ll Nobel per la Letteratura
Patrick Modiano o della memoria
«Per l’arte con la quale ha evocato i destini umani più inesplicabili e scoperto il mondo della vita nel tempo dell’occupazione». Così si legge nella motivazione del premio assegnato allo scrittore francese, autore di “Dora Bruder” e di tanti altri romanzi segnati dai fantasmi della guerra e dalla brutalità nazista. A partire dalla controversa figura del padre, internato nel campo di Drancy...
Dopo la canadese Alice Munroe, eccelsa maestra del racconto, quest’anno l’Accademia della Svezia assegna il Premio Nobel per la Letteratura a Patrick Modiano. Mi permetto un piccolo inciso: con la Munroe è in un certo senso crollato l’idiota stereotipo che determina attorno ai racconti una terribile diffidenza da parte della stampa e dell’editoria italiana, malgrado esempi come Cortazar, Marquez, Calvino, Artl e tanti altri. I quotidiani sono attenti ai racconti a patto che siano stranieri. Questo è un fatto, facilmente riscontrabile. Provate, voi autori italiani ad andare a proporre una raccolta di racconti a un editor italiano. No, no, e poi no, vi diranno: non si vendono, a meno di essere un narratore consacrato dalla critica.
Ma torniamo a Modiano. Molti, tra i nostri connazionali, saranno sorpresi. Almeno oltre il 65 per cento di essi, che sfogliano un solo libro l’anno. «Carneade, chi era costui?»: potrebbero dire quelli che hanno orecchiato da ragazzi Alessandro Manzoni. Oppure, compulsando frettolosamente Google, magari pensano si tratti di “Patrizio Modiano”: si provi a verificare in Rete, a pervicace conferma delle origini italiane del vincitore. S’incappa anche in un altro errore, circa l’origine del padre dello scrittore: di origine armena. Sarà poi vero? L’interrogativo ha motivo di esistere in chi coltiva il dubbio. In ogni caso il suo nome ha spazzato via le indiscrezioni secondo cui in pole-position – o addirittura già con l’aureola svedese in testa – avrebbe dovuto essere una certa Svetlana (confesso: non ricordo il cognome) della Bielorussa. In ogni caso sono stati esclusi alcuni nomi in odore di vittoria. L’americano Philip Roth, eterno candidato. Niente da fare, anche se sarebbe stato giusto. Forse si è imposta la considerazione (per me sballata) per cui il creatore di tanti romanzi di successo (tutti pubblicati da Einaudi) ha annunciato di smettere di scrivere. È un gran falso, a Roth che giura di non scrivere più non crediamo, visto che l’autore de La pastorale americana, Everyman, L’animale morente e tanti altri libri di pregevole fattura e con un appeal letterario che gli ha consentito di esportare la sua fama oltre l’Atlantico e il Pacifico lo sta continuando a fare mettendo su carta, assieme a un collaboratore, la sua autobiografia. Se non è scrivere questo…
E ora veniamo alle notizie vere. Patrick Mondiano (con la dovuta accento sulla “o” finale, essendo cittadino di Francia) è nato nel 1945 nella affollata banlieu parigina. Era il periodo dell’occupazione nazista, cui si oppose ideologicamente negli scritti che vennero dopo. Questa avversione contro i regimi totalitari crediamo sia stata una delle ragioni forti che hanno pesato sulla scelta dei professori di Svezia. Nei suoi libri, non a caso, c’è una gran folla di fantasmi di guerra. Gli ottusi e brutali seguaci di Hitler sono entrati nella sua creazione letteraria. Basti pensare a romanzi come La piazza dell’Etoile (romanzo d’esordio, edito da Gallimard, che ebbe poi il Premio Roger Nimier), Dora Bruder (caposaldo o bussola della sua intera produzione, edito da Guanda), Il caffè della giovinezza perduta. Le sue opere sono state tradotte e pubblicate in maggioranza da Einaudi ma anche da Lantana Editore. A parte la memoria dell’opprimente nazismo, in Modiano troviamo esuli e stranieri, personaggi emarginati e confusi, in genere figure alla tormentata ricerca della propria identità. E il ricordo del padre Albert, figura assai controversa, ebreo arrestato dalla Gestapo nel 1943 e internato nel campo di Drancy. Albert riuscì a sfuggire alla deportazione in Germania grazie ad amici collaborazionisti (ecco la “controversia”). Venne liberato da un appartenente della “rue Lauriston”, sede della Milizia. Non a caso nella motivazione per il conferimento del Nobel leggiamo: «Per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inesplicabili e scoperto il mondo della vita nel tempo dell’occupazione».
Modiano studiò in Alta Savoia, poi in un liceo di Parigi dove ebbe come insegnante di geometria Raymond Queneau. Terminò prematuramente gli studi ad Annecy. Non solo scrittore, ma anche autore al servizio del produttore Carlo Ponti e paroliere per Françoise Hardy (famosa la collezione Comment te dire adieu). E ancora: drammaturgo, sceneggiatore (per Louis Malle in Cognome e nome Lacombee Lucien (1989, candidato all’Oscar come miglior film straniero) e per Patrice Leconte con Le parfume d’Yvonne (tratto da un suo romanzo uscito in Italia nel ‘75 col titolo Villa Triste – altra testimonianza degli anni bellici, i più furiosi e disgustosi). Per i ragazzi scrisse Catherine Certitude (’88). Si è dedicato pure al giornalismo come inviato di Vogue.
Molti ricorderanno senza dubbio il bellissimo Dora Bruder (Guanda). Lo spunto gli venne leggendo un annuncio comparso nel 1941 su Paris-Soir: “Si cercano notizie di una ragazza di 15 anni, il suo nome è Dora Bruder. A denunciarne la scomparsa i genitori, emigrati In Francia…”. Quasi 50 anni dopo Modiano, che nulla sapeva di Dora, cercò di ricostruirne la vita, di ipotizzare i motivi della sua scomparsa. Cercò i luoghi frequentati dalla giovane, cercò nelle testimonianze di milioni di vittime del nazismo e dei sopravvissuti. In realtà Dora venne deportata ad Auschwitz assieme al padre. Fu liberata e successivamente ricomparve, mantenendo il segreto di quella orribile esperienza dietro il filo spinato. Modiano ipotizza una fuga dalla folla per ragioni sentimentali. Uno scatto di libertà, come disse lo scrittore. Del neo-Premio Nobel, il critico Franco Cordelli, parlando proprio della misteriosa Dora e dell’intera produzione del francese, ha scritto: «Credo alle coincidenze e talvolta a un dono di veggenza dei romanzieri… e la parola non è il termine giusto, dal momento che suggerisce una sorta di superiorità. No, si tratta di qualcosa che fa parte del mestiere: gli sforzi di immaginazione, il bisogno di fissare la mente su piccoli particolari».
La cosa più strana che è capitata a Modiano è stata l’essere considerato, almeno ai suoi esordi, come scrittore reazionario. Cordelli scrive anche, a proposito di Dora Bruder: «È uno dei romanzi più strazianti e casti (meno romanzeschi) che siano stati scritti sulla storia dell’Europa». Qualcuno certamente ricorderà una frase presa in prestito dagli scritti di Guy Debord: «Nel mezzo del cammino della vera vita, eravamo circondati da una malinconia oscura, che tante parole tristi e beffarde hanno espresso, nei caffè della gioventù perduta».