Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Dei delitti imperfetti

Friedrich Durrenmatt a Berna, Alicia Giménez Bartlett a Barcellona, Andrea Camilleri a Vigata: tre modi diversi di intendere la narrativa di genere. E di risolvere gli enigmi della vita

Imprendibile. Questo ammirevole intreccio che unisce suspance e ricchezza concettuale, lo svizzero Friedrich Durrenmatt l’ha pubblicato su un su una rivista (a puntate) tra il 1950 e il 1952. L’anno dopo è finalmente diventato libro. Oggi lo ripropone la Adelphi (Il giudice e il suo boia, 121 pag, 15 euro). Tutto parte in un’osteria affacciata sul Bosforo, decenni prima di un delitto nella zona del Giura. Una scommessa sul delitto perfetto, ma non riveliamo chi furono gli interlocutori. Dicevamo del delitto: il sottotenente Schmied viene trovato nella sua Mercedes blu, dalle parti della poco conosciuta Lamboing, con un proiettile in testa.  Se ne occupa un commissario Barlach, di Berna. È ormai anziano e gravemente malato.  Afferma subito di conoscere l’autore dell’omicidio. Per le indagini, che Durrenmatt pensa sempre debbano essere severe, anzi accanite, i suoi superiori gli affiancano il superattivo Tschanz, poco considerato nella gerarchia poliziesca ma astuto e perseverante. Sarà lui, in quei giorni, a prendere in mano il caso.

Friedrich Durrenmatt il giudice e il suo boiaMa Barlach s’imbatte in una cortina di silenzio e di omertà, che coinvolge, per ragioni politiche, anche il giudice istruttore. Una strada impervia. Si viene a sapere che la vittima frequentava la villa di Lamboing, di proprietà di un certo Gastmann, il cui legale praticamente sottrae a ogni confronto. Faticosamente emerge una verità scomoda: il sottotenente frequentava la villa di Gastmann passandosi per un professore autorevole. Durrenmatt si muove in labirinti oscuri. Il sottufficiale non aveva ricevuto l’incarico di spiare Gastmann. Lavorava in proprio, venendo a sapere di trattative commerciali segrete con esponenti di una potenza straniera. L’autore di quel che è riduttivo chiamare thriller ha poca considerazione per i suoi connazionali: «Mancano di un pensiero europeo e di apertura al mondo». E ancora: «Berna è una città filistea, addormentata, dove non sai mai con sicurezza quanto ci sia di morto e quanto di ancora vivo». La soluzione del caso  sorprendente. Brutta fine per un uomo che spavaldamente ha fatto carriera. In nome del delitto. Che perfetto non è mai. O sì?

Sei casi per Petra DelicadoFesta gay. Fantastici quei due poliziotti di Barcellona. Battibeccano spesso. Lei ha la lingua tagliente, lui è lunatico, scontroso, ma scrupoloso. A volte paiono Stanlio e Olio. E come quegli attori si vogliono molto bene, anche se lei è perentoria e lui brusco e sovente bastiancontrario. Parliamo di Petra Delicado e di Garzòn Frmin. Lei è ispettrice, lui è il suo diligente vice. Sono – e lo sono da anni – creature dei gialli “sociali” i personaggi dei thriller della bravissima Alicia Giménez Bartlett, autrice anche di romanzi non polizieschi, alcuni dei quali raffinatissimi. La Sellerio ha appena pubblicato una raccolta di sei racconti (Sei casi per Petra Delicado, 298 pag. 14 euro). Ognuno mette fretta di andare alla fine. Scegliamo a caso: “Carnevale diabolico”, che si svolge nel comune di Siges. Frenetica baldoria di un gay pride. Tutti in esagerate e variopinte maschere.. Verso le tre di notte si accascia a terra un uomo robusto vestito tutto di rosso. Due coltellate. Si sa solo questo, a parte il sospetto, ovvio, che sia un omosessuale. È poco, molto poco, per far partire l’inchiesta, tra la gente che al mattino parla di scandalosi “froci”, destando l’irritazione di Firmin, padre di un uomo “sposato” in America con un giornalista di rango. Segno che il viceispettore dà prova di non aver digerito le scelte sessuali del figlio, che però difende atteggiandosi a progressista.  Non si conosce il nome della vittima, trovata fradicia perché una donna stizzita gli ha scaraventato dal balcone un secchio d’acqua: «Uno dei tanti ubriaconi». Domande porta a porta, appello sui giornali. Niente. Finché i due sbirri hanno l’idea di esaminare i filmati di un’emittente locale. Alla fine spunta il nome, Manolo, del diavolone che saltellava, prima di essere avvicinato da un tale vestito da borghese elegante: che ci faceva lì? Il palestrato ultracinquantenne era stato istruttore in varie palestre e allenatore di una squadra di calcio giovanile. Poi fu lasciato per strada. Il suo computer contiene filmini pedopornografici, ma di tipo “light” come dice un esperto. S’interroga un prete, ed qui la svolta. Motivo della violenza: la vendetta. Per quali motivi? Ovviamente non lo riveliamo.

Andrea Camilleri Le vichinghe volantiFantasmi. Quel vulcano narrativo che è Andrea Camilleri non smette di stupirci, se non altro per la sua prolificità.  Otto racconti, ambientati in quella Vigata che è sempre stata il fondale più riuscito per le sue invenzioni. Storie bizzarre, burlesche, alcune boccaccesche, tutte ambientate tra il 1910 e la metà del secolo. Nessuna apparizione, ovviamente, del commissario Salvo Montalbano. La raccolta è appena uscita dalle stamperie della Sellerio e s’intitola Le vichinghe volanti (e altre storie d’amore a Vigata). Stramberie, talvolta sottilmente comiche, che s’intrecciano con banali giochi del potere politico. Nel racconto “I fantasmi” si mischiano la burla e lo “scanto” (spavento), a tal punto da rischiare, tra lunatici, matti e burloni, una sorta di epidemia. Ovvio che prima o poi se ne occuperà anche la stampa nazionale. Il sindaco ne è atterrito, il rischio è quello di cedere la poltrona ai comunisti. Tutto comincia quando il povero Turi Persica esce, molto tardi, dalla taverna dell’amico Niccolò. Ubriaco, torna a casa rispettando la linea del consueto percorso e delle sue soste (per urinare e riflettere). Anche quando piove. Vede improvvisamente il fantasma vestito come uno dei moschettieri, la testa a forma di palla bianca. S’ammala. Il medico intuisce che non è polmonite ma proprio lo “scanto”. Altri s’imbattono in fantasmi direi classici, ossia ricoperti da un lenzuolo. Riunoni, delegazioni a Montelusa, intervento del parroco, arrivo, addirittura di un vecchio esorcista dalla Basilicata, la cui diagnosi è secca: mi occupo di possessioni diaboliche e non di fantasmi. Vengono programmate una messa solenne e “processioni di quartiere”. Poi il parroco fa tre passi indietro. Sarà il commissario Bennici, molto pragmatico, a scoprire che Vigata non è in alcun modo “infestata” da anime “non in pace”. E allora? Il moschettiere voleva fare solo uno scherzo, mentre il fantasma con il lenzuolo bianco, poi individuato, ricorreva a questo metodo per incontrarsi indisturbato con una donna sposata. È la Sicilia delle corna. Corna come infezione o peste sociale.

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