Ritratto d'artista
Il teatrante ultrà
«Gli opposti vincono sempre. Nulla è più odioso che litigare con chi la pensa come te, e proprio perché la pensa come te». Vita e teatro secondo Giuseppe Manfridi
Nome e cognome: Giuseppe Manfridi.
Professione: Autore.
Età: 59.
Da bambino sognavi di fare l’attore? Sì. Altrimenti poi, crescendo, non avrei mai fatto teatro. Non esiste allenatore che da ragazzo non abbia al minimo sognato di fare il calciatore. Impossibile.
Cosa significa per te recitare? Fare finta di fingere, con la consapevolezza di mostrare un mio modo di essere vero a chi ritiene che fingo.
Il tuo film preferito? Dubliners di John Huston.
Il tuo spettacolo teatrale preferito? (Fatto da te o da altri): Danza d’amore sotto gli olmi di O’Neill con la regia di Matthias Langhoff, visto a Parigi nei primi anni Novanta.
Qual è l’attore da cui hai imparato di più? Roberto Herlitzka. Ma non posso non citare anche Vittorio Gassman. I grandissimi insegnano sempre, anche a chi impara poco.
Qual è il regista da cui hai imparato di più? Strehler, vedendone gli spettacoli.
Il libro sul comò? Una notte con Amleto di Holan. È un libro di poesie.
La canzone che ti rappresenta: Knocking on Heaven’s Door di Bob Dylan.
Descrivi il tuo giorno preferito. La Roma vince, la Lazio perde. Il tutto condiviso con Lori e Lele, i miei ragazzi.
Prosecco o champagne? Champagne.
Il primo amore, lo ricordi? Certo. Fiorenza, di Firenze, conosciuta in montagna. Eravamo adolescenti.
Il Primo bacio: rivelazione o delusione? Rivelazione. Cosmica. Il ricordo di quelle labbra è il ricordo di un volto, di un corpo, di tutto. Ancora le vedo nell’attimo in cui si avvicinano alle mie.
Strategia di conquista: Qual è la tua? È cambiata negli anni. Oggi debbo essere più che sicuro di interessare per mostrare a mia volta che mi interesso. Quand’ero giovane cercavo piuttosto di suscitare interesse presso coloro a cui ritenevo di non interessare affatto, e questo mi faceva essere tanto sfacciato da rendermi spesso seducente.
Categorie umane che non ti piacciono? Quelli che tifano per altre squadre che non siano la Roma. Dentro sono rimasto sempre un ultrà, fazioso e scorretto. E sono determinato a non cambiare.
Classifica per sedurre: bellezza, ricchezza, cervello, humour. Dipende dalla dote posseduta in misura maggiore. Va sfruttato quello che si ha. Nel mio caso, lo humour è giocoforza il talento prediletto.
Il sesso nobilita l’amore? O viceversa? La parola “amore” è un vestimento della tensione sessuale. Il sesso contiene l’amore. Altrimenti, parliamo di affetto, di amicizia, e di inclinazione cristiana.
Meglio le affinità elettive o l’elogio degli opposti? Gli opposti vincono sempre. Nulla è più odioso che litigare con chi la pensa come te, e proprio perché la pensa come te. Litigare con con chi ci è avverso significa spesso, invece, l’avvio di una copula.
Costretto a scegliere: cinema o teatro? Da spettatore, cinema. Da autore e interprete, teatro.
C‘è qualcosa che rimpiangi di non avere detto a qualcuno? Anche se adesso non mi viene in mente cosa avrei potuto dire né a chi, ho già vissuto troppo per rispondere no. Anche se sono convinto che quanto avrei potuto dire e non ho detto, difficilmente avrebbe cambiato il corso delle cose.
Shakespeare o Beckett? Shakespeare. Poiché Shakespeare contempla anche Beckett.
Qual è il tuo ricordo più caro? Il primo scudetto della Roma, nell’82.
E il ricordo più terribile? Il giorno in cui la gattina che avevo regalato a mia mamma, che era reduce da una gravissima operazione, è morta schiacciata dietro un divano spinto contro la parete da mia nonna, inconsapevole del fatto che la gattina fosse lì.
L’ultima volta che sei andato a teatro, cos’hai visto? Un mio testo fatto da Paolo Triestino ai Giardini della Filarmonica: Real Madrid-Roma 1-2.
Racconta il tuo ultimo spettacolo: Lo sto portando in scena in questi giorni, come autore, interprete e regista. Conversazione sul luogo dell’incidente (Trasfigurazione cruenta di Jackson Pollock). Racconta l’atto finale della vita di Pollock, che si ritrova in un bosco lunare assediato da cataste di bottiglie vuote, a dover fronteggiare l’incalzante dialogo che gli è imposto da una giovane donna che lui stenta a riconoscere. Si tratta di Ruth Klingman, la sua ultima amante. D’altronde, l’uomo stenta a ricordare anche il proprio nome.
Perché il pubblico dovrebbe venire a vederlo? Perché il pubblico deve fare il pubblico, innanzitutto. Nello specifico, confido nell’attrattiva dei noir, e questo è un noir. E perché la mia storia impone un enigma la cui suggestione che non dovrebbe risolversi con la fine dello spettacolo. Anzi.
Il mondo del teatro è veramente corrotto come si dice? Il mondo è corrotto come si dice. In questo caso, il teatro non sarebbe che una sineddoche del mondo. Una parte per il tutto. Comunque, no. Il teatro è l’ultimo linguaggio umanistico che ancora resista.
Come e dove ti vedi tra cinque anni? Temo qui. E temo di trovarmi così come sto adesso, ma peggio di così. Mi piacerebbe sapermi in un paesino irlandese con una donna che ancora non conosco.
La cosa a cui nella vita non vorresti mai rinunciare. Posto che tutto viene dopo i miei figli, la mia squadra.
Quella cosa di te che nessuno ha mai saputo (fino ad ora). Nessuno, nessuna, potrebbe dire con certezza quale sia la donna che ho veramente amato. Io sì.
Piatto preferito: Gli agnolotti col sugo che preparava la mia tata pugliese. L’ultima volta che li ho mangiati avrò avuto al massimo quattordici anni. Mai dimenticati.
Le scuole di recitazione servono o quel che conta è avere fortuna? Servono. Danno strumenti e consapevolezza. In più, consentono complicità tra simili.
C’è parità di trattamento nel teatro tra uomini e donne? Sostanzialmente, sì.
Mai capitato di dover rifiutare un contratto? Sì, ovvio. Per vari motivi. Inconsistenza economica, poca qualità del progetto, coincidenza con altri impegni. Personalmente, comunque, non rinuncio mai a nulla a cuor leggero. Prima, tendo sempre a domandarmi: non è che rinunci perché temi di non riuscire? Dopodiché non lo dico a nessuno, ma almeno saperlo.
Di lasciarti sfuggire un’occasione di lavoro e di pentirtene subito dopo? Solito discorso. Ho troppi anni di attività alle spalle perché questo non mi sia accaduto almeno una volta.
Quale ruolo ti sarebbe piaciuto interpretare nel cinema? Quello di uno che bacia Jennifer Lopez. Non per scherzo.
Quale ruolo ti sarebbe piaciuto interpretare in teatro? Banalmente, meravigliosamente, Amleto. A suo tempo. Da ragazzo ventenne deliravo nel sognare questo sogno. Oggi, direi un personaggio di Strindberg. Forse il padre de Il padre.
Da chi vorresti essere diretto? Da una donna, ma non saprei dire da chi. Altrimenti, dal mio amico Claudio Boccaccini, o da Armando Pugliese, perché mi sta enormemente simpatico.
Tre doti che bisogna assolutamente possedere per poter fare l’attore. Salute, pazienza e umiltà.
Tre difetti che non bisogna assolutamente avere per poter fare questo mestiere. Essere una persona che ama dire: «Ho molti interessi», non avere voce, essere poco erotici. In ordine inverso, però.
Cosa accadrebbe all’umanità se il teatro scomparisse? Non sarebbe più l’umanità. Basta essere in due a sopravvivere, e prima o poi uno dei due comincerebbe a esibirsi di fronte all’altro. E l’altro se ne starebbe zitto e fermo ad osservarlo. Sino ad ammiralo. E riecco il teatro. Inevitabilmente.
Gli alieni ti rapiscono e tu puoi esprimere un solo ultimo desiderio. Quale? La felicità dei miei figli. Ma se mi imponesse una risposta più specifica e circoscritta: vedere insieme a loro la Roma che vince la Champion’s.
La frase più romantica che ti sia capitato di dire in scena. Nello spettacolo che sto portando in scena adesso, forse: «Meglio la tua rabbia che niente di te».
La frase più triste che ti sia toccato di dire in scena. Mi sforzo, ma non mi viene in mente nulla. Non è la battuta. È così.
Dimentiche le battute: graziato o condannato? Dimenticarsi una battuta è una grave colpa al momento in cui siamo noi a imputarla a noi stessi. Per gli altri, conta poco. Di certo, molto meno di quanto sembri a noi.
Cosa vorresti che la gente ricordasse di te? Un paio di versi. Forse questi: «Ignota agli Dei è la veemenza / con la quale si abbracciano i mortali».
Hai mai litigato con un regista per una questione di interpretazione del personaggio? Io sono soprattutto autore. Quando recito mi dirigo quasi sempre da me. Dunque, sì, ho spesso litigato con me stesso.
Se potessi svegliarti domani con una nuova dote, quale sceglieresti? Una vista perfetta, per farmi parare meglio di quanto abbia saputo farlo da ragazzo, quando giocavo in porta con un certo talento, condizionato però da una miopia precoce che mi ha fatto rinunciare a un grande sogno.
Se potessi scoprire la verità su te stesso o sul tuo futuro, cosa vorresti sapere? Pochissimo. Al massimo, l’andamento dei mercati. Le curiosità che ho nei miei confronti, le indosso ma non me ne compenetro. Se debbono risolversi, lo facciano da sé, io non me ne preoccupo.
Se sapessi di dovere morire, che cosa cambieresti nella tua vita? Io vivo sempre con questa consapevolezza. Il che mi induce a non cambiare nulla di sostanziale. Semmai, a difendere col massimo integralismo possibile le scelte che da sempre fanno da perno alla mia vita.
Che cosa è troppo serio per scherzarci su? Il dolore degli altri.
Progetti futuri? Alcuni spettacoli che debutteranno entro l’anno. La castellana (un noir) con Melania Fiore, a Stanze Segrete, e La scala, una commedia che ho scritto per una compagnia fantastica di sei ragazzi. Andrà in scena a novembre al Teatro 7 di Roma.
Un consiglio ad un giovane che voglia fare l’attore. Di considerare gli stenti che con ogni probabilità gli toccherà patire, come un lusso. Sono il prezzo da pagare a chi ha scelto un lavoro che contempla la giovinezza come un dato costante di sé, anche quando si diventa vecchi.