Lo scrittore israeliano a Milano
Vivere è tradire
«Giuda», il nuovo romanzo di Amos Oz, è un omaggio al compromesso e al "tradimento". Perché tradire, da Giuda in poi, significa cambiare. E mandare avanti il mondo
Giuda, l’ultima opera di Amos Oz (336 pagine, 18 euro) appena pubblicata da Feltrinelli, è un romanzo sul tradimento e – anche – una tormentata riflessione sulla storia degli ebrei, e su Israele, che prende le mosse dalla vicenda dell’apostolo, il protagonista del «tradimento più famoso». «La Chernobyl dell’antisemitismo», come dice lo scrittore israeliano. Perché le persecuzioni e tutto il resto nascono da lì, dalla crocifissione di Gesù, dall’accusa di deicidio.
La prima presentazione europea di Giuda è avvenuta domenica scorsa alla Sinagoga centrale di Milano, nell’ambito della manifestazione BookCity. Una gran folla ha riempito il tempio, dopo aver affrontato pazientemente una coda lunga e lentissima, imposta dai purtroppo necessari controlli di sicurezza. Giuda è un romanzo particolare, avvincente e bellissimo. È un romanzo polifonico: l’autore affida infatti la sua riflessione ai protagonisti: Shemuel, un giovane idealista e confuso, un «bambino vecchio» che faticosamente tenta di scrivere la sua tesi universitaria su “Gesù in prospettiva ebraica”; Gershom Wald, un vecchio disilluso e scettico; la nuora Atalia, una donna di 45 anni ancora seducente, ma amareggiata dalla vita e ostile agli uomini.
Fra i tre personaggi, molto diversi fra loro e inizialmente assai diffidenti l’uno nei confronti dell’altro, alla fine accade quello che l’autore ha definito «un piccolo miracolo». Si vogliono bene, si amano. «Neppure io – ha detto Oz – dopo aver letto e riletto il mio testo ho capito come sia avvenuto». Un miracolo della scrittura.
I tre trascorrono l’inverno tra il 1959 e il 1960 in una casa di pietra alla periferia estrema di Gerusalemme, in una sorta di volontaria reclusione. Con loro si può dire che vivano anche due fantasmi: Micah, figlio di Wald e sposo di Antalia, morto da soldato per difendere Israele, e Shaltiel Abrabanel, il padre della donna, un visionario che immaginava un mondo senza stati, né confini, né eserciti, pertanto contrario alla creazione della nazione di Israele. Bollato come traditore, venne espulso dall’Agenzia ebraica della quale era stato uno dei leader.
Ma Amos Oz “riabilita” i traditori. A cominciare da Giuda Iscariota, il traditore per antonomasia. Secondo lo scrittore, infatti, solo chi tradisce, chi esce fuori dalle convenzioni è capace di cambiare se stesso e il mondo. Nel suo intervento in Sinagoga ha detto che in misura maggiore o minore lo siamo tutti, traditori: lo siamo quando dall’infanzia passiamo all’adolescenza, quando ci emancipiamo dai genitori e abbandoniamo la casa familiare, finanche quando compriamo una nuova lavatrice. Ci sono poi quei traditori che precorrono la storia, o la segnano. Come Giuda, appunto, che Oz racconta come un «fervido adepto» di Gesù, che credeva in lui «più di quanto Gesù credesse in se stesso».
Fu Giuda, sostiene il giovane Shemuel, a spingere Gesù a «operare un prodigio quale non si era mai visto da che il Signore aveva creato il cielo e la terra». Ovvero la Resurrezione, nella quale l’apostolo credeva fermamente perché convinto senza alcun dubbio di essere dinanzi al figlio di Dio. «Con ciò sarebbe cominciato il Regno dei Cieli. A Gerusalemme. Di fronte al popolo e al mondo». «Giuda Iscariota – conclude Shemuel – è dunque l’ideatore, l’organizzatore, il regista e il produttore del dramma della crocifissione», senza il quale «il cristianesimo non sarebbe mai esistito». Giuda fu «il primo cristiano».
Anche Oz appartiene a quello che chiama «il grande club dei traditori», ed è «onorato» di esserne membro. D’altronde, come non potrebbe esserlo – in Israele – chi sostiene che tra palestinesi e israeliani non esistono malintesi, giacché entrambi legittimamente pretendono la stessa terra, che è la loro unica terra? Come potrebbe non esserlo chi sostiene la necessità di un compromesso, perché è illusorio pensare di diventare fratelli, mentre forse è possibile «dividere in due l’appartamento e diventare vicini di casa»?
«Sì, sono un grande sostenitore del compromesso», ha spiegato domenica. «L’opposizione al compromesso non è l’idealismo o l’integrità, ma il fanatismo e la morte». Ha concluso con quello che è il suo slogan: «Fai la pace, non l’amore». Una lunga e potente ovazione è seguita alle sue parole.
Indubbiamente un applauso lo merita, Amos Oz, grande scrittore e coraggioso “traditore”.