Visioni contromano
Nuovo cinema anomalo
Il festival di Roma non gode buona stampa. Anzi. Eppure Marco Müller ha fatto di tutto per caratterizzarlo. Puntando su belle retrospettive e opere "diverse" dal solito
Si conclude domani il Festival Internazionale del Film di Roma, trascorso anche quest’anno senza infamia e senza lode. La direzione di Marco Müller, che dei direttori è il decano, ha realizzato un’edizione del tutto dignitosa. Sempre fatte le dovute proporzioni. Questo di Roma è un Festival anomalo, nato male e cresciuto, se il termine è congruo, tra mille difficoltà e perplessità. Molte delle quali sono costate al suddetto Müller l’attenzione dei quotidiani, in particolare del quotidiano principale, ovvero il Corriere della sera. Che nei suoi frugali resoconti, nemmeno quotidiani, ha riservato uno spazio risicatissimo alla manifestazione capitolina. Noi, che quotidianamente lo abbiamo seguito, abbiamo ricevuto le seguenti impressioni.
Innanzitutto che sarebbe ingeneroso confrontarlo con la Mostra di Venezia, e non solo perché essa è santificata dalla stampa in ogni modo e maniera, ma anche perché è distante anni luce dal fascino di quello che resta uno dei Festival più importanti dell’orbe terracqueo. A prescindere. Detto questo parliamo dell’affluenza. Premettendo che a nostra memoria non esiste mai una edizione che fa meno spettatori della precedente, ci è sembrata discreta l’affluenza, in questo favorita anche dal bel tempo. In laguna, da anni, ci sembra che accada il contrario ma, lo ripetiamo, sono due mondi diversi, per numeri e appeal.
I film. Giusto stamattina abbiamo letto un incredibile osanna (speriamo l’unico) per il film di Claudio Noce La foresta di ghiaccio, un pastrocchio che nemmeno con Enigma si potrebbe decifrare. Detto questo, svolazzando leggiadramente tra le sessioni, e tralasciando la magnifica retrospettiva Danze macabre – Il cinema gotico italiano, il Focus Mario Bava e Restauri e riscoperte, qualcosa di buono si è pure visto. Il “Gala” Gone girl di David Fincher, molto distante dall’essere da noi amato ma qui davvero bravo grazie anche alla meravigliosa Rosamund Pike, autrice di una prova che rimarrà negli annali. Oppure Angels of Revolution, del bravo e massiccio russo Aleksej Fedorčenko. Alto come sempre il livello delle opere presentate in Alice nelle città. Un discorso a parte, come sempre, per il cinema italiano. Se si dovessero giudicare le opere dalla loro ambizione dovremmo dare il più alto dei voti al film di Marco Risi Tre tocchi, che invece lascia non poco perplessi. E dovremmo assegnare il voto più basso a Roan Johnson, che con Fin qui tutto bene realizza un filmetto lieve lieve, visto e rivisto, ma consapevole e compiuto. Di certo un passo in avanti rispetto all’opera d’esordio I primi della lista. Sempre di cinema regionale si parla, comunque.
Di cinema circoscritto e circoscrizionale si occupa invece il simpatico Gianni Di Gregorio, regista di Buoni a nulla, una pellicola impalpabile a gradevole. Acqua con un po’ di zucchero. Che dà però un po’ fastidio perché ci ricorda quanto dia fastidio il cinema autoreferenziale. Utilizzare come è stato fatto Ugo Gregoretti e Giovanna Cau significa dimostrare scarsa considerazione per un pubblico che (purtroppo) non si ricorda o non sa chi siano. E significa al tempo stesso ammiccare verso un certo cotè cinematografico (e televisivo) che di certo troverà una figata la loro presenza. Ultima notazione per i documentaristi italiani, in particolare per quelli che tali vogliono sembrare, e invece risultano essere semplici scalettatori di materiale, in particolare di repertorio, senza un’idea creativa che li assista e sostenga.
Un saluto, infine, a Tomas Milian, la presenza più vitale dell’intero Festival. Lunga vita all’unica Monnezza veramente giustificata. Al prossimo anno, credo.