Tra letteratura e ambiente
Leopardi e l’olivastro
La morìa di olivi, ovunque in Italia, scatena amare riflessioni sul nostro rapporto con la natura. Sulla lotta che dobbiamo sempre combattere per impiantarvi la vita
Giacomo Leopardi ci ha insegnato a diffidare del naturale; cioè di quegli aspetti del mondo che sembrano spontanei, come un prato o un bosco, e che invece sono il risultato in gran parte artificiale del lavoro secolare dell’uomo.
Il paesaggio diventa tale quando gli elementi naturali e quelli architettonici trovano il modo di dialogare. Un campo coltivato o un lungo e un vasto filare di alberi, il profilo di una collina o il ritmo orizzontale di una pianura sono figurazioni dell’aperto che ci accolgono e ci lasciano respirare.
Quando il meccanismo naturale-artificiale del paesaggio s’inceppa, allora sono guai. Guai che troppo spesso non sono ascoltati da chi dovrebbe. Guai che finiscono per menomare intere comunità.
Da qualche tempo, ad esempio, gli olivi si ammalano. Una vera e propria epidemia li sta attaccando. Sembra si tratti di un batterio – lo hanno chiamato Xylella fastidiosa – che oltre ad attaccare il singolo albero si diffonde a una velocità incredibile.
Com’è già avvenuto per le palme, gli scienziati sono alla ricerca degli antidoti, ma nel frattempo sia il paesaggio salentino, sia quelli umbri e toscani sono feriti a morte.
Si pensi inoltre che al lavorìo funebre del batterio si aggiungono gli squilibri climatici, come le troppe piogge dell’estate scorsa. E come non pensare a Interstellar, il bel film americano che prende proprio le mosse da un disastro ambientale, tale da mettere in scacco l’agricoltura. Da qui la necessità di andare a cercare nuovi spazi nei quali impiantare la vita.
Gli olivi non sono alberi qualunque; hanno, soprattutto nel Mediterraneo, una valenza simbolica di prim’ordine. Basti solo pensare all’olio, cibo-base delle nostre abitudini culinarie; quel cibo che connota la dieta mediterranea, ma che, ci riferiscono le cronache, comincia scarseggiare.
Alcuni degli alberi aggrediti sono secolari, il Tempo li ha determinati e formati; è come se i minuti, le settimane, i mesi e gli anni gli si fossero versati dentro.
Ma niente può essere dato per assodato una volta per tutte. E se ogni cosa ha una storia e una sua vicenda evolutiva, stiamo scoprendo che sono possibili anche i ritorni indietro, gli stop, le circolarità variate e sempre più controverse delle stagioni.
Già Omero, parlando dell’olivo, lo distingue dall’olivastro. Entrambe le piante hanno la stessa radice – «nati da un ceppo», dice il poeta –; ma mentre la prima è paragonabile a un dono della terra, la seconda è infestante e a volte nociva. Com’è possibile? Purtroppo è possibile.
Non bisogna per forza essere botanici per arguire che proprio dall’olivastro, per progressive selezioni, sia nato l’olivo. Apprendere della morìa di olivi, e scoprire che il batterio alligna soprattutto negli oleandri e da loro passa successivamente agli olivi, mette in moto una macchina di pensieri che vanno all’indietro.
È come se stesse avvenendo una regressione biologica, una sorta di ritorno all’olivastro. Viene da immaginare la guerra che l’olivo-Jekill e l’olivastro-Hyde stanno facendosi; e viene da immaginarla come la guerra che dentro di noi si combatte ogni giorno, come ha raccontato il grande Stevenson. Chi prevarrà non è solo una questione locale; non riguarda solo quei paesaggi. La globalizzazione ormai non risparmia più quasi nulla. Lo dimostrano i recenti e timidi accordi tra Cina e America sulle emissioni di gas. Se l’olivastro prevalesse in Puglia o in Toscana o in Umbria, un po’ ovunque potrebbe succedere la stessa cosa. È necessario che si torni a studiare la Natura non solo per spremerla finché si può, ma per ascoltarne il suo linguaggio e rispettarlo. E che si tratti di un’emergenza conoscitiva lo dimostrano anche i tanti disastri che il mal tempo sta provocando in tutta Italia.
La terra ha bisogno di una continua manutenzione, la stessa che è indispensabile a tenere in uno stato di salute i nostri corpi. Decenni e decenni d’incuria si stanno trasformando in una tragica Nemesis.
Non solo, dunque, i paesaggisti, i botanici e i poeti è importante che si uniscano nella lotta contro l’olivastro; ognuno di noi di giorno in giorno deve saper cambiare le sue cattive abitudini, riportando i proprio gesti dentro il mondo misurato dalla Natura.