A proposito di "Gelo"
L’anti-Gomorra
Ritratto di Maurizio De Giovanni, giallista di culto che racconta una «Napoli che non sembra Napoli» perché rifiuta tutti gli stereotipi. Ma senza rinunciare alla verosimiglianza
È alto, ha gli occhi chiari, il fisico un po’ appesantito ed è dotato di un eloquio naturale e simpatico, condito da sorrisi e ammiccamenti. È un gran tifoso del Napoli, è un ex bancario, ha imboccato tardi – e lui giura per colpa d’altri – la carriera dello scrittore. È Maurizio De Giovanni, napoletano, classe 1958, autore da quasi dieci anni di gialli di successo, che scalano le classifiche e fanno breccia nel cuore dei lettori. Quei lettori che attendono ansiosi ogni nuova uscita e seguono affettuosi e partecipi gli incontri e le presentazioni che, in clima amichevole e salottiero, immancabilmente si susseguono. Questo tipo di atmosfera si è sistematicamente riprodotta sabato 29 novembre al cinema Vittoria di Napoli, dove – a sala strapiena – Maurizio De Giovanni ha presentato il suo nuovo libro, Gelo per i Bastardi di Pizzofalcone (Einaudi, pag. 320, € 19,00).
Il romanzo si inserisce nella serie dedicata all’ispettore Lojacono, comparso per la prima volta due anni fa ne Il metodo del coccodrillo, e proseguita coi successivi I Bastardi di Pizzofalcone e Buio. Con questa nuova serie di romanzi, De Giovanni ha per il momento abbandonato un altro personaggio seriale, quel commissario Ricciardi che lo ha portato al successo tenendo i lettori incollati alle atmosfere cupe e a volte miserevoli della Napoli degli anni Trenta.
Dopo ben sette libri e altrettanti casi, l’autore ha deciso di spostare l’ambientazione delle sue storie al giorno d’oggi e ha sostituito a un eroe molto introverso e solitario, come appunto il commissario Ricciardi, una squadra di bastardi, uomini e donne con alle spalle storie complicate che si trovano riuniti in una equipe investigativa sempre sul punto di essere smembrata da capi e dirigenti che non li stimano. L’operazione è perfettamente riuscita e se Ricciardi ha dato la fama a De Giovanni, il personaggio multiplo di Lojacono e della sua squadra l’hanno definitivamente consolidata, offrendo al loro autore la possibilità di moltiplicare i punti di vista sul caso sul quale indagano e sulla città nella quale si muovono. Gelo racconta di un duplice omicidio avvenuto in una Napoli attanagliata da un freddo pungente, inusuale, a cui non è abituata e da cui non sa difendersi. Un gelo che è forse metafora dei tanti problemi personali che i sette componenti della squadra si portano appresso in ogni momento delle loro indagini.
L’artificio narrativo (mutuato dalla grande passione di De Giovanni per Ed McBain e la sua prolifica serie dell’87° Distretto) rende la serie dei Bastardi più vivace di quella di Ricciardi e consente al suo autore di raccontare Napoli, la città in cui «vivo, in cui continuerò ad ambientare le mie storie, da cui non ho intenzione di andare via». Come molti altri autori – e cita Carofiglio, De Cataldo, Camilleri – anche De Giovanni non è interessato a cercare «la colpa di un’azione truce come un omicidio», ma le motivazioni che l’hanno originata, cosa abbia fatto scattare «la pazzia di uccidere». È l’occasione per difendere il valore della narrativa gialla «anche se non vincerà mai un premio», per spiegare la scelta di Pizzofalcone come «luogo di Napoli a cavallo di realtà socio-culturali molto diverse», per riconoscere alla città un fondamentale ruolo di «ispirazione nella scrittura delle mie storie». «Per questo non mi da fastidio – aggiunge – quando parlando di me si dice che sono uno scrittore napoletano, mentre invece mi imbestialisco quando, fuori città, subisco gli stereotipi in cui Napoli è incatenata: Non sembra che sei di Napoli…». Perché il crimine –conclude – non è un copyright di Napoli e la città è anche ciò che le persone, non solo gli artisti, raccontano».
De Giovanni, letto in tutta Italia e tradotto ormai in molte lingue, come ultimo ambasciatore di Napoli in ordine di tempo, dopo Eduardo, Troisi, Pino Daniele e alternativo – vivaddio! – agli scenari di Gomorra. De Giovanni che si chiede come mai per il dialetto napoletano, pur dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, nessuna delle sette università campane abbia istituito una cattedra di lingua e letteratura napoletana. Una domanda che attende risposta.