Ella Baffoni
Diario dal Festival della Letteratura

Salviamo l’Africa!

L'Africa, i migranti, l'Isis, le guerre e le ferite del colonialismo: dialogo tra Wole Soyinka e Romano Prodi. Con un occhio al passato dell'Europa e uno al futuro del mondo

Una tragedia mondiale. I fuggitivi che si presentano alle nostre porte non si fermeranno, dietro a loro guerra, stragi e una miseria intollerabile sono i ponti spezzati che non consentono di tornare indietro. Indietro dove? «È stupefacente quanto tardiva sia la reazione dell’Europa» dice il premio Nobel Wole Soyinka, a confronto con Romano Prodi (che è stato presidente della commissione Onu-Unione Africana) al Festivaletteratura di Mantova nell’incontro L’Africa come futuro del mondo. E continua come un fiume in piena: «Triste vedere che la reazione è iniziata quando gran parte delle persone che volevano attraversare il mare giacciono nel suo fondo. Troppo a lungo l’Italia è rimasta sola, troppo a lungo l’Europa ha insistito con la regola che obbliga chi fugge a restare nel paese dove approda. All’arrivo in Europa il viaggio del fuggitivo non è finito, vuol andare dove ha parenti, amici, opportunità di inserirsi, conoscenza della lingua. E poi non si fugge solo in Europa: in Africa le migrazioni interne sono enormi, colossali. Solo in Nigeria, colpa di Boko Haram, ci sono due milioni di profughi interni. All’inizio, quando è partita l’ondata di migranti africani ho pensato: eccoli a chiedere quel che è loro dovuto, dopo le spoliazioni coloniali. È vero, ma non si può essere così cinici: questa migrazione è un fatto storico, si trova la morte mentre si cerca di sfuggire alla morte. È in gioco la dignità dell’esistenza, l’entità umana».

Centrale il ruolo dei fondamentalisti islamici, in Africa come in Asia, ma in Africa, dice Soyinka, si rapiscono ragazze, si sgozzano famiglie, attentati e kamikaze sono notizie quotidiane. Il nemico è ubiquo e senza volto, c’è bisogno di una risposta umanitaria al dramma dei profughi, ma anche di una soluzione politica.

romano prodiIl fatto è che l’unico paese a promuovere lo sviluppo africano è la Cina – ribatte Prodi – e per interesse: ha il 20% della popolazione mondiale, il 5% delle terre coltivate. Ha bisogno di cibo, materie prime e energia, e li trova in Africa e in America Latina: «Apprezzo la posizione della Germania e della Merkel, anche se tardiva. Sì all’accoglienza, poi servizi e inserimento in una società che sta invecchiando, che ne ha bisogno: questa è una politica seria, vorrei che lo potessimo fare anche noi. L’Onu ha i suoi limiti: vogliamo che risolva i problemi del mondo, che blocchi i conflitti, e poi le leghiamo le mani con i veti. In Libia, Siria, Ucraina non può far nulla. In Libia dovremmo impararlo finalmente: non basta uccidere un dittatore per creare la democrazia: quando cominciò a girare l’arsenale libico, arrivarono lì faccendieri e criminali, disperati e mascalzoni, i mercanti di carne umana. Chi appoggia i fondamentalisti in Africa? Turchia, Egitto giocano la loro partita, i grandi della terra li lasciano fare. O decideranno di giocare la partita della pace, o ci sarà una guerra devastante».

Soyinka annuisce: quando ci fu il rapimento di Boko Haram la Nigeria si ribellò all’ipotesi di un intervento dall’esterno, lo definì un atteggiamento neocolonialista. E i fondamentalisti dilagarono. In Mali il pericolo è così grave che l’intervento unilaterale francese è stato giudicato salvifico. Altrimenti, se dal Mali l’Isis fosse tracimato in Nigeria io non sarei qui stasera, sarei in un barcone in viaggio verso l’Italia. Sì, i meccanismi dell’Onu sono macchinosi e tardivi, è più efficace a volte un intervento unilaterale. Ma i governi dei paesi africani contribuiscono spesso alle tragedie che colpiscono i loro popoli».

Guardiamo al futuro, propone Prodi: «L’Africa si sta sviluppando, cresce più del resto del mondo anche se i due fattori del suo sviluppo sono la Cina e i cellulari. Sì, il telefonini sono un mezzo di comunicazione vitale in un paese che non ha infrastrutture, affatto. Ha risorse naturali, il dinamismo dei suoi uomini, ma se non ricostruisce la sua struttura politica non ce la farà. Per questo sostengo, con tutti i suoi limiti, l’Unione Africana. Solo nell’unità, e se si saprà sbarazzare dei suoi governi corrotti, l’Africa ce la può fare». Soyinka gli fa eco: «Agli africani il compito di distinguere amici da nemici, e di prendere finalmente in mano il nostro futuro».

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