Marco Fiorletta
Riletture postume: Emilio Lussu

Lussu alla guerra

Nel pieno delle celebrazioni della Grande Guerra, occorre ancora rileggere «Un anno sull'Altipiano» di Emilio Lussu per capire quali errori e quali contraddizioni vinsero davvero nelle trincee

In pompa magna si celebra ancora il centenario della Prima Guerra Mondiale e allora ci sembra giusto parlare anche di Emilio Lussu e del suo fondamentale Un anno sull’Altipiano, riletto nell’edizione l’Unità su licenza della Einaudi. Lussu, giovane ufficiale di complemento della Brigata Sassari, ci racconta la sua mirabile esperienza di guerra. Da giovane interventista si trasforma a mano a mano, dopo aver sperimentato sulla propria pelle l’assurdità di quella guerra, la gestione degli uomini e la pochezza ideale che ha spinto l’Italia ad entrare nel conflitto, in un feroce critico dell’esperienza nel suo complesso.

I morti, la durezza delle regole, ottuse spesso come chi le doveva far rispettare e la lontananza dalle aspettative dei contadini, degli operai e degli impiegati mandati a morire senza preparazione, con armamenti inadeguati d’altronde non potevano avere altro sbocco per un uomo libero, un «re pastore, nobile cacciatore, domatore di cavalli, uomo politico in prima linea nei momenti più importanti della storia d’Italia di questo secolo, narratore semplice come un classico antico, ma per me capitano. E basta» come lo descrive Mario Rigoni Stern. Insomma, soldati come carne da macello a buon prezzo. La retorica della bontà della guerra, del morire per la patria portata avanti da chi comodamente resta a casa dietro a una scrivania o nei salotti bene. Retorica che portò poi, alla fine della guerra, al rientro nella società di tanti uomini ormai senza lavoro, senza speranze e che qualcuno – Benito Mussolini – riuscì a incanalare nella protesta che poi sfociò nel ventennio fascista. Lussu mina nel profondo il mito della prima Guerra Mondiale e delle sue cause. Già su Succedeoggi abbiamo parlato del saggio di Marco Rossi Gli ammutinati delle trincee (clicca qui per leggere l’articolo) che, con taglio diverso, integra e rafforza ciò che scrive Emilio Lussu.

Questo testo, malgrado ancora oggi, a cento anni dalla Guerra, non sia ben visto in molti ambienti, gode di una fama e di un suo successo editoriale che porta molti a caricarlo di un significato antimilitaristico. E invece resta una delle testimonianze più importanti sulla Grande Guerra anche se è forse la prima in cui la critica antimilitaristica sia tanto forte. Della trama, se vogliamo, c’è ben poco da dire. La narrazione copre dal maggio 1916 al luglio 1917, la vita di trincea, gli alti e bassi dell’umore dei soldati, le difficoltà, l’attesa della battaglia che, pur di uscire dalla snervante inerzia, provoca un’agitazione, un’esaltazione che sembra sfociare nella contentezza, nella follia, a cui subentra poi l’angoscia per la prossima battaglia sapendo che si va ad affrontare l’ignoto e la possibilità di morire. Nonostante sia compreso nei suoi dubbi sulla validità e sulla insensatezza della guerra, Lussu fece il suo dovere fino in fondo al punto da essere decorato al valor militare, anche se il solo dirlo sembra un’incongruenza.

Come ricorda Mario Rigoni Stern nella prefazione, Un anno sull’Altipiano ebbe il suo primo momento di notorietà solo negli anni ’60, molti anni dopo la pubblicazione avvenuta per la prima volta a Parigi nel 1938 in un’edizione che pochi potettero leggere (fu Salvemini a “pretenderla” da Lussu, che comunque così pensava di poter racimolare qualche soldo per mantenersi durante l’esilio). Fu edito in Italia, nel quasi totale silenzio, dall’Einaudi nel 1945 ma solo negli anni ’60, come già detto, gli fu riconosciuto il merito di dire cose che, forse, mai nessun professore ha insegnato ai propri alunni. Tutti siamo cresciuti con il mito dell’eroicità dei nostri connazionali e dei valori che ispirarono quell’inutile massacro. C’è sempre tempo per ravvedersi.

Facebooktwitterlinkedin