L’Aquila, il centro città, e anche quando i due mondi si toccano, alla pompa della benzina, la sua figura è lontana, e la vicinanza dura lo spazio di un momento.
Giunta all’estremo ardimento
contro il soglio eccelso di Dike
cozzasti, o figlia, fortemente;
e sconti una colpa paterna.
Sofocle, Antigone.
Un commento a parte va riservato alla questione della giustizia e dell’interpretazione che di essa si inevitabilmente gli uomini danno, dall’antichità ad oggi. Anche in quest’ambito troviamo interessanti riscontri che ci riportano alle vicende narrate nell’Antigone. Nella tragedia Creonte impone la sua legge con la forza e sfida le norme dell’affetto familiare, che rispettano invece la legge degli dèi, ma viene sfidato a sua volta dalla forza di una sorella, Antigone, che per pietà umana e per rispetto agli obblighi del rito vuole dar degna sepoltura a entrambi i suoi fratelli.
Nel film è ancora la voce di una donna a smascherare la violenza, fuori da ogni legge, delle forze dell’ordine che non esitano a ribadire il loro potere con metodi che si spingono al di là di ogni norma umana. Ancora una sorella che denuncia la sopraffazione della legge, o meglio, dei suoi tutori che talvolta forniscono una loro personale e discutibile interpretazione del potere.