Odetta Melazzini
Radiografia del terrorismo/17

Il delirio del califfo

L'analisi del movimento di al-Baghdadi, della sua crudeltà, del suo progetto di distruzione e di conquista di «metà mondo» conclude la nostra inchiesta sulla storia del terrorismo di marca islamica

Le guerre in Afghanistan e in Iraq hanno deposto regimi autoritari e, nello stesso momento, hanno provocato gravi instabilità nelle due aree. In un momento di assoluta crisi in Medio Oriente, dove la dittatura di Bashar al-Assad in Siria si lega a Mosca ma strizza l’occhio agli USA, l’Iraq traballa sulle macerie della guerra e il suo Primo Ministro Nuri al-Maliki si rifiuta di integrare i sunniti nella vita politica del paese, la Libia sta iniziando una nuova guerra tribale, l’Egitto sembra non trovare un governo adeguato e Israele è ancora in guerra con i palestinesi, è pronto l’humus per la crescita di un nuovo tipo di terrorismo islamico. La visione originaria di Al Qaeda (quella di Osama bin Laden) non attecchì mai veramente in Iraq, dal momento che il suo rappresentante sul territorio fu Abu Musab al-Zarqawi: costui sfidò apertamente la sua leadership poiché non credeva nell’obiettivo di combattere un nemico lontano, bensì nell’instaurazione di uno stato islamico. Egli, del resto, riaccese sul territorio il conflitto tra sunniti e sciiti, che è ad oggi una delle caratteristiche fondamentali dell’ISIS.

Le macerie delle guerre e la situazione siriana sono state un trampolino di lancio per chi aveva assimilato la tattica di al-Zarqawi, che mirava alla nascita di un nuovo califfato, vera età dell’oro dell’Islam. Al-Zarqawi morì nel 2006 in seguito a un attacco aereo statunitense e questo scongiurò l’esplodere della guerra settaria in Iraq e indebolì momentaneamente la sua organizzazione, fino a quando nel 2010 Abu Bakr al-Baghdadi divenne il leader dei resti di Al Qaeda in Iraq. Sotto la sua guida, il gruppo prese il nome di ISI (Stato islamico in Iraq) e prese le distanze da Al Qaeda. Iniziò a colpire gli sciiti, alimentando il conflitto settario. Costui comprese che l’Iraq era un territorio troppo piccolo e vide nella Siria la vera opportunità di crescita. Nel 2011, allo scoppio della guerra siriana tra le forze governative e quelle di opposizione, al-Baghdadi mandò un piccolo gruppo di combattenti in Siria per osservare la situazione e, soprattutto, per addestrarsi e ottenere mezzi finanziari per il gruppo. Da questo momento la crescita dell’ISI sembra inevitabile. Proprio in Siria, dal 2011 al 2014, in assenza di qualsiasi intervento militare internazionale, al-Baghdadi ha edificato la sua roccaforte, utilizzando il denaro dei governi arabi, conquistando posizioni tenute dai ribelli o dai gruppi jihadisti e assicurandosi il controllo di vasti settori del mercato delle armi nel paese.

isis distrugge l'arteDal 2011 al-Baghdadi ha iniziato a costruire il suo obiettivo, ovvero liberare i territori dell’antico Califfato di Baghdad dalla tirannia degli sciiti e annettere Giordania e Israele per ricreare quell’entità. Il Califfo ha anche mutato il suo nome di battaglia in Ibrahìm per ricordare il primo aspirante abbaside al califfato, ucciso dalla dinastia rivale degli Omayyadi di Damasco.

Analizzando la situazione politica, c’è da evidenziare che il terreno per la diffusione di un’organizzazione come l’ISIS nel mondo arabo è oggettivamente fertile. L’assenza di un’autentica democrazia, l’autoritarismo dei capi illegittimi, l’accumulazione di ingiustizie sociali aggravate dalla corruzione e dall’arbitrarietà non possono non spalancare le porte a uno Stato islamico che va dall’Iraq alla Siria e minaccia gli altri paesi della regione. A differenza di Al Qaeda, che si dedicava a colpire il lontano nemico, gli USA, al-Baghdadi condivide la convinzione di al-Zarqawi che riteneva la lotta fallimentare in mancanza di una base territoriale solida e vasta in Medio Oriente. Per l’edificazione del califfato era necessario combattere le corrotte élite oligarchiche che dominavano la Siria e l’Iraq, ovvero gli sciiti.

Nel 2013 avviene la fusione tra Stato Islamico dell’Iraq e Janhat al Nusra e nasce lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (al Sham) ovvero l’ISIS. Il 28 giugno 2014, il primo giorno di Ramadan al-Baghdadi predica dal pulpito della Grande Moschea di al-Nuri a Mosul, una città di cui le sue forze avevano preso il controllo prima, annunciando la fine dell’ISIS e la nascita dello Stato islamico (IS). Egli afferma che l’umanità può essere divisa in due campi: il primo dei musulmani e dei mujahidin (santi combattenti); il secondo degli Ebrei, dei Cristiani e dei loro alleati.

isis distrugge l'arte2Al-Baghdadi all’inizio del suo Califfato si è trovato di fronte a varie organizzazioni terroristiche ma tutte frammentate, prive di leader forti e credibili. L’ISIS, dopo aver iniziato il suo percorso in Siria, è riuscito senza problemi a conquistare regioni ricche di risorse petrolifere (Siria orientale) che sono un rifornimento economico di grande importanza. La capacità dell’ISIS di stipulare alleanze con i sunniti, gli permette tutt’ora di usufruire di molte risorse sul territorio anche grazie ad un facile contrabbando.

Il Califfato non si assicura la lealtà dei suoi combattenti pagandoli, poiché il loro salario è più basso di un impiegato civile in Siria o Iraq, ma accrescendo il mito di una causa superiore, ovvero della realizzazione del moderno Califfato, uno stato musulmano ideale che trascende ogni cosa, compreso il benessere personale. Come Israele per gli ebrei, così la rifondazione di un forte stato islamico nella terra degli avi rappresenta per i musulmani la salvezza in questa vita.

palmira10Al pari di tutte le organizzazioni terroristiche, l’ISIS per sopravvivere ha bisogno di quotidiane adesioni e, a differenza di quello che avveniva per Al Qaeda, unirsi ai combattenti è molto semplice. Le sirene dell’ISIS, attraverso la sua popolarità mediatica e la sua capacità di utilizzo dei social network, arrivano ai musulmani che vivono all’estero, che vedono una possibilità di riscatto nella partecipazione alla guerra. Centinaia di giovani europei, di cui solo alcuni sono di origine araba, si sono gettati nelle braccia dell’organizzazione guidata da al-Baghdadi. L’ISIS cerca consenso sui territori fornendo servizi sociali, ricostruendo strade danneggiate, piantando fiori nelle strade, coltivando giardini, pulendo le scuole locali, distribuendo cibo e beni primari. Al-Baghdadi esige il consenso della ummah, di tutta la comunità dei fedeli, e non si ferma davanti a nulla.

Se da un lato il Califfato offre servizi primari alla popolazione locale, dall’altro impone i tribunali della shari’a e una forza di polizia itinerante che ne esegue pubblicamente le sentenze, in strada o nelle piazze. Gli jihadisti impongono alle donne di indossare quelli che chiamavano “abiti puliti”, il niqab o una copertura totale per testa e faccia. I parrucchieri sono proibiti. È proibito radersi la barba. Nessuna donna può lasciare la sua casa senza la scorta di un uomo, è proibito fumare e non si può giocare a carte. I fedeli devono andare a pregare in moschea e chiudere le loro attività. Nessuno può camminare per strada durante le preghiere. Hanno sequestrato quasi tutti quelli che lavorano in centri di aiuto. La tortura è una pratica comune. Vengono organizzati matrimoni combinati tra donne sunnite e militanti dell’ISIS.

Al-Baghdadi non conquista con sermoni religiosi, fatwa o discorsi, ma promette lo Stato islamico, il Califfato con le sue regole e le sue tradizioni. Al-Baghdadi conquista, occupa territori, compie stragi, uccisioni senza fermarsi davanti ad alcun ostacolo.

mosul1Le atrocità dell’ISIS vengono utilizzate da al-Baghdadi come pubblicità di reclutamento. I video su youtube, le comunicazioni sui social network sono i canali della modernità attraverso cui si fanno conoscere. Sebbene sia vero che  le brutalità commesse siano di una gravità assoluta, tuttavia il mondo occidentale si scandalizza solo perché ne vede le immagini. Il Califfato non commette violenze molto differenti da quelle accadute durante altri conflitti, basti pensare al genocidio in Ruanda del 1994 oppure alla guerra in Kosovo (1996-1998). La verità è che l’ISIS ha capito molto bene come utilizzare i mezzi di comunicazione a suo vantaggio e lo sta facendo. Alla vigilia dei Mondiali di calcio del 2014, ad esempio, l’ISIS pubblicò su Twitter il video di una partita in cui alcuni suoi membri giocavano a pallone con le teste mozzate degli oppositori.

Per quanto riguarda la sistematica distruzione di opere d’arte da parte dell’ISIS, non è la prima volta che il terrorismo islamico colpisce tesori culturali. La distruzione da parte dei talebani dei Buddha di Bamiyan nel 2001 è probabilmente uno dei peggiori attacchi di vandalismo culturale della storia. Quando i jihadisti occuparono Timbuktu nel 2012 distrussero sistematicamente l’eredità culturale africana. I templi Sufi furono demoliti e i bibliotecari dovettero usare metodi disperati per salvare i manoscritti della città. Il jihadismo è chiaramente una brutale minaccia per l’arte e la cultura in tutto il mondo. La cultura africana, l’arte buddista, il sufismo e, con il Califfato, lo sciismo sono chiari bersagli. Per l’ISIS gli obiettivi da distruggere sono tutti gli edifici inammissibili poiché risalenti all’epoca pre-islamica, quelli riconducibili ad altre fedi o ad altre sette dell’Islam, quelli in cui si onorano capi religiosi defunti diversi da Allah e tutto ciò che, in quanto idolatra, è contrario ad Allah e al suo Profeta Maometto.

mosul3L’ISIS ha già irrimediabilmente distrutto importanti siti archeologici in Iraq, quello di Nimrud risalente a tremila anni fa e quello assiro di Hatra, città patrimonio dell’Unesco, sparando con kalashnikov contro manufatti del II-III sec. a.C.. Precedentemente aveva distrutto con martelli e picconi le statue conservate nel museo di Mosul e aveva dato fuoco a libri antichi della biblioteca che si trova sempre a Mosul, roccaforte del Califfato. L’ultimo atto criminale nei confronti di un sito archeologico, anch’esso patrimonio dell’Unesco, è quello avvenuto a Palmira a 240 chilometri a sud ovest di Damasco. Oltre alla violenza contro un patrimonio culturale, nei pressi della città gli jihadisti hanno assassinato più di 400 persone, molte delle quali sono state decapitate. Ovviamente il crimine spesso viene commesso in luoghi da cui al-Baghdadi può trarre ulteriori risorse; non è un caso che Palmira sia ricca di giacimenti di gas, utili per il sostentamento dell’organizzazione.

Sembra che vi sia un’ampia disapprovazione nei confronti del Califfato e non solo da parte dei governi occidentali. Lo stesso gran mufti dell’Arabia Saudita ha negato la legittimità del califfato, anche se gran parte dei soldi che finanziano l’ISIS arrivano proprio dal suo paese. Del resto, i paesi del golfo, tra cui il Qatar, seguono il rito wahhabita che è espressione dell’Islam radicale di cui al-Baghdadi è un rappresentante.

Il mondo occidentale sembra disorientato di fronte a un’organizzazione che pare incontrollabile. Si è parlato di azioni mirate, ma al momento non si riscontrano effettivi risultati. Ad oggi l’IS sta compiendo un genocidio ai danni della popolazione sciita che si trova nella stessa condizione degli ebrei nella Germania nazista. L’Occidente non può non intervenire e c’è il rischio che, senza ostacoli, l’IS diventi un vero e proprio Stato riconosciuto dalla sua popolazione, rischiando di rappresentare addirittura lo Stato più esteso in Medio-Oriente.

Le foto ritraggono i sistematici atti di vandalismo dei militanti dell’Isis ai danni dell’arte.

17. Fine

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