Cartolina dal Portogallo
Criticando Lisbona
Inseguendo Eça de Queiroz (ma anche Pessoa e Saramago), c'è tutto un percorso letterario nella città sempre sospesa tra un vago provincialismo e una chiara vocazione internazionale
Una delle attività culturali offerte a Lisbona a turisti e non turisti (per chi fosse interessato offro i riferimenti alla fine di questo reportage) è quella dei literary walks. Di iniziative come queste ce ne sono in tutte le città del mondo, ma, visto che la cosa mi interessa da vicino, sono andato a vedere di cosa si trattava. Mi ha accolto Teresa Jorge Ferreira in modo molto gentile e accogliente. Il suo nome, pronunciato in portoghese, suona un po’ come T’resa. E questa sonorità è così suggestivamente napoletana, e quindi cara e familiare, che da questo momento in poi la menzionerò proprio in questo modo. Mi sembra peraltro che questa assonanza possa rendere più prossima al lettore la specificità del luogo.
T’resa è come me una dottoranda, ma in letteratura, e quindi su ogni aspetto della letterarietà urbana lisboeta ella è a conoscenza delle svariate teorie che i pesquisadores (ricercatori) si compiacciono di estrarre dai tanto amati documenti. Sembra infatti che nel settore delle scienze umane (una volta scienze dello spirito) non si possa più fare sapienza senza che essa, proprio per mezzo dei documenti, si renda credibile in quanto scienza. Io personalmente, come diceva Ferrini, non capisco ma mi adeguo.
In ogni caso, questo scrupolo di ricerca risulta estremamente accattivante per il turista a caccia di informazioni e curiosità. E quindi, nella circostanza specifica, non si può che considerarlo benvenuto. E così anche chi, per sua passione personale di conoscenza, già sa degli autori e delle opere di cui in queste passeggiate letterarie si tratta, viene a sapere particolari molto interessanti. Gli scrittori, nel percorso offerto da T’resa, sono Camões, Eça de Queiroz, Pessoa e Saramago. Insomma, i nomi più rappresentativi della cultura portoghese, anche se inevitabilmente solo la punta di un grande iceberg, e che quindi lascia fuori i nominativi di affascinanti poeti, narratori e pensatori. Del calibro di Antero de Quental, Camilo Castelo Branco, Alexandre Herculano, João Baptista Almeida Garrett, etc. In ogni caso ce n’è più che abbastanza per cogliere l’aura e l’aroma dei luoghi che hanno fatto nel tempo la vita letteraria di Lisbona e la sua rappresentatività per l’intero paese. Escludendo ovviamente Coimbra (l’antica Coninbriga romana e celtica), che era stata dal Medioevo in poi il vero cuore pulsante della cultura lusa.
E su tutto ciò sembra curiosamente dominare proprio Eça de Queiroz con il suo verismo così sprezzante verso la Lisbona provincialissima e perdutamente borghese della fine del XIX secolo. Insomma una nota polemica in più rispetto al verismo naturalista dei nostri Verga, Capuana, De Roberto, Deledda e Matilde Serao (ai quali assomiglia molto più un Camilo Castelo Branco). Eça de Queiros, polarizzato com’era da Parigi e dai suoi piaceri “intellettuali” (dice lui), proprio non poteva soffrire questa Lisbona che si trascinava invece ancora dietro la zavorra di pesanti condizionamenti moralistico-religiosi. E che a lui quindi appariva come un provincialissimo luogo di noia borghese e di imbarazzanti corruzioni nemmeno poi tanto tenute nascoste. Fatto sta che però, pur vivendo prevalentemente a Parigi (dove le influenti amicizie della moglie Dona Emilia gli avevano procurato un prestigioso posto di diplomatico), egli dipendeva comunque strettamente da Lisbona per le ispirazioni necessarie alla sua produzione letteraria. La quale fu dunque una continua descrizione (critica, ovviamente) della vita lisboeta.
Ma è proprio a tutto questo che si riaggancia la generazione successiva di scrittori, anch’essi polarizzati dalla trasgressiva creatività della vita parigina. Nella quale ritroviamo l’emblematico Fernando Pessoa. Lui era un uomo, uno scrittore ed un pensatore senz’altro del tutto sui generis (sebbene anche lui tutt’altro che non cosmopolita, in quanto come il grande Borges, scriveva correntemente anche in inglese), e quindi affatto paragonabile al del tutto prevedibile (e forse perfino non proprio autentico, se non cinico) Eça de Queiros (nella foto), ma comunque nella sua cerchia di sodali vi erano intellettuali come quell’Almada Negreiros la cui passione principale fu proprio quella di épater les bourgeois con trovate e sparate simili a quelle dei nostri futuristi. Cosa che riaggancia fortemente l’intero movimento a quel nietzschianesimo stravolgitore ed estremisticamente rinnovatore che già nell’intero mondo di idee di Pessoa trovava un sostanzioso aggancio.
Ma su tutto ciò domina, tra vari luoghi (tra i quali il famosissimo Chiado), quella fatidica ed antica Praça do Rossio che già aveva assistito alle intemperanze bohémiennes dello stesso Camões. Il quale pare ammettesse che proprio il ripudio subito da Dom Manuel I, che poi lo costrinse ad una vita girovaga da soldato ed avventuriero tra Africa ed Indie, non solo lo allontanò da quella Lisbona ctonia di eccessi notturni, ma anche fu alla radice della sua massima creatività artistica, ossia la stesura del poema bardico Os Lusíadas, cioè l’autentica epopea mitico-eroica dell’identità lusa. Proprio tra gli innumerevoli caffè di Praza do Rossio, Almada Negreiros saliva sui tavoli producendosi nelle sue improvvisate e convulse pieces trasgressive, destinate a cambiare una volta per tutte la vita culturale portoghese. L’obiettivo primario era senz’altro quella Chiesa cattolica portoghese che sempre, nel corso di innumerevoli vicende (dalle baldanzose crociate anti-more, ai deliranti quanto fascinosi sogni teocratici e guerreschi dell’Infante Don Sebastião, alla reazione sanguinosa scatenata dal famigerato Don Miguel, ed infine allo Estado Novo fascista di Salazar) aveva giocato un ruolo chiave nella politica e nella cultura dell’intero paese. Ovviamente in primo luogo nella capitale. Infatti proprio a Praça do Rossio si ergeva ‒ laddove poi (dopo il distruttivo terremoto del 1755) sarebbe sorto il teatro nazionale Dona Maria II ‒ il cupo e sinistro edificio dell’Inquisizione portoghese. Che si insediò in quel luogo nel corso del 1500 proprio nel mentre si svolgeva la febbrile epopea dei Descobrimentos delle più remote plaghe del globo (che vide protagonisti, oltre Vasco da Gama, anche uomini come Camões e Fernando da Magalhães). E sempre a Praça do Rossio si svolsero gli atroci auto-da-fé, mentre nel 1506 nell’adiacente (impressionantissima) Igreja de São Domingos iniziò uno dei più violenti e sanguinosi pogrom della storia dell’antisemitismo.
T’resa guida il curioso di cultura lisboeta attraverso tutto questo, approdando infine al Saramago di Memorial do Convent, racconto che si estende dalle ombre senza pace del Rossio al palazzo reale di Mafra.
Ma sempre tra queste ombre si aggira anche il bellissimo libro di Miguel Real, A voz da terra, descrivendo l’allucinato e terrifico scenario proprio della piazza dopo il terremoto e nell’imminenza dell’onda di tsunami che avrebbe di lì a poco spazzato via quel pochissimo che era ancora restato in piedi. Un viaggio questo per davvero affascinante, del quale non si può che rendere grazie a T’resa ed al suo progetto (walks@tellastory.pt ) destinato a restringersi a pochissimi ma splendenti nomi di una tradizione di scrittori, intellettuali e pensatori veramente nutritissima ed invidiabile.
In conclusione c’è solo per un attimo da tornare ad Eça ed alle successive voci di un “modernismo” (tra cui senz’altro quella di Pessoa), che auspicava per Lisbona un’apertura a quel mondo di intelletto e di arte dalla quale essa era rimasta separata dopo il tramonto definitivo delle glorie di un intero popolo. Parigi e le sue raffinatezze sottili e trasgressive dominava questa vasta fantasia. Eppure non mancava di essere da lui stesso riconosciuto che anch’essa era città di vizio e corruzione. Proprio a Parigi egli collocava la perdizione di Maria Monforte (e galeotto fu proprio un nobile partenopeo come al solito senza scrupoli, Tancredo).
Oggi Lisbona, dopo la Lisbon Story di Wenders ha riconquistato il suo tocco internazionale. Aldilà del cosmopolitismo culturale e razziale che comunque non aveva mai perso. Ma la stessa T’resa sottolinea con amarezza che si tratta troppo spesso solo dell’attrazione esercitata da un immenso parco giochi. Sul quale aleggia sbiadita proprio l’icona del povero Pessoa. Proprio mentre ci illustra la storia delle ombre del Rossio ci passava davanti baldanzoso un veicolo amfibio giallissimo che trasporta i turisti in visibilio dalle acque del Tejo fin nelle vie e viuzze della città.
È veramente questo che vogliamo dal mondo e dalla cultura? È veramente questo ciò di cui abbiamo bisogno? È veramente questa la Lisbona che abbiamo bisogno di conoscere? O non è invece forse molto quella di un passato che è qui ancora palpabilmente presente? Cosa che non implica affatto, a mio avviso, un provincialismo ipocrita da disprezzare. Sono infatti sempre più convinto che la noia dei luoghi piccoli ed appartati sia ormai solo protettiva. Per la salute, per la mente, e soprattutto per la comunione sociale.
Ma comunque le risposte ultime (sempre personali) le lascio al cortese lettore.