La nuova raccolta di Tiziano Broggiato
Poesia per enigmi
Continue accensioni che portano alla sorpresa, al soprassalto, al mistero... Su tutto grava il tempo di una attesa. Ma in “Preparazione alla pioggia” il poeta vicentino racconta anche del campione di ciclismo Ottavio Bottecchia
Non è semplice dire quale sia il filo conduttore, se cʼè, che sottintende un libro di poesia, magmatica e labirintica per definizione. Ciò vale anche per la recente raccolta di Tiziano Broggiato, Preparazione alla pioggia (Pequod Editore). Credo però che si possa dire subito che qui incombe minaccioso, ma anche salutare, il tempo di una attesa, o la speranza di una possibile assoluzione. Ciò detto, ci assale tuttavia il dubbio che una sintesi così possa non essere veritiera, perché il libro è assai ricco e si muove su ambiti, temi, geografie (sì geografie, perché vasto è lo scenario di città e luoghi che presenta lʼautore in varie poesie, che va dal Marocco a Londra, da Praga al domestico Pordoi, oltre a quelle ʻindeterminateʼ perché «Vista dallʼalto la città si snatura/ in una luce parziale, arcuata») e sensibilità molteplici. Sicuramente è una poesia che ha un timbro ben definito, propriamente, misurato e articolato. E una forma che induce a pensare a una architettura di rara efficacia.
Ancora una volta Broggiato evidenzia il dono della sintesi e una esemplare pulizia del verso, ma pure ci sono continue accensioni che portano alla sorpresa, al soprassalto, al mistero e allʼinvenzione poetica. La poesia per essere poesia di valore, tiene la necessità di avere questi due momenti (misura e invenzione), per evitare di cadere nel caos o nel manierismo e Broggiato è un poeta che ha in serbo tutto questo in modo naturale, come fosse il proprio respiro, come fosse un moto del cuore che batte i versi. Una asciuttezza che non esclude tuttavia un certo lirismo, seppure mitigato, perché sicuramente i riferimenti di Broggiato non sono, ad esempio, i grandi poeti fiorentini ma più probabilmente quelli dellʼarea lombarda, oppure il conterraneo Bandini o alcuni autori di lingua tedesca o inglese con la loro prosaica visione del quotidiano, seppure egli non sia mai schiacciato da quellʼasfissiante sguardo alla vita che scorre nei luoghi abitati e che caratterizza alcuni di questi scrittori.
Quella di Broggiato è una poesia per enigmi. Cʼè qualcosa che accade e che allʼimprovviso si evidenzia. Cʼè una minaccia che si svela («cʼè odore di fuochi nellʼaria, in questʼaria/ notturna che cova tragedie»), una certezza messa in dubbio («Da allora nessuna vista, più,/ dalla finestra./ Fuori, un gelo frizzante stemperava/ un inequivocabile sguardo di congedo»), un percorso sconosciuto che compare («Sarà solo molto tardi, alla luce di luna,/ che si libererà a una invocazione docile:/ – Fatemi dormire in una stanza fredda – »), una parola che si configura come verità o versi che si perdono nel respiro di un secondo. Non che siamo di fronte a una trama da thriller, ma sicuramente a una disposizione sospesa che alimenta lo sguardo di fronte al vuoto e induce a una lettura scrupolosa, che pure diviene rapinosa. Così non si è mai certi della strada percorsa o di quella che si deve fare («Tutto sta diventando più remoto,/ o più vicino, come la voce che, di là/ pretende il mio ritorno./ Ma io non sento. Non sento»), del discorso in essere che ci compare o ci acceca o ci porta a una rivelazione o a una condanna: «Dal finestrino osservo il lento defilarsi/ della montagna e le ultime bracciate del sole/ sul fondale, prima di consegnarsi al gorgo/ che lo custodirà fino al termine della notte». È una poesia che scava nel profondo della propria esperienza e si confronta con il tempo («E il tempo, il tempo/ è unʼagile anguilla che/ la prospettiva dellʼacqua dilata/ e che sguscia irridente tra le/ nostre mani ogni volta che tentiamo/ di trattenerla») e con le particelle del mondo. Ma tutto ciò mai diviene ingombrante e totalizzante visione, perché lo scenario si accompagna alla severa leggerezza dello sguardo.
Può essere vera la valutazione di Francesco Napoli, nella nota sapiente e ampia che accompagna il libro, che infine Broggiato tende alla parola, ma forse ciò che muove la sua riflessione è la ricerca del filo che lega le cose, è quellʼattesa di cui si diceva, è la comprensione, forse impossibile, del nucleo più delicato della vita, una riflessione sul vivere che diviene un esame raggelato, uno stare soli nel seguire il procedere dellʼesistenza: «Senza tristezza lʼuomo pensa/ che lo aspetta qualcuno a cui ha promesso/ di ritornare, ma di essere solo,/ in questo momento, allʼascolto». Non sappiamo se questo freddo osservare è un atto di coraggio o di debolezza, è certo come egli dice che ci sono «uomini dal cuore debole/ che di fronte a un fuoco improvviso/ ripiegano./ Altri, abituati alla vertigine,/ seguono il vento./ Eppure tutti i loro nomi sono inclusi/ nello stesso elenco». Forse pensava ai poeti Broggiato, cioè coloro che vivono in una folata di vento, perché le loro parole sono fragili e se ne vanno o forse si spargono proprio per via del vento, e divengono frutto copioso, come pensano i poeti cinesi che fanno del vento una parte decisiva della loro poesia.
Del vasto panorama poetico che questo libro propone ci sono soprattutto due composizioni che vorrei mettere in rilievo, una è un lungo poemetto, che Broggiato ripropone dopo un certo tempo, rivisto e ampliato, lʼaltra è una poesia che egli dedica alla figura mitica, e qui la parola non è sciupata come accade in mille casi, del ciclista Bottecchia. Il poemetto si intitola Ascoltando Marilyn, uno struggente scritto, un dialogo sul filo della fine, dove il poeta si confronta e si congeda con/da una vita che sfiorisce, dove impetuosi si affacciano lʼamore e la morte, il rimpianto e la colpa. È il congedo da una “memoria crudele”, il congedo da una vita che declina nel vuoto della morte, o forse in una delle sue varianti: lʼaddio dallʼadolescenza. Certo è che Marilyn non è più vicina, ella è lontana, avvolta nel lugubre spazio di una stagione perduta, nel gelo insistito di un distacco (che ci ricorda Bilenchi), quando dice infine: «Puoi andartene adesso./ Lasciami sola ma prima, ti prego,/ coprimi le spalle./ Sento che sta per arrivare il sonno. E il gelo./ Quel gelo adulto che tu non puoi comprendere».
Ottavio Bottecchia fu un ciclista degli anni Venti, un campione di un ciclismo incredibilmente vero e duro, divenne uno dei più amati in Italia, ma pure in Francia dove fu il primo italiano a vincere nel 1924 il Tour e lʼunico a indossare la maglia gialla per tutta la corsa («divenne Botescià,/ il giallo batticuore italiano della Grande/ Boucle»). La storia di questo straordinario personaggio, Broggiato la riassume in alcuni versi, e lo fa non solo con partecipazione, ma con una tale forza che pare di rivedere i passaggi di una figura da romanzo (già in fieri in questa poesia), una persona mai adeguatamente messa in rilievo, cosa necessaria invece perché accanto a quella bravura atletica, di Bottecchia cʼè ben altro da raccontare, perché egli fu un vero eroe nazionale (così Totò lo ricorda in un suo film). Fu un nemico del fascismo e dai fascisti nel 1927 fu ucciso, come raccontò in punto di morte, riportando una confessione, il parroco di Peonis e come ci dice Broggiato in una straordinaria immagine poetica: «Così lʼagguato, sotto altri cieli, altre/ smarrite latitudini./ Sulla strada per Peonis quella sera cadde/ una pioggia silenziosa e ostile: gli lavò via/ il sangue dal viso./ Lo condusse prodiga nel grembo/ della sua seconda notte». Una poesia che sembra quasi in movimento, che spiega della forza prodigiosa e della tenacia unica di un contadino friulano a fianco della guerra («Fu durante la notte più livida,/ in bici fin sotto le linee nemiche, /che maturò quella pedalata da dannato/ che strappa la forza alle gambe»), ma soprattutto di una figura a fianco della vita e che la poesia ci riporta intatta e viva.
Broggiato è un testimone fedele del suo tempo, un testimone che non deve risultare inascoltato, perché egli porge alcuni strumenti per seguire il “quotidiano esercizio del male”, intento comʼè, a domandarsi «che cosa sappiamo noi di come fa/ la sofferenza a scegliersi il bersaglio,/ di come fa il dolore a entrare nel/ corpo?», di come può la poesia seguire il cammino della memoria o lo sguardo leggero di un amore o le risa distratte della gente, come tracciare la linea nel deserto che colmata in continuazione viene rimarcata fino a darci una traccia. Così un poeta vuole raccontare il mondo, il suo mondo, vissuto attraverso le poesie, tante poesie. Quello che lui fa credendo fortemente nella parola, perché in lui cʼè il fuoco della versificazione. E non sarà la pioggia a spegnerlo, perché la preparazione alla pioggia è solo un segnale che viene dalla vita, che giunge e si esaurisce e rinasce, in una prospettiva infinita. Perché la pioggia versa il suo connotato di tempo, che portiamo nella continuazione incessante di un battito.
Preparazione alla pioggia
Dal portone, improvvisa come una folata, lʼeco di una donna che ride. Poi rumore di vetri, la luce che pian piano va via.
Scorre lento il sangue dopo lʼincontro. Cerca consolazione nel silenzio, in quella vaga insonnia che presto diventerà definitiva.
Il cielo ora sembra una rete di suole nere. Cʼè appena il tempo per convincersi che nessuna consolazione è abbastanza grande da soddisfare tutti.
Prepariamoci alla pioggia.