Pier Mario Fasanotti
Un giallo per l'estate

I soldatini di Napoleone

Da questa settimana, e fino alla fine di agosto, pubblicheremo a puntate un racconto centrato sulla singolare inchiesta del commissario Piero Cormery...

Da oggi pubblichiamo in cinque puntate un racconto giallo di Pier Mario Fasanotti. A condurre l’inchiesta su un singolare caso di omicidio è il commissario Pietro Cormery, italiano da varie generazioni discendente però dal padre francese che combatté al Gianicolo durante il periodo della Repubblica Romana. È scapolo, un po’ dongiovanni, legato sentimentalmente a una donna medico. La scena iniziale è collocata alla periferia di Roma, dove un tempo c’erano ruscelli e rigagnoli limpidi, ora fortemente inquinati.

* * *

Il commissario Piero Cormery odiava essere sbattuto giù dal letto da una telefonata. Gli occorrevano tempi lunghi, la mattina: doccia, colazione, ascoltare alla radio la rassegna stampa, leggere le mail, sbirciare dalla finestra i passanti e i contorni delle case. Gli piaceva soffermarsi sui tetti, visto che abitava in un trilocale al decimo piano. Passare dalle lenzuola all’asfalto della città equivaleva essere violentato. Oppure trattato come un prigioniero. Però le levatacce capitavano spesso. La iattura era il lunedì. Non erano nemmeno le sette e al suo fianco dormiva una donna. Sensuale e intellettuale. Un mix che considerava superbo, ma anche una banalità perché forse erano in troppi a pensarla così. Aveva i capelli rossi, pelle cosparsa di lentiggini, un gradevole profumo di agrumi che emanava dal corpo flessuoso. Strana coincidenza: si chiamava Rossana.

– Gasbarro, dimmi – ordinò via cellulare al suo vice.

– Mi spiace per l’ora…

– Fa niente. Dimmi dove mi devo trovare. Se mi chiami vuol dire che devo essere presente, e non certo in Questura…

– Vero, signore, vero. Sono qui con tre agenti al Parco Azzurro…sa dov’è?

– Quel parco è grande. Sii più preciso.

E Gasbarro gli fornì le indicazioni stradali.

Si lavò in fretta e furia, bevve un caffè e prima di uscire baciò sulla guancia Rossana. Lei si mosse appena.

Arrivò al Parco Azzurro, fraudolentemente chiamato così perché i limpidi rigagnoli che lo attraversavano un tempo non erano più azzurri, ma un impasto maleodorante tra il marrone e il grigio-nero. E l’acqua pareva gonfiarsi qua e là formando bolle di detersivi e altre schifezze.

– Allora?

Gasbarro fece il suo resoconto in modo veloce, sapendo che il commissario s’irritava a dover porre domande ovvie. Non lontano da due panchine, sgangherate e sporche, c’era una Fiat Croma blu con le due porte anteriori aperte. A Poca distanza dall’auto si trovava il cadavere di Gianni Marchisio, 38 anni, rappresentante di commercio. Due proiettili, uno al cuore e l’altro poco distante, avevano arrossato la sua camicia a quadretti bianca e beige. La mano destra, poco prima del ritrovamento, impugnava mollemente una pistola.

– Commissario – aggiunse – ho fatto fare parecchie foto del cadavere, così come lo abbiamo trovato. Poi ho esaminato sommariamente l’arma. Ha il numero di matricola raschiato.

– Si dice abraso. Viene da abrasione. Comunque mi sembra strano. Uno che si presenta come persona perbene e ha una pistola da mercato nero… – osservò Cormery – ‘sto posto è frequentato da puttane, coppiette, spacciatori… mi domando: come mai si trovava qui? Era andato con una di quelle? Senti, Mario, in macchina hai notato  qualcosa che ci possa aiutare?

– Se intende qualcosa che indichi la presenza di una donna, le dico subito di no. C’è però una cosa che ho trovato sul sedile posteriore e che mi ha incuriosito…

-Fammi vedere.

I due poliziotti guardarono dentro l’abitacolo. Nel mezzo dei sedili posteriori c’era una rana di peluche verde acceso e con gli occhi enormi, stralunati, un po’ spaventosi. Sul tappetino un quadratino di carta dove c’era disegnato un bersaglio. E quasi al centro due fori.

– Forse è di un bambino…di un figlio o nipote…

– Già – sussurrò Cormery, preso da altri pensieri- Sai, non sarei così convinto se qualcuno mi giurasse che si è ucciso. Di solito ci si spara alla tempia. O in bocca. Vabbe’ spiegherà la scientifica. Ma non occorre essere dei geni per sospettare che ‘sto porello, questo borghesuccio che si vestiva ai grandi magazzini, sia stato fatto fuori da una certa distanza…

– Una messa in scena-azzardò Gasbarro- Ah, ma c’è un’altra cosa un po’ strana…

– Ossia? Non dirmi le cose a rate, sai che mi dà fastidio!

– Nella tasca della giacca ho trovato un mazzo di chiavi, ma un altro era nella borsa in finta pelle che c’era nel bagagliaio, assieme a carte e depliant di lavoro…guardi lei…

– Una messa in scena, dici…eh, bravo. A me sembra che sia andata così. Così oggi, ma domani può cambiare tutto.

– Be’, sì….

– O il più delle volte, non credi? Senti, Mario, non mi hai ancora detto chi l’ha trovato per primo e ha dato l’allarme…

– Ha ragione. E’ stato quell’uomo là, vicino a un nostro agente. E’ uno che va in giro a raccattare tante cose, ferro soprattutto. Spinge tutto il giorno quella specie di carrello da supermarket. Sono quelli che raccolgono un sacco di cose poi le vendono a chissà chi.

I due si avvicinarono al testimone. Che puzzava di sudore e di vino rancido e aveva baffi ingialliti dalla nicotina. Disse di chiamarsi Max.

– E poi?

– Tutti mi chiamano ormai così- tagliò corto.

Gasbarro si fece consegnare il documento dall’agente che stava accanto a lui, in attesa che arrivassero i superiori. Il nome vero era Alessandro Sperta, anni 72. Alla domanda dove abitasse rispose che non aveva dimora fissa:-Sa, ispettore, è da decine di anni che se non ho come tetto il cielo mi viene da stare male…è diventato un disturbo…ora non ricordo come si chiami…

– Claustrofobia.

– Eccola lì la parola. Ormai me ne scappano tante dalla testa, divento vecchio, che ci si deve fare…

– Ha visto qualcuno nei paraggi? A proposito, a che ora l’ha notato?

– Ah, io sono mattiniero. Non erano nemmeno le sei…gente…proprio no, nemmeno quelli che corrono con la tuta e le cuffiette alle orecchie, sa..

– In questa zona del parco ci sono persone che lei vede non dico ogni giorno, ma…diciamo spesso?

– A volte, ma mica sempre, c’è un pezzo d’uomo, sempre incazzato, che di nome fa Omero…

– Ma potrebbe chiamarsi diversamente, ho capito. E che fa sto gigante?

– Dipinge. Dipinge e bestemmia. Un orco, pare. Non parla con nessuno, però se la prende se qualcuno va a sbirciare la tela che ha sul cavalletto.

– Tutto qui? E che mi dici delle prostitute?

– Ah, quelle alle sei di mattina mica ci sono. Di sera e di notte sì…qualcuna anche nel pomeriggio. La maggior parte sono negre.

Cormery lo corresse: – Di colore. Meglio dire così.

Il disegno accanto al titolo è di Michelangelo Pace

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