La sconfitta di Obama
Condivisione americana
I repubblicani hanno vinto le elezioni, ma non le hanno stravinte. Perché tutta la politica è impopolare negli Usa. E perché di fatto gli elettori hanno votato per una gestione condivisa dei problemi di politica interna e estera
Come previsto, i repubblicani hanno vinto. Alla grande. Raggiungendo una maggioranza che non si ricordava dai tempi di quando Harry Truman lasciò la Casa Bianca. Adesso hanno la maggioranza alla House of Representatives e al Senato. Cioè in tutto il Parlamento. Tuttavia già prima che i conti avessero dato per vincente il GOP, i suoi strateghi erano preoccupati che questa vittoria potesse accecarli facendo loro perdere di vista gli obiettivi di lunga gittata. Inoltre in questa campagna elettorale i repubblicani non hanno presentato alcuna piattaforma che mirasse a risolvere i più importanti problemi del paese. È stata semplicemente una battaglia contro Obama. Ma se l’obiettivo è spostare il favore elettorale verso una politica conservatrice nel tentativo di vincere un’elezione presidenziale, il traguardo è ancora molto lontano.
«Noi non dovremmo gonfiarci per questa vittoria negli stati rossi» (cioè quelli repubblicani, mentre quelli blu sono democratici) ha affermato Ned Newhouse un sondaggista repubblicano. Un terzo del Senato viene rieletto ogni due anni e per caso infatti gli Stati di questa campagna elettorale sono tutti molto conservatori. «In realtà delle tre classi di seggi senatoriali il gruppo di quest’anno è stato il meno rappresentativo della pancia del paese, specie se paragonato con gli ultimi cicli elettorali», afferma il professore di scienze politiche alla New York University Patrick J. Egan sulla base dei suoi dati. «Certo – come scrive David Lauter sul Chicago Tribune – una vittoria è una vittoria, senza se e senza ma. Il GOP ha consolidato il suo dominio nel Sud, rafforzato la sua presenza a Washington e soprattutto ha indebolito la possibilità del presidente Obama di influenzare l’agenda politica nazionale». Infatti questa ondata montante del partito repubblicano è andata al di là dei cosiddetti stati rossi conquistando il Colorado, l’Iowa e la North Carolina tradizionalmente “swing states” cioè stati che ondeggiano tra democratici e e repubblicani. Di cui alcuni, come il New Hampshire, hanno mantenuto la leadership democratica.
Ma con questa vittoria, che appare in realtà come un referendum sulla popolarità del presidente Obama, scesa ormai sotto il 40%, viene anche un livello di responsabilità che fino ad ora i repubblicani potevano ignorare. «Se il GOP vuole provare prima del 2016, cioè l’anno delle prossime elezioni presidenziali, che sa governare meglio di quello democratico deve cominciare a risolvere i problemi già da ora, cercando di ottenere dei risultati, piuttosto che continuare a dare la colpa di certi fallimenti ad altri, nella fattispecie a Obama e ai democratici» ha commentato un editoriale del Washington Post . Specialmente considerando il fatto che fino a due anni fa il partito repubblicano sembrava davvero in “bad shape” . Il commento «nessun altro partito importante è stato così impopolare nella storia dei sondaggi come il Partito repubblicano» viene sì da un sondaggista democratico come Mark Mellman, ma sembra essere ampiamente condiviso da altri di fede repubblicana. Uno dei motivi della schiacciante vittoria repubblicana pertanto da ambedue le parti viene attribuito alla insoddisfazione degli elettori nei confronti della casa Bianca. Una cosa di cui anche presidenti come Reagan, Clinton e George W. Bush sono stati vittima con la conseguenza che il partito che rappresentavano ha perso il controllo del Senato. Inoltre, molti giovani e molte donne, nocciolo duro dell’elettorato di Obama, non sono andati a votare.
Il partito repubblicano non ha avuto alcun incentivo a tentare di risolvere importanti questioni su cui i due partiti si trovano su poli opposti, come l’immigrazione e la riforma sanitaria, convincendo la gente semplicemente che i repubblicani avevano in mano la ricetta vincente per amministrare il paese. Che insomma l’avrebbero fatto meglio di Obama e dei democratici. I sondaggi del 2006 e del 2010 mostravano che le preferenze elettorali si indirizzavano verso il partito ritenuto capace di amministrare in maniera più efficiente, mentre i recenti sondaggi della Gallup hanno dato un messaggio molto diverso dai precedenti. Se un elettore su quattro ha pensato che il controllo dei repubblicani sul Parlamento potesse essere in grado di migliorare il paese, il gruppo più consistente di elettori tuttavia , circa il 40%, ha affermato che il paese sarebbe «lo stesso senza alcuna distinzione su chi governa».
Se però il partito repubblicano dopo questa vittoria sceglierà di continuare la sua battaglia senza quartiere contro Obama nella speranza di mostrare quanto negative siano le sue scelte, questo potrebbe generare nel partito democratico una sorta di rigetto della possibilità di collaborare e Obama potrebbe usare il suo potere attraverso decreti esecutivi che eliminano dal tavolo una volta per tutte la trattativa e i compromessi. Ma queste strategie non hanno mai funzionato per il paese o per i partiti e ambedue i partiti, almeno per il momento, secondo i sondaggi sono davvero impopolari. I repubblicani pur regnando su ambedue i rami del Parlamento, non sono infatti giunti ai “magici” 60 seggi che permetterebbero loro di bypassare i democratici. E la Casa Bianca naturalmente rimane saldamente in mano democratica. Dunque il voto a favore dei repubblicani sembrerebbe significare un voto diretto alla condivisione del potere. Pertanto se da parte repubblicana i prossimi due anni dovrebbero essere usati per creare un corpo legislativo che determini uno spostamento conservatore del paese, d’altra parte Obama non dovrebbe guardare agli avversari in modo pregiudiziale. Cosa che il presidente ha puntualmente affermato proprio nella conferenza stampa appena conclusasi, la prima dopo le elezioni.
Un Obama, ormai con quasi tutti i capelli bianchi, ha ribadito la sua volontà a collaborare con i repubblicani che ha invitato però a presentare una piattaforma precisa, affermando tuttavia che nei prossimi due anni di mandato, non rinuncerà ad obiettivi di natura sociale come un’ istruzione per il più alto numero di giovani possibile e non abrogherà la riforma sanitaria. E ha insistito proprio su obiettivi concreti come la riforma del sistema di immigrazione che gli sta particolarmente a cuore, come l’ampliamento e il rimodernamento del sistema delle infrastrutture, di quello dell’istruzione e dell’economia con particolare riferimento alle esportazioni.
Per quanto concerne la politica estera Obama ha parlato di una strategia nei confronti dell’Isis, della situazione in Iraq, in Siria, in Iran, del problema dell’energia e delle sue fonti e infine della situazione dell’epidemia di ebola che tanto ha fatto discutere in questa campagna elettorale. E ha criticato la paralisi che il Parlamento ha creato in questi mesi bloccando ogni tipo di riforma venisse proposto, auspicando che tutto ciò cambi nei prossimi due anni. Dunque Obama non si è presentato esattamente come una “lame duck”. Il prossimo Parlamento, a maggioranza repubblicana, dovrebbe dunque cominciare a lavorare su questi problemi con il presidente Obama, raggiungendo risultati tangibili di cui il paese ha un estremo bisogno, piuttosto che stabilire confini rigidi che non portano da nessuna parte.