Un racconto di formazione /2
Gin Tonic
«Fu sorpresa quando un amico che viveva nella città da cui lui aveva telefonato, arrivò alla fine del mese su una decapottabile rossa e vistosa come poche da quelle parti e si fermò a casa loro...»
Una di quelle estati calde e annoiate, proprio alla giovane accadde di incontrare un uomo che avrebbe potuto essere suo padre che si interessò molto a lei. Fu un sentimento diverso, molto intenso, ma non un vero innamoramento come le era capitato con il ragazzo che poi avrebbe sposato. A letto con il nuovo arrivato si faceva sesso più che amore e non c’era quella tenerezza a cui il marito l’aveva abituata; all’inizio, aveva avuto paura di quella passione così accesa, che l’aveva portata indietro ai ricordi dell’adolescenza, quando quattro ragazzi del suo paese avevano ripetutamente approfittato della sua ingenuità sotto la minaccia di raccontare tutto in giro. Quella eccitazione collettiva, in cui non aveva visto pericoli, l’aveva turbata ma non del tutto spiacevolmente. Era confusa per quel piacere distante e nascosto che a fatica cercava di raggiungere un livello di coscienza ma giungeva come un conflitto tra l’attrazione che la spingeva a cercarli e il disgusto dopo i loro rapporti. Alcune volte fu più forte e sul punto di liberarsi ed esplodere, ma il senso di colpa lo aveva bloccato. Era un sentimento peccaminoso che poteva essere purificato solo facendolo con chi si amava davvero.
Con il passare del tempo, una maggiore consapevolezza del rapporto con un ragazzo, l’aveva condotta a una critica senza concessioni nei confronti di quelle storie violente e delle sue sensazioni di quattordicenne, anche se poi uno di loro, quello più timido, l’aveva molto attratta. Che adesso un corpo avesse di nuovo bisogno di lei e che il suo fosse così importante per qualcuno, la riportava a quel suo passato, ma ora non si poteva parlare di violenza e ormai non credeva più al peccato. Si trattava di una novità eccitante perché avvertiva di potersi perdere senza timore tra quelle braccia che erano in grado di darle tutta la protezione che, in quel preciso momento della vita, diventava una necessità fisica. L’uomo la stringeva forte, le teneva fermi i polsi sul letto sopra la testa, spingeva la sua lingua nella sua bocca, penetrava a fondo e veloce fino ai confini del dolore. Lei si sentiva un oggetto usato per far raggiungere l’orgasmo all’altro che però aiutava a raggiungere il suo. Lui sembrava sapere perfettamente di cosa lei avesse bisogno. Quando tornava alla realtà, sudata e soddisfatta, non percepiva quel senso di ambiguità come le accadeva con il marito, che entrava dentro di lei per un breve tempo con movimenti lunghi e a volte distratti e la guardava con gli occhi di un capriolo. Poi rimaneva per qualche minuto sopra di lei, ma come se lei fosse lì per caso, sdraiato su un’estranea. Si incolpava di questa situazione, attribuendola alla scarsa confidenza che aveva con il suo corpo e alla poca attenzione che aveva dedicato all’argomento, tanto da pensare che tutto ciò avesse fatto diminuire l’attrazione da parte del coniuge, verso cui negli anni era cresciuta una rabbia mai del tutto espressa.
L’uomo da poco incontrato si fece insistente e avvertì che poteva essere la persona adatta per seguire un percorso in comune. Per civiltà, ma anche per un ultimo tentativo, velato di minacce, di salvare il matrimonio lo disse al marito, che non fu molto sorpreso ma che promise che se fosse rimasta lui sarebbe cambiato. Divenne infatti immediatamente più affettuoso nel periodo di prova che lei gli aveva concesso, cosicché quando lei si presentò all’appuntamento decisivo con l’altro, gli comunicò che non avrebbe rotto il matrimonio. Lui capì e scomparve. Rimpianse la storia quando si accorse che il marito era subito tornato quello di sempre. Non volle provare a ricontattare l’altro per non ammettere, ancora una volta, di essersi sbagliata. Pianse sulla spalla del suo uomo che insistette sulla sua versione: era semplicemente fatto in quel modo. Pianse di fronte alla suocera, che la pregò di capire un ragazzo tanto sensibile, tanto buono, che aveva bisogno proprio di una moglie come lei. Pianse di fronte ai genitori che non vollero rinfacciarle quanto avessero visto giusto fin dall’inizio, ma che sostennero il suo coraggio e la forza di chi, come lei, come tutte le donne, doveva essere all’altezza della situazione e sopportare. Effettivamente lei era sempre padrona di se stessa. Tanto poco era cambiato lui, altrettanto poco lo era lei. La colazione per lui era sempre pronta al mattino quando usciva di casa e quelle poche volte che non l’aveva lasciata ed era andata al lavoro sbattendo la porta, si era sentita così male da tornare subito alle vecchie abitudini materne apprese per procura.
Aspettava le ferie per riposarsi, sperando che lui se ne andasse come al solito. E così avvenne anche quell’estate. Una telefonata intorno a Ferragosto da una città del nord Europa l’avvertiva che sarebbe rimasto lì ancora un po’; aveva trovato un lavoro. Lei ne fu molto contenta, ma quando se lo rivide davanti a metà settembre le sembrò che lo sforzo fosse stato poco evidente. Quando gli chiese della sua occupazione, il suo viso si atteggiò a un suo tipico sorriso infantile e vergognoso; lei lo guardò rimanendo a chiedersi come fosse possibile amare e odiare un uomo. Fu sorpresa quando un amico che viveva nella città da cui lui aveva telefonato, arrivò alla fine del mese su una decapottabile rossa e vistosa come poche da quelle parti e si fermò a casa loro. Lui si svegliò dallo stato di torpore in cui si trovava, lo accolse con un abbraccio, chiese alla moglie se avevano da bere qualcosa e lei disse che poteva offrire del vino. Lui rispose che voleva altro e subito corse al primo supermercato; ne tornò con una bottiglia dell’unico gin disponibile e acqua tonica; andò in giardino a strappare un limone ancora verde dall’albero, aggiunse cubetti di ghiaccio e preparò tre gin tonic con destrezza. La moglie rifiutò di berne, ma loro due alzarono i bicchieri e lei notò che si guardarono negli occhi sorridenti per un tempo minimo, ma appena più lungo del necessario.
L’amico rimase per qualche giorno cercando di convincere il marito a ripartire per un altro lavoro di tre mesi. Lui era titubante, ma lei notò che tra loro comunicavano con gli sguardi e che il suo uomo era tornato quello degli anni precedenti, allegro, sensibile, tanto che lo spinse a ripartire. Ugualmente la madre, che era combattuta tra il dispiacere che il figlio andasse via e la contentezza di saperlo così sereno. Pensava che avesse veramente bisogno di distrazione, di posti nuovi; così espresse il suo parere favorevole anche se non richiesto. I due partirono e lui ricomparve soltanto dopo sei mesi saltando le feste di fine anno a casa. Si presentò vestito come non era mai stato visto, con una cravatta a farfalla rossa con piccoli disegni, giacca blu e pantaloni scuri. Rimase una settimana; ripartì con un bagaglio enorme di cose sue riferendo che il lavoro stava andando molto bene e che sarebbe tornato presto. La moglie capì che qualcosa era avvenuto, ma non era ciò che avrebbe voluto. Era cresciuto e diventato autonomo, mentre in lei era sempre vivo il desiderio di plasmarlo come aveva pensato. Alla notizia della richiesta di separazione, si addolorò molto, ma il tempo le fece crescere dentro l’orgoglio materno di aver cresciuto un passerotto che era poi volato via.
(Parte I: https://www.succedeoggi.it/wordpress2015/07/premonizioni/)