Racconti del peccato/24
Lussuria
Il tipo s’adombrò. Gli occhi lampeggiarono. Poi, seccamente, aggiunse: «Sono mastro dipintore e cavaliere del santissimo ordine di San Giovanni di Gerusalemme, ch’ora governa l’isola di Malta. Realizzo tele per chiese e nobili signori
Non erano le tre, quando due viaggiatori con un servo si presentarono alla Locanda dei Paladini di Francia. Donna Teodora li squadrò sospettosa, come sempre coi forestieri: il più anziano era sopra i quaranta, occhi lampeggianti e neri; piglio da padrone, statura media e una barba scura, irsuta e riccia. Capelli lunghi, raccolti in una reticella, che gli davano un che di strano. Stivali da città e un cappellaccio dalle tese smisurate.
«Alla napoletana», pensò la donna.
Appena dentro, l’uomo si levò il mantello: sopra i pantaloni, un giaccone di fustagno granata, stretto alla vita da una cintura con fibbia dorata. Al fianco, un pugnale corto, da masnadiero più che da messere.
L’altro, alto più del primo, d’aspetto lezioso e delicato. Biondo, la barba rada, insieme ai dolci lineamenti e gentili con un che di femminile. Era vestito quasi come il primo, ma indossava un corpetto di lana con le cifre F.B. ricamate in oro. Posò in terra un sacco gonfio dal quale emergevano alcune assi di legno.
«Spatole e pennelli, un imbianchino» si disse Teodora. «Impossibile, però», concluse.
Apparve il domestico, carico come un mulo: sulle spalle una specie di baule e alle mani cartelle di cuoio larghe e spesse.
«Una camera per noi e un posto letto per Porcio», ordinò il più alto indicando il servo. «E un bagno caldo.»
«Soldi ci vogliono. Venti tornesi per voi, cinque per il servo e cinque per i bagni.» Aspettò qualche minuto e notò che il più basso squadrava le ragazze che andavano e venivano dalla cucina. «Pagamento anticipato. E, se vi garba, c’è chi vi può scaldare letto e cuore.»
«Sbrigati, Francesco», ordinò il primo. «Mi sento stanco e non vedo l’ora di lavarmi e riposare.»
«Sono gentilomo. Il mio nome è Francesco Boneri», riprese il secondo. «Eccovi un ducato. Vogliamo un bel bagno bollente. Più tardi pranzeremo.»
Teodora, rabbonita dal danaro -più di quant’aveva chiesto-, intascò e replicò: «Un ducato per ora basta. Avrete stanza e letti principeschi. Del pranzo e degli altri servizi faremo conto poi.»
Intanto, seduto vicino alla finestra, un vecchio moro prese a suonare un chitarrone.
«Chi è?», fece l’anziano.
«Il nostro musico. Un castrato saraceno comprato a caro prezzo. È bravo, suona ud, tiorba e chitarrone.»
«Mi piace», fu il commento.
Guidati dalla donna, gli ospiti si diressero alla loro camera: c’era un’unica grande, finestra a mezzogiorno, capace, quindi, di catturare ogni raggio del sole invernale che s’affacciasse sul Seno Pelagio.
In breve, le sguattere Scilla e Maddalena portarono un mastello di legno contenente una vasca di rame. Poi, mano a mano che l’acqua sul fuoco diventava bollente, tornarono con i secchi occorrenti per il bagno: tre viaggi bastarono.
Senza pudore, il più anziano si spogliò ed entrò sospirando di piacere. Dalla vasca guardò le ragazze, come se volesse soppesarle immaginando i particolari: i fianchi e l’attaccatura delle cosce; le ascelle e il pelo che le ornava; l’inguine e la pelle chiara o scura. Dopo l’ispezione, si interessò solo a Maddalena e non le tolse gli occhi di dosso, finché lei, arrossata per la fatica sostenuta nel trasporto di mastello, vasca e secchi d’acqua, non rispose allo sguardo.
‘È perfetta. Potrei metterla su tela. Il mio primo nudo. Come la Venere di Vecellio’, pensò prima di chiederle: «Come ti chiami?»
«Maddalena, messere» e gli lanciò un’occhiata, notando una lunga cicatrice sulla parte destra del costato. Poi, fissandolo, passò la lingua sulle labbra. Lo voleva proprio, quell’uomo sconosciuto. Un comandante, di sicuro.
Dalla vasca, il superiore chiamò con un cenno l’altro e, quando gli fu vicino, ordinò: «Combina per queste due. Ci terranno compagnia ora e dopo, per la notte. Fai presto: l’acqua si sta raffreddando.»
Francesco si mosse per uscire: era sulla porta, quando don Michele lo fermò: «Fai venire il moro che ci rallegri la festa con la musica d’Oriente.»
«Sì, maestro», rispose l’uomo, mettendosi in moto.
Rimasto solo, il primo si volse a Maddalena e a Scilla, il suo tono era più suadente: «Avvicinatevi e spogliatevi: debbo vedere bene se fate al caso mio.»
«Quale caso, maestro?» domandò Scilla, la più sfacciata.
«Se mi piacerete come vi fece il vostro Dio, mi sarete modelle. Maddalena, se vorrò, sarà Venere e rimarrà nella storia», rispose l’uomo.
«Modelle per che cosa?»
Il tipo s’adombrò. Troncò il discorso. Gli occhi lampeggiarono. Poi, seccamente, aggiunse: «Sono mastro dipintore e cavaliere del santissimo ordine di San Giovanni di Gerusalemme, ch’ora governa l’isola di Malta. Realizzo tele per chiese e nobili signori. Se mi aggraderete, vi pingerò al modo mio, naturale. Ora portate altra acqua bollente, prima di spogliarvi e di mostrarvi come il nostro Dio vi volle.»
Le giovani corsero in cucina.
C’era Teodora con la faccia allegra: «Fate ciò che vi ordinano. Sino a domani mattina sarete loro. E li servirete anche alla tavola.»
Caricarono altra acqua bollente e tornarono dal cavaliere.
Sopraggiunse Francesco che annunciò di avere concluso l’accordo.
Dietro di lui, il castrato Moreno sorridente, per nulla imbarazzato: ne aveva viste tante nella sua lunga vita e, poi, gli piacevano orge e ammucchiate di cristiani e saraceni.
Infastidito dall’attesa, Michele le avvisò: «Spogliatevi prima che cambi idea …»
Le fanciulle non se lo fecero ripetere: in poco furono completamente nude e ristettero là vicino al mastello con una mano sull’inguine e l’altra sopra il seno.
Intanto il musico s’era seduto e aveva accordato il chitarrone.
Il capo, distratto dalle note, gli domandò: «Fosti a Roma? Suonasti là?»
«Certo, padrone. Fui famiglio del cardinale Acquaviva ed ebbi l’onore di suonare con Galilei.»
«E a casa Del Monte, suonasti?»
«Sissignore. Facevamo musica in quattro o cinque anche a casa dal cardinal Del Monte. Siete di Roma, voi, messeri?»
«Là ti vidi. Ora sei grasso come un porco e irriconoscibile.»
«Vi riconobbi anch’io mastro Michele …»
«Basta. Taci.»
Francesco intervenne: «Turco miscredente, che ci canti?»
Compiaciuto dall’interesse suscitato e giudicando gli ospiti persone raffinate, rispose: «Suonerò e canterò una ‘Gagliarda’ e, poi, una ‘Ciaccona in parti variate’, due delizie, sentirete.»
Michele -ormai s’era saputo il nome-, perentorio ordinò: «Comincia» e si volse alle fanciulle: «Giratevi» in modo da vederle bene anche dietro, natiche cosce e caviglie.
Sembrò soddisfatto, perché ordinò a Maddalena: «Entra.»
Lei non capì e stava per domandare «Dove?», quando fu afferrata per un braccio e tirata verso la vasca. Saltò sulla pedana del mastello e in un secondo fu dentro, felice di godere un bagno caldo, lei che doveva sempre lavarsi con la gelida acqua del fiume Letto.
Intanto Moreno suonava un musica forte, amorosa, la Gagliarda di cui aveva detto prima.
In quel momento, toccò a Scilla di infilarsi nella vasca nella vasca e gridare di gioia.
Osservandoli, Boneri sorrise beffardo.
«Non vieni, Francesco?», gli chiese, invitante, il maestro.
Senza farsi ripetere la domanda, l’uomo si spogliò e si immerse nell’acqua che andava intiepidendosi.
Il capo, stretti i fianchi di Maddalena, la tirò a sé sino a farla salire su di lui a cavalcioni. La prese così, in acqua.
Francesco e Scilla fecero altrettanto. Risero tutti e quattro a bocca piena, gorgogliando di piacere.
Poi il più giovane ammiccò a Maddalena e le chiese: «Michele è bravo come un angelo. Vero?»
L’anziano sorrise e chiese a sua volta: «Sì, sono un angelo Michele! Un Michele angelo! Allora? Maddalena com’è che io ti prendo? Come un angelo come dice Francesco?»
«Con un angelo che ha la minchia di uno scecco!» Esclamò allegra la fanciulla.
«E quanto ti piace il padrone con la minchia da somaro?», domandò di nuovo Francesco, insinuante.
Ma la fanciulla, sarà stato l’amore in acqua e in quella posizione ch’era la prima volta che lo faceva, sarà stato il fascino di quello straniero tenebroso eppur bello, ebbe un languore grande come mai l’aveva avuto, che le impedì di rispondere, mentre si stringeva a lui, il capo poggiato, tra i sussulti, sulla sua spalla.
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Domenico Cacopardo, piemontese di nascita e siciliano d’azione è un magistrato, scrittore e conduttore radiofonico.