Alla scoperta di un autore di culto
Il caso Zerocalcare
Appena uscito, “Dimentica il mio nome”, nuovo romanzo a fumetti di Zerocalcare, è già un successo. Vediamo qual è il segreto di questo autore che racconta anche la morte con leggerezza
Mica sono solo fumetti, quelli di Zerocalcare. Questo Dimentica il mio nome (Bao Publishing, €18,00) è quasi un romanzo. Tant’è che nelle classifiche di vendita, appena uscito, ha sfiorato i primi posti, appena sotto a Ken Follet e John Green; e il penultimo Dodici sfonda anche le classifiche degli e-book. Michele Rech, alias Zerocalcare – orrido nome captato all’impronta da una pubblicità come nick per Indymedia, poi rimasto appiccicato – è adorato da chi era adolescente negli anni ’80, ma anche chi non riconosca nei suoi personaggi icone di fumetti alla Walt Disney, Marvel o Dragon Ball dietro cui nasconde amici e parenti può apprezzarne la filosofia anarco-punk, e la profondità emotiva. E il legame con la sua Rebibbia, periferia di Roma così lontana dalla capitale ma così “normale”. Scrive Zero: «Ci potrei girare bendato, come quando di notte vai al bagno senza accendere la luce perché tanto conosci ogni spigolo. Perché è casa tua».
Fenomeno underground all’inizio: la prima autoproduzione con Makkox da 500 copie di La profezia dell’armadillo, con la casa editrice Bao è arrivata a 50.000, e i libri di Zerocalcare hanno venduto in due anni oltre 200.000 copie. Fenomeno che lui minimizza con una scrollata di spalle, convinto che finirà rapidamente. Anche se tra le sue più recenti fatiche c’è la sceneggiatura della Profezia scritta a quattro mani con Valerio Mastrandrea, ancora in attesa di ciak. «La cosa migliore che poteva capitare – dice lui, smagato – la sceneggiatura è scritta, mi pagano, il film viene rimandato. Fino qui tutto bene, come dice Hubert cadendo da un palazzo di 50 piani nell’Odio di Kassovitz».
Ecco dunque questo Dimentica il mio nome. Il racconto, ormai più che post-adolescenziale, di un giovane uomo nella storia di famiglia, dolori e avventure, misteri e paure. Chi siamo lo decidiamo noi, certo, ma la ricerca su chi erano i nostri genitori e i nostri nonni certo collabora. Muore una nonna molto amata, pittrice francese e canterina. Il giovane Zero si ritrova nella sua casa a cercare un anello che dovrà accompagnarla nella bara. Con lui il Secco, amico gretto e spiccio, appitonato ai suoi videogiochi e alle bombe carta che infestano le sue tasche. Comincia così un viaggio, conseguenza di quella morte, nel passato di famiglia, tra volpi parlanti e fantasiosi truffatori, russi decaduti e mostri inguardabili.
Virgilio di questa guida, la mamma: disegnata come Lady Cocca, la nutrice della principessa in Robin Hood, è lei che svolge il filo della storia, ruolo da comprimaria. Lei sa, Zero saprà.
C’è morte nella Profezia dell’Armadillo, il primo libro di Zerocalcare. C’è anche in Dodici, l’invasione di zombi a Rebibbia. Ma è qui che si allarga l’orizzonte, la morte si lega al passato e affianca la vita, la rende più ricca. Una riflessione vera, un rovello: «Ho un problema con la morte – confessa Zerocalcare – rosico se penso che non ci sarò più. Il fumetto mi aiuta a tirare fuori cose che mi fanno scapocciare. E poi, siccome nelle mie cose non parlo di amore, mi resta la morte».
Chi non l’ha, il problema con la morte. Un trentenne ce l’ha anche con l’essere adulto. Come sempre Zero disegna i personaggi dei fumetti anni ’90 al posto di amici e parenti. E anche gli oggetti di allora, come il Pisolone: «Orrido sacco a pelo a forma di orso che simulava un morboso rapporto marsupiale simbiotico. Col Pisolone riuscivo a dormire ovunque. Mi proteggeva. Mi faceva sentire al sicuro. Teneva lontani i miei spauracchi. Che ai tempi erano Freddy Kruger e il cattivo di Roger Rabbit, per lo più». Il Pisolone, la sicurezza, la voglia di avere tutto sotto controllo, avrà un ruolo centrale nella conclusione della storia, non dirò come. E segnerà un altro gradino verso la maturità, forse l’ultimo.
Prima c’è il rimpianto, la consapevolezza che la morte ti toglie non solo la presenza di una nonna amata, ma il tuo futuro insieme a lei. Come sarà quella canzone che la nonna scrisse su Venezia, e che il dodicenne Zero si rifiutò di ascoltare perché, disse allora, «oggi fregacazzi»? Perché, chiede un rabbioso Zero al suo io ragazzino, «rispondi sempre di merda? Perché nessuno t’ha mai dato due pizze date bene (in casa eh, perché fuori avoja)». Fuori, per esempio al G8 di Genova.
È il dolore che parla. Il dolore e la paura che ti si ficca negli occhi, e hai voglia allora cercare l’allocuzione più fiorita del romanesco, coté Rebibbia. Tutto inutile, non c’è rassicurazione. Bisogna combattere, andare in profondità. «Il dolore crea dei buchi nella trasmissione della memoria. Poi ognuno li riempie come può. Perché i buchi se non li riempi sono un casino, escono fuori i topi, i bacarozzi, lo schifo proprio». Ognuno li riempie come può, Zero lo fa disegnando.
Chissà se l’apprezzeranno i ragazzi che lo hanno eletto fumettaro guida – e non solo a Rebibbia, né a Roma, ma in tutt’Italia, tanto che alle presentazioni la cerimonia dei disegnini personalizzati sul libro rischia ogni volta la sindrome del tunnel carpale, e la conclusione per estenuamento alle 3 di notte e oltre. Chi conosce lo Zerocalcare del blog (www.zerocalcare.it, una striscia inedita ogni lunedì su due) ci troverà tutto il suo surrealismo anarchico, lo sguardo smagato e comico del geniale I vecchi che usano il pc oppure il famoso Piumino o il concretissimo Degrado. In più, una storia con tanto di giallo che alla fine torna al luogo di partenza, l’amata Rebibbia. Ma questa volta da grandi, adulti che sconfiggono la paura, se non il dolore, e fanno la cosa giusta, gente su cui si può contare. Perché, conclude la mamma-Lady Cocca, «se noi siamo qui oggi, è perché abbiamo avuto qualcuno su cui contare».
Il giallo non si scioglie completamente, è vero, ma io credo di aver capito. Se è vero non so, mi piacerebbe chiederlo a lui, a Zero. Oppure aspetterò il prossimo fumetto, ogni maledetto lunedì su due.