Nicola Fano
In memoria della cultura offesa

Che guerra è

Non basta siamo tutti Charlie Hebdo. Non bastano le frasi a effetto, non bastano i tweet: siamo in guerra. E dobbiamo combattere con la cultura, la libertà e il senso critico. Ecco le armi che abbiamo dimenticato

Non basta siamo tutti Charlie Hebdo. Non bastano le frasi a effetto, non bastano i tweet, non basteranno i titoli di domani: siamo in guerra. Bisogna solo capire che guerra è. Chi l’ha dichiarata e contro che cosa. E cominciare a combattere con le nostre armi, sperando che siano più efficaci di quelle del nemico. Perché spero che su una cosa non ci siano dubbi: chi oggi ha sparato a Parigi ci odia, ci vive come nemici. Tutti, tutti noi. Che noi si sia artisti, che si sia politici, che si sia poliziotti, poveri, ricchi, felici, infelici… insomma semplici occidentali: siamo odiati tutti. E qualcuno a Est spende soldi perché quest’odio prosperi, cresca, si propaghi e produca reddito. Laggiù. Tacere su questo vuol dire mentire. E basta.

Bisogna capire che guerra è.

Mi sono chiesto perché i soldati del dio dell’odio abbiano sparato su degli artisti. Qualcuno avrà detto loro che quegli artisti avevano offeso il loro dio. Forse. Ma mi sono chiesto, per esempio: perché non sono andati a sparare in una discoteca, o a un rave party? A un happy hour? Perché? Amano lo spettacolo: avrebbero fatto più spettacolo. Ma il loro nemico non è lì: è nelle intelligenze, nell’ironia, nell’arte. Finché non capiremo questo, la guerra sarà persa. L’Occidente, al fondo della sua crisi – al fondo della crisi del capitalismo che l’ha divorato, all’estremo della dittatura del profitto – è diventato il crogiolo di una civiltà debosciata. Ci distruggiamo di superfluo e abbandoniamo a se stessa la nostra identità. La calpestiamo: lasciamo che chiunque la calpesti, in nome di un malinteso politically correct. Lasciamo che chiunque menta (pensate ai mille populisti concorrenti del nostro disgraziato paese) senza inchiodarlo momento dopo momento alla sua menzogna.

Sono propenso a credere di essere ateo (ma non ne sono sicuro e ritengo che questa sia la mia forza), ma so che Cristo e la croce sono parte della mia cultura. Come falce e martello. Come il candelabro a sette braccia. Io sono quelle cose lì. E non sono disposto a svenderle per nessuna ragione al mondo: consento che se ne rida, che se ne discuta, ma non che siano simboli da riporre in cantina o da oscurare sotto una tunica nera. Abbiamo acconsentito che si irridesse la nostra storia, che qualcuno si pulisse il culo con le nostre bandiere, che i nostri nomi fossero usati come insulti: pensavamo che il telecomando fosse lo strumento del nostro potere illimitato!

E invece no. È questa la guerra che dobbiamo combattere: quella dell’identità. Sotto i colpi dell’ideologia del profitto a ogni costo (che in Occidente prospera dagli anni Ottanta in poi: Thatcher/Reagan/Bush/ecc.) abbiamo smarrito il senso della nostra storia. Abbiamo calpestato la solidarietà, gli ideali di uguaglianza, il senso della storia e della memoria. Tutto nel nome di qualche buon affare. Di una buona stock-option, di un investimento finanziario azzeccato. O di un voto in più nelle urne, in modo da poter poi lucrare meglio e di più. E chissenefrega degli altri! La guerra che stiamo perdendo è questa. Ogni guerra si combatte per il controllo delle risorse e dei territori: non sono disposto a ritenere che i soldati del dio dell’odio combattano altro che per questo. Risorse e territori: l’unica risorsa che ci è rimasta è la cultura, l’unico territorio che possiamo abitare è la libertà. Per questo hanno ucciso un consesso di artisti che si era riunito per progettare un’idea.

E per combattere e salvarci non abbiamo altre armi: cultura e libertà. Il resto sono cazzate, diversivi, complicità con il nemico. Occorre sfollare le bacheche e riempire i cervelli: scuola, studio, formazione, senso critico, cultura, memoria. Ecco le nostre armi.

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