Trend in salita per botteghino e qualità
Opera di Roma: i numeri della “svolta”
Incrementato il numero di rappresentazioni. Un’iniziativa premiata dal pubblico accorso per la “Lucia di Lammermoor” (l'incompiuta di Luca Ronconi), molto applaudita. E in questi giorni è di scena “Aida”
Sembrano andare meglio, le vicende amministrative, nel Teatro dell’Opera di Roma. Così ha dichiarato, in una recente conferenza stampa, il sovrintendente Carlo Fuortes. A parte il frasario sindacal-politichese, e il tono trionfalistico – la stagione corrente è etichettata come “quella della svolta” – l’andamento del botteghino, nel primo trimestre 2015, si annuncia in forte crescita. L’incremento, rispetto all’anno precedente, è dichiarato in + 60,2%: 4,8 milioni di euro da biglietti e abbonamenti (ma gli abbonamenti non si incassano a fine anno precedente, anziché nel primo trimestre?), con un aumento di 1,8 milioni rispetto al primo trimestre 2014, e uno sbigliettamento corrente che, da gennaio scorso, segna 37mila biglietti in più con un + 61,4%.
Nel frattempo, l’anno in corso dovrebbe offrire 50 rappresentazioni in più, con un + 28,9%. Quanto al bilancio, ricordiamo che, a fine 2013, la Fondazione stava per fallire, con 30 milioni di indebitamento netto, e quasi 13 di perdite nel bilancio d’esercizio. La gestione commissariale del 2014 dello stesso Fuortes è culminata nell’accordo del novembre scorso, che, dopo la precedente decisione di licenziare in blocco orchestra e coro, ha chiuso, vittoriosamente per l’amministrazione, il contenzioso con le masse artistiche, conservando gli organici ma modificando le condizioni contrattuali. Risultato: il bilancio 2014 ha segnato un draconiano ridimensionamento dei costi di gestione, con un -10 milioni sul 2013, e soprattutto si sono create le condizioni per beneficiare della legge Bray (la n. 112 del 2013) che, prevedendo un finanziamento statale di 25 milioni, ha permesso di onorare gran parte dei debiti, riconducendo a livello ordinario gli impegni verso i fornitori, e «allentando le tensioni finanziarie che avevano condizionato la Fondazione nel corso della sua storia recente». Intanto, Fuortes ha affiancato al direttore artistico Alessio Vlad la figura di Giorgio Battistelli, compositore di fama soprattutto per il teatro musicale. Una diarchia inedita, e curiosa: Vlad continuerà a programmare la stagione tradizionale, Battistelli penserà all’opera contemporanea e alla programmazione sinfonica. Funzionerà? Comunque, si è raddoppiata la spesa per i rispettivi emolumenti…
Mentre è di scena in questi giorni l’Aida di Giuseppe Verdi diretta da Jader Bignamini (fino al 3 maggio), le notizie sul versante della produzione artistica e della relativa qualità sono positive. Come nel caso della “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti, le cui repliche si sono concluse lo scorso 12 aprile. Appena schiuso il sipario, non ci si poteva sbagliare: la mano è la sua, inconfondibile. Ultima sfida operistica di Luca Ronconi – incompiuta, essendo egli scomparso poco prima dell’avvio delle prove – l’allestimento reca con tagliente nettezza le stimmate del grande regista. Questi ha infatti concepito e coordinato il progetto, tempo addietro, lavorandoci con la squadra dei suoi collaboratori storici: Ugo Tessitore per la regia e Margherita Palli per le scene, mentre Gabriele Mayer e Gianni Mantovanini hanno creato costumi e disegno luci. I quattro si sono impegnati a fondo nel realizzare e rispettare l’idea ronconiana, oltre che l’appuntamento col Teatro. E così l’Opera di Roma ha potuto rendere, nel modo più degno, l’estremo omaggio al geniale artista.
Nella riuscita dell’allestimento, va però prima ancora sottolineata la particolarità della lettura musicale impressa da Roberto Abbado, sul podio dell’orchestra romana. Il direttore milanese ha esibito un’attenzione sensibilissima alla partitura donizettiana, mettendone in luce ogni minima, raffinata sfumatura. Il suo portare in primo piano l’eleganza della strumentazione originaria – qui valorizzata dalla sua bacchetta sempre tesa a illuminare, tra le altre cose, le morbidezze degli archi, il gioco dei legni, la grazia eterea della Glass Harmonica nella scena della follia – ha catturato l’ascolto, e condotto anche i cantanti e il coro a una prova di qualità. Roberto Abbado ha lumeggiato ogni piega dell’opera, che si pone fra i paradigmi del melodramma ottocentesco; e sono così venuti in evidenza i colori di una tavolozza espressiva che limpidamente trascorre, nel divenire della vicenda, dai chiaroscuri più intimi e palpitanti alle tinte più accese della sensibilità romantica.
Ben diversa, nella sua sobria omogeneità, la lettura che ne ha lasciato Ronconi, che colloca l’azione in una dimensione chiusa e spoglia di arredi, totalmente bianca in contrasto con gli ottocenteschi costumi neri. Una scelta che deliberatamente esclude ogni temperie romantica, e che anzi a suo modo sottolinea, nella scena della follia, la crudezza della situazione: qui il quadro appare manicomiale, senza mezzi termini, con sbarre e gabbie che marcano esplicitamente una realtà di detenzione, con tanto di figuranti. Un progetto tagliato dunque su un’angolazione ben definita, magari parziale, ma organica e coerente: estrema conferma della forte personalità ideativa del regista scomparso. Decisamente apprezzata, con lunghi applausi finali, la compagnia di canto. Jessica Pratt, nel ruolo protagonista, ha esibito una magnifico velluto vocale, morbido nelle mezze voci e in ogni sfumatura, sempre omogeneo nel passaggio fra un registro e l’altro, su una linea di gusto elegante e intenso. Ma da più fonti ho appreso che la sua sostituta, Maria Grazia Schiavo, nell’unica recita che le è toccata ha fatto ancor meglio, scatenando tra l’altro un uragano di ovazioni al termine dell’aria della pazzia. Ben degni anche gli altri interpreti: Stefano Secco è stato un Edgardo di bella vocalità e di temperamento più ardente che tenero, accanto ai lodevoli Marco Caria, Enrico, Alessandro Liberatore, Arturo, Carlo Cigni, Raimondo.