Consigli per gli acquisti
Se le donne si guardano
Un interessante saggio di John Berger sul modo di vedere, ispirato alle tesi di Walter Benjamin. Valerio Massimo Manfredi alla scoperta delle meraviglie del mondo antico e un utile guida ai neologismi del nostro tempo
Vedere le donne – Singolare e interessante libro sul modo di vedere: non solo le opere d’arte, ma anche gli elementi della nostra quotidianità. Si tratta di sette saggi, da leggere con l’ordine che si preferisce. Lo pubblica Il Saggiatore e si intitola Questione di sguardi (166 pagine, 14 euro). È all’inizio del saggio di John Berger (che si ispira alle tesi del critico e filosofo tedesco Walter Benjamin) che si comprende bene il senso dell’opera: «Il vedere viene prima delle parole… il vedere che determina il nostro posto all’interno del mondo che ci circonda». E ancora: «Il bambino guarda e riconosce prima di essere in grado di parlare». Pare ovvio, ma non lo è, a ragionarci su. Infatti poco dopo aver imparato a vedere, ci accorgiamo che possiamo essere a nostra volta visti. Tra le persone ritratte dai pittori (o dai fotografi) spiccano le donne: vestite, nude, in varie pose. L’essere femminile, le donne, sono sempre state «sotto custodia, affidate agli uomini». Di qui la loro disponibilità a vivere «entro uno spazio racchiuso e angusto». In tal mondo è avvenuta una “spaccatura”, col risultato che la donna «deve guardarsi di continuo». Nel senso che il loro io è diviso in due parti, «sia che attraversi una stanza, sia che pianga la morte del padre». Insomma non riesce a visualizzarsi nell’atto del camminare o di piangere. Questo fin dai primi anni dell’infanzia. Le hanno insegnato e l’hanno convinta a osservarsi di continuo.
Se le femmine appaiono, gli uomini agiscono: «le donne osservano se stesse essere guardate». Questo coinvolge il nucleo del rapporto con se stesse. «Il sorvegliante che la donna ha dentro di sé è maschio: il sorvegliato è femmina». E così si trasforma in oggetto, e più precisamente «in oggetto di visione: in veduta». Prendiamo l’episodio di Adamo ed Eva che, una volta spogliati per il grande peccato della conoscenza, cominciarono a vedersi in una maniera diversa: «La nudità si era creata nella mente dello spettatore. Le famose foglie di fico (modestia) non servono. La vergogna è diventata reciproca». In seguito la vergogna è diventata «una specie di esibizione».
Il Colosso – Valerio Massimo Manfredi è esperto di archeologia e dire che tra i massimi storici-divulgatori del mondo equivale ad affermare che quando piove ci si bagna. Un pleonasmo. Tra i suoi ultimi libri figura Le meraviglie del mondo antico (174 pagine, 20 euro, edito da Mondadori).L’autore scrive che il Colosso di Rodi è «la più affascinante meraviglia del mondo antico, e una delle più misteriose». Purtroppo del gigante, che secondo alcuni era a gambe divaricate, non è rimasta alcuna traccia, nemmeno visiva. Kolòssos, di matrice dorica (Rodi era una colonia di Argo), assume il nome indigeno in uso nel mondo miroasiatico e, come precisa Manfredi, era la versione gigantesca dei «vari idoletti aniconici», i quali rappresentavano «il doppio di qualcuno, un po’ come il Ka in Egitto». «Questi venivano usati per gettare una maledizione o come forma di magia bianca per operare guarigioni». In realtà era un’orgogliosa carta di identità politica, collocata nella zona del porto, e doveva indicare paura e reverenza e suscitare ammirazione, sia tra gli alleati che tra i nemici. Una funzione, diremmo oggi, propagandistica. Il gigante di bronzo fu eretto agli inizi del terzo secolo a.C. (forse inaugurato nel 239), poi crollato a causa di un forte terremoto – fenomeno frequente nel mare Egeo – nel 227. Durò insomma 66 anni. L’autore, lo scultore Carete di Lindo, era discepolo del famoso Lisippo, unico artista di cui si fidava Alessandro Magno. Ebbe la “fortuna” di morire prima dello sfascio.
Ed ecco una dei primi interrogativi: come poteva quella statua, alta 33 metri e mezzo, poggiarsi su un basamento piccolo? L’impresa durò circa dodici anni. Pare che le sue gambe fossero zavorrate di pietra: si paventava infatti l’insidia del vento, assieme al pericolo che la terra tramasse. Le pietre che dovevano garantire stabilità si dimostrarono più dannose che utili. Strano ma vero: del Colosso si parlò molto, ma non ne esiste un’immagine. Questo nemmeno sulle monete, «formidabili veicoli di visibilità». Del Colosso fu creata per prima cosa una base di marmo bianco. Lo spessore dei piedi era di circa due metri. Secondo la testimonianza di Filone, enorme fu la quantità di ferro impiegato, pressappoco 12 tonnellate. Strabone ci racconta che, dopo il crollo, non fu mai ricostruito dagli abitanti di Rodi, obbedienti al veto espresso dall’oracolo di Delfi. Di quella eccezionale opera non è rimasto nemmeno un frammento. Un funzionario imperiale ci ha informato che nel 653 d.C. il generale di Othmann, tale Mavia, fece a pezzi il Colosso e lo vendette poi a un mercante ebreo di Edessa, l’attuale città turca Urfa. Erano passati quasi mille anni da quando Carete eresse il vanto della sua carriera. Inevitabile raffrontarlo con la statua della Libertà di New York. E non solo a quella.
Neologismi – Spesso, troppo spesso, i giornali danno per scontata la conoscenza di certi fatti. E questo – almeno a mio avviso – è uno dei motivi che spiegano il non successo, anzi il calo della carta stampata. Più che utile, quindi, il libro di Giovanni Adamo e Valeria Della Valle, intitolato 2006 parole nuove, edito da Sperling & Kupfer (461 pagine, più ricca appendice, 22 euro). È una lunga galleria di neologismi, genere che si dilata con una strabiliante velocità. Prendiamo il termine arancione. Spiegazione: «Appartenente o sostenitore della coalizione politica liberal-democratica e filoccidentale, guidata da Viktor Yushenko, risultata vincitrice nella elezioni politiche del dicembre 2004 in Ucraina». Oppure: chainworker, ossia lavoratore precario delle grandi catene commerciali o dei settori della comunicazione e della formazione, assunto con contratto a tempo determinato. E ancora: flip-flop che in senso figurato significa tentennate, che non assume una posizione decisa. Ingloba di solito due posizioni. Per esempio: eroe e pacifista, americano e cosmopolita, cattolico e nipote di ebrei, democratico ma sposato a una miliardaria. Un altro termine di stretta attualità è flexicurity: strategia politica che si propone di favorire, nel tempo stesso, la flessibilità del mercato del lavoro e la sicurezza sociale, soprattutto a vantaggio delle categorie più deboli dei lavoratori. Che significa poi pornivendola? Sta a significare la donna che vende il proprio corpo, che si prostituisce. Sempre a proposito di porné (derivante dal greco puttana), capita di imbatterci in pornolusso: tendenza della moda che enfatizza il lusso (l’accusa, si capisce, è intrinseca). E silence party? Serata in silenzio, che i partecipanti amano trascorrere in relax, senza parlare e senza rumori.