Tra narrativa e riflessione sociale
Il corpo del nulla
“Dieci giorni” di Maura Chiulli è un romanzo sorprendente e coinvolgente sul dominio dei corpi sulle idee, dell'apparenza sulla sostanza. Insomma: un romanzo sull'Italia di oggi
Dieci giorni di Maura Chiulli (Hacca edizioni, pp. 193, 14 euro) è un romanzo in cui i corpi sono protagonisti. Tre storie s’intrecciano in un inferno esistenziale con al centro i corpi di Luciano, detto Lulù, e di Silvia, in una cinica e crudele amicizia-inimicizia tra outsider. L’uno bramoso di divenire un corpo di donna, l’altra, al contrario, desiderosa di esser uomo, in cerca di un amore che nega a se stessa. Poi i corpi di Sergio e Antonietta, padre e madre di Luciano, incastonati nella disperazione di un amore inesistente. Uno in cerca di un’illusione di giovinezza, l’altra lasciatasi esistere, imbruttire e sformare dal peso di una vita che pare esserle piovuta addosso con la veemenza inconsapevole della non scelta. I corpi di Gina e Tommaso, l’una mistress, l’altro docente universitario, quarantenne, cinico e rancoroso, abbandonati a un storia più potente di loro e destinata a soverchiarli. Tutti irretiti nella stessa irreparabile tragedia che si compie in dieci giorni.
La potenza della scrittura di questa giovane autrice fa pensare a tratti al Selby Hubert jr. di Ultima fermata a Brooklyn, per il modo secco e duro in cui sono descritte le azioni, specialmente nei primi capitoli, ma ancor di più al grande Michel Houellebecq de Le particelle elementari, per stile e argomentazioni. Momenti di brutale iperrealismo sono intervallati da intense digressioni sociologiche e politiche sulla miseria dell’Italia contemporanea. «Perché tenere vent’anni un uomo come Berlusconi nel quadro politico di un paese, se non per disprezzarlo? Quanto conviene mantenere vivo un uomo di plastica, un pluricondannato, serbatoio di stronzate colossali? Confrontarsi con l’autorità non è piacevole, soprattutto quando si è fatto della propria esistenza un gigantesco e logorante complesso edipico».
Una sapiente miscela di turpiloquio e semantica saggistica altissima e lucidamente nichilista ci consegnano un romanzo che ha il respiro di un grande classico del Novecento. Non ci sono giustificazioni, moralismi, sconti, né riscatti. Maura Chiulli, con una lingua metallica e cruda, ci fa entrare a pieno nel buco nero, non solo economico ma soprattutto emozionale, in cui l’Italia è piombata negli ultimi anni. Il disincanto, i rapporti di potere e la violenza oscena assurta a regola, guidano i passi di personaggi sull’orlo di una crisi di nervi. Il vuoto di senso e il disprezzo, unito a un desiderio osceno e insoddisfabile, sono il modus vivendi di questi apparentemente comuni esseri umani, ognuno attaccato alla propria normalità, ma in realtà ciascuno prossimo al collasso psichico e al misfatto. Le relazioni distorte e antinomiche sfiorano, con il tocco di una lama di rasoio, la propria intrinseca deriva. Quel che resta appare un orizzonte intrapsichico smembrato e più simile che mai ai grandi incubi paventati dalla letteratura del Novecento.
La possibilità di amare è completamente annientata e la decadenza sembra essere assurta a livello antropologico. Ciascuno, abbandonato al proprio lucido delirio, tutti destinati al fallimento e all’infamia. Un mondo di insanabili ferite, irrisolti nuclei edipici, vulnerabili narcisi incapaci di accogliere l’altro da sé. Un mondo dove la speranza in una vita migliore non è altro che l’ultima delle agonie. L’esistente vissuto come pericolo da abbattere, la coscienza come pura disgregazione. Il grande pregio di questo libro è il mostrarci la follia della normalità, la mostruosità del quotidiano, il nocciolo marcio di personaggi non psicotici, non tossici, non completamente outsider, ma apparentemente inseriti in un sociale sgretolato e vuoto, e dunque a loro volta intrinsecamente mostruosi, nonostante la scorza di pseudo-integrazione. Un mondo in cui il termine normalità è completamente svuotato di senso e gli specchi non rimandano più alcun riflesso.
«Le relazioni, la famiglia, i rapporti, l’amore, la politica, sono solo tentativi pietosi di occultare le condizioni reali di un mondo che esclude, condanna, uccide. Giustificare l’esistente, dissimulare le contraddizioni, mascherare le sofferenze, è un infantile stratagemma che architettiamo per sopravvivere, per fingerci un mondo in cui credere».