«Acqueforti di Buenos Aires»
Un prussiano a Baires
Del Vecchio pubblica i racconti/ritratto di Roberto Artl l’antesignano della letteratura sudamericana che ha influenzato Borges e Garcia Marquez. Un autore disilluso che trasfigura il mondo
È raro ricorrere all’aggettivo “eccezionale” parlando di uno scrittore. Faccio una doverosa eccezione segnalando la raccolta di racconti dell’argentino Roberto Artl ( 1900-1942), intitolata Acqueforti di Buenos Aires appena pubblicata da Del Vecchio Editore (291 pagine, 15 euro). Più che novelle, sono capitoli di poche pagine di un grande affresco argentino. Louis Borges sosteneva che Artl era il più grande narratore del paese. La sua biografia contiene contraddizioni, talvolta suggerite dallo stesso autore. Figlio di un immigrato prussiano, Karl, nacque nel quartiere di Flores (Buenos Aires) ed ebbe con il padre una relazione molto contrastata, frutto dell’educazione severa e oppressiva impostagli in famiglia. Il conflitto con il padre riemerge in molti dei personaggi della sua opera. All’età di otto anni fu espulso dalla scuola per il suo temperamento turbolento. A sedici anni abbandonò la famiglia vivendo per le strade della sua città natale. Da quel momento Artl studiò da autodidatta mentre faceva ogni sorta di lavoro manuale come il meccanico, l’imbianchino, il portuale, il commesso. Lentamente moltiplicò le sue collaborazioni a giornali locali, diventando poi giornalista e drammaturgo scrivendo romanzi, tempo fa noti al pubblico italiano, come I sette pazzi (Feltrinelli). Stabilizzò la propria esistenza diventando giornalista a tempo pieno.
Oltre ai romanzi, Arlt scrisse anche numerosi racconti brevi, spesso stravaganti, ambientati nella realtà alienata di pazzi o delinquenti che si muovono in cerca di avventure negli spazi caotici della grande città. La sua lucidità irrequietezza intellettuale e il suo rifiuto per lo stile letterario tradizionale, lo misero in cattivi rapporti con il gruppo di scrittori “europeizzanti” . Le Aguafuertes gli diedero notorietà e, in genere, i suoi scritti influenzarono molti compagni di penna, Garcia Marquez incluso. Tre pagine e mezzo vengono intitolate “Finestre illuminate”. È un esempio superbo di quelli che impropriamente sono chiamati racconti. Semmai sono un impasto di osservazioni, fantasticherie, riflessioni, fantasie. Leggiamo: «Non c’è niente di più attraente, nel cubo nero della notte, di quel rettangolo di luce gialla, situato tra prodigiosi camini guerci e le nubi che stanno sopra la città, come spazzate via da un vento malefico».
Se si fa attenzione ad alcune espressioni e sfumature, è facile capire che Artl è l’antesignano della letteratura di marca strettamente sudamericana, con Borges e Marquez (col suo famoso “realismo magico”). E dietro quelle finestre, che sono “cordialità” per poliziotti di quartiere, per vagabondi e anche per invidiosi di interni tutti da immaginare? Dietro quel vagheggiato “nascondiglio” ci possono essere due amici che parlano di tutto, lentamente così come lentamente si preparano il mate: «E il silenzio sale dalla strada dando quasi una profondità e un desiderio alle parole». In quelle stanze ingiallite ci può essere chi soffre di mal di denti, un uomo povero che fa estenuanti conti. Dalla finestra esce una luce che lancia «il suo improvviso chiarore nella notte come un gemito d’angoscia, una richiesta di aiuto». Così conclude Roberto Artl: «Si potrebbe scrivere il più angosciante poema dell’umanità. Inventori, ladruncoli, poeti, moribondi, trionfatori che non riescono a prendere sonno per la gioia. Ogni finestra illuminata nella notte fonda è una storia non ancora scritta».
Artl, come abbiamo detto, è attratto dalla stranezza. Riflette, per esempio, su chi per mestiere ripara le bambole. Chi lo esercita, con tanto di bottega-laboratorio, figura tutto sommato come un conservatore. Scrive Artl: «Chi non ricorda di essere entrato in un salotto, in una di quelle sale delle case dove la miseria inizia dal tinello?…. hanno vestito la bambola con roba di lusso, l’hanno incoronata come una principessa, o come un cagnolino da compagnia, l’hanno sistemata sulla poltrona perché la gente l’ammirasse…». Insomma, molti la vogliono riparare e cercano il rimedio di un “conservatore”. Lo scrittore di Buenos Aires odia questa operazione: «Ecco, io non ammetto che una bambola venga riparata. Non ne vale la pena. Se si rompe si getta via e altrimenti che si esauriscano le sue funzioni di giocattolo fin quando, un giorno, quelli che ci si divertono non la danno ai gatti perché ne gioiscano…però la gente non ci pensa perché esistono laboratori di riparazioni: il sentimentalismo mi sembra un motivo misero, e le officine di riparazione delle bambole vivono di questi sentimenti». Ci sono molte altre cose che infastidiscono lo scrittore e diventano occasione per descrizioni raffinate, e talvolta acide con un sottofondo di resa al mutare dei tempi o di accettazione amara di alcuni cambiamenti (sia tanti che pochi). S’indigna contro quello che chiama “l’uomo di sughero”, quello che non affonda mai. Un malandrino, appartenente a un mondo che pare essere “un poema di imbecillità…facce che sono come la mappa dell’inferno umano”. All’uomo di sughero «non importa quali siano gli eventi torbidi in cui è coinvolto, è il tipo più interessante nella fauna dei piccoli delinquenti». È «profondamente immorale…e nel bene e nel male non è mai stato buono… uno che convinceva la mamma che lui era un santo… uno che galleggia in acque tempestose con la serenità di uno squalo… è sempre così, falso, cortese e terribile». Infine la frecciata più velenosa: «Così si muove avanti e indietro, cambia idea e accordi e poi questo uomo-sughero ha confuso tutti e non c’è cristo che tenga… e chi ci guadagna, l’unico a guadagnarci, anzi, è proprio lui. Tutti gli altri sono fregati». Quanto è attuale questo spietato ritratto!
Affiora, e prepotentemente, negli affreschi di Artl, il tema della nostalgia a proposito dei “ragazzi nati vecchi”, con gli occhi torbidi come quelli di un vecchio lavapiatti… un tempo erano i preferiti dalla maestra… e a cinque anni dimostrano la spaventosa serietà degli anziani… sono tipi ai quali piacciono le donne, esattamente come i maiali vanno matti per i tartufi, e tolti da lì no, non servono a niente». Nostalgia guardando le periferie, con «case che implorano, nella loro bella vecchiaia, di non essere buttate giù». Una volta, dice, le case erano case, dove «la gente viveva un’altra vita, più interessante… intendo con questo che si era meno egoisti, meno cinici, meno implacabili. Giusto o sbagliato, si aveva della vita e dei suoi sdoppiamenti, una visione più illusoria, più romantica. Si credeva nell’amore… tutto, allora, aveva un sapore più agreste, più nobile, più innocente». E malinconicamente Roberto Artl conclude: «Ci resta l’orgoglio di aver fatto progressi, questo sì, ma la felicità non esiste. Se l’è portata via il diavolo».