In mostra fino all'8 marzo
Quell’astrazione lirica
La galleria Arcos di Benevento dedica una grande retrospettiva a Antonio Lombardi, il pittore/chirurgo amico di poeti e scrittori a Roma negli anni Ottanta e Novanta
Un cunicolo dove le tenebre sono squarciate dal colore, un cammino nel sottosuolo scandito dalla teoria di archi tufacei e nicchie “illuminati” da presenze luminose. È una bella scoperta l’Arcos di Benevento, il museo del Sannio dedicato all’arte contemporanea e nato, nei sotterranei del palazzo della Prefettura, grazie all’intuizione, la caparbietà, l’impegno di Ferdinando Creta che ha costruito uno «spazio della fantasia» in quello che, fino agli inizi del Duemila, era un luogo di degrado, uno dei tanti siti storici dimenticati e abbandonati dalle istituzioni senza soldi né idee. Ed è anche una piacevole sorpresa ritrovare nel vecchio tunnel-rifugio antiaereo, oggi laboratorio vivo di cultura e sperimentazione, la mano felice di Antonio Lombardi, pittore per scelta e per vocazione fino alla morte, un presidio resistente in questi ultimi decenni in cui parlare di pittura suona quasi come una bestemmia.
Professione medico: altro handicap, altra condanna pesante, quella di autodidatta, in un mondo dove basta il titolo di un’accademia o il plauso del critico alla moda per cingere, al di là dei meriti o meno, la corona d’alloro di artista. Tonino (così si presentava), la tavolozza l’aveva nel dna – il padre era un bravo decoratore di chiese – ed è andato avanti per la sua strada con limpida onestà intellettuale, perché dipingere, diceva, era mettere a nudo la sua anima. E gli attestati nel tempo sono arrivati, mostre in Italia e all’estero, apprezzamenti autorevoli di personaggi del calibro di Emilio Villa, Maria Luisa Spaziani, Laura Cherubini, Maurizio Calvesi, Gabriele Simongini, per fare solo qualche nome. Quello che gli mancava, però, era la “cazzimma”, come diciamo noi napoletani: la furbizia accentuata – citando il grande Pino Daniele di A me piace ‘o blues – la pratica costante di portare acqua al proprio mulino, di trovare il proprio tornaconto, sfruttando amici e occasioni. Lombardi viveva per l’arte, produceva per se stesso, per esprimere sulla tela i suoi sentimenti, le sue emozioni, la narrazione di un tempo interiore al bit del cuore.
Sono passati sette anni dalla morte, la distanza invita alla riflessione, «a piegare i ricordi alla realtà e a dare ad essa un senso», come sottolinea Creta che ha voluto fortemente ospitare all’Arcos la piccola retrospettiva Tonino Lombardi. Paesaggi dell’astrazione (fino all’8 marzo, catalogo per i tipi di Verduci Editore). È il primo step di una serie di esposizioni – coordinatrice, per conto della famiglia Lombardi, la critica Ada Patrizia Fiorillo dell’Università di Ferrara – che si svolgeranno in tutta Italia, fino ad approdare a Roma. Vale a dire la città adottiva del pugliese innamorato della bellezza, dove, fin dagli anni Sessanta alternerà la sua professione di chirurgo alla frequentazione di gallerie, di artisti come Corpora, Monachesi, Cagli e Afro (il suo ispiratore) e di scrittori e di poeti quali Villa, Accrocca, Costantini, Fusco, Moravia, la Spaziani, Dacia Maraini e Carmen Llera Moravia. Amici con cui condividere esperienze e segreti, a cui donare acquerelli di luce, orizzonti emotivi come versi o note che riempiono di visioni il vuoto del silenzio. L’astrazione, dopo le timide incursioni nel figurativo e le seduzioni dell’informale, è la cifra di Lombardi; la forza del colore per esprimere l’inespresso del cosmo, per vincere l’angoscia, la disperata passione di essere al mondo, per invocare «un ritorno alla pace dopo la tempesta», come sembra indicare un dipinto del 1986, Minaccia di temporale, una burrasca vissuta in prima persona a Taranto, «l’idea – confessò – fu di tentare di portarla in questo quadro con il sereno in arrivo».
Le deflagrazioni della natura simili a quelle dello spirito, la ricerca ossessiva dell’armonia: uno stato d’animo trasferito su tela con pennellate decise, ampie, libere, un vortice, dal ritmo incalzante e oscillante della taranta, di gialli, blu scuro, nero catrame e rosso sangue, trafitti da grafismi neri e stemperati (ecco si apre l’orizzonte del sereno, ecco la consolazione della leggerezza) da verdi pallidi e bianchi candidi. Laura Cherubini, in un testo del 1993, parla dell’eterno conflitto in Lombardi tra tenebra e luce, energia e fuoco, fallimento dell’uomo e tuttavia superiorità dell’umano; sottolinea la fatica, il travaglio, gli ostacoli da superare, comunque, nel segno della positività. Tonino lo farà nei suoi ultimi anni, evidenzia la Fiorillo, con una pittura più consapevole, più meditativa, più intima, distaccata da ideologie e utopie collettive, un santuario della coscienza dove i rumori del mondo arrivano attutiti.
Sono proprio i lavori recenti, una trentina tra oli e disegni che vanno dal 1990 al Duemila, quelli esposti a Benevento. La selezione è stata fatta da due giovanissime curatrici, Caterina Pocaterra ed Annamaria Restieri del team che sta operando la rivisitazione dell’opera totale di Lombardi. Entrambe si sono soffermate sulle pagine più evocative dell’artista, sul suo personale diario, sul taccuino del suo viaggio introspettivo dove racconta, con le suggestioni dell’astrazione lirica, i paesaggi della memoria, i territori della sua giovinezza fermati con la dolcezza della malinconia che non è assolutamente rimpianto. Il testamento di chi non si è mai arreso, il monito a cercare il cielo sopra alle nubi.