Paolo Petroni
Da Umberto Galimberti a Zygmunt Bauman

Filosofia rock

Duecentomila persone per 51 lezioni magistrali, cercando un senso alla vita. Ecco il bilancio del festival di filosofia di Modena. Dedicato alla “gloria”; che non è uguale al successo...

Il tema del Festival Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo del prossimo anno (11-13 settembre 2015) sarà “Ereditare”. Il comitato scientifico della manifestazione, composto da Marc Augé, Tullio Gregory e Remo Bodei presidente, assieme al direttore scientifico Michelina Borsari, in chiusura del Festival di quest’anno, ha spiegato come, con questa scelta, si voglia ancora una volta raccogliere la sfida del presente, perché l’intenzione è sempre di farlo capire meglio e criticamente. Per la Borsari ereditare «è un tema che ci pare in sofferenza, quindi da affrontare», visto, come ha sottolineato Gregory, che «la storia della civiltà è un continuo ereditare, la cultura è eredità, e quindi entriamo nel cuore della storia della civiltà». Bodei fa notare che il problema nasce dalle attuali fratture generazionali e da crisi che non permettono passaggi fluidi, tra persone, ma anche tra culture diverse. Si tratta allora di capire e discutere cosa e come vada tramandato, sapendo che l’erede (e anche da qui l’uso del verbo) non deve essere passivo, ma farsi parte attiva per far sua davvero l’eredità, come ha ricordato venerdì nella sua lezione sulla Gloria dei padri Massimo Recalcati.

Il tema di quest’anno era appunto la “Gloria” ed ha attirato 200 mila persone, per 51 lezioni magistrali e 190 appuntamenti complessivi nelle tre cittadine, talvolta attente e silenti, come per seguire gli impegnativi concetti di Emanuele Severino, altra capaci di tifo da concerto rock, come nel caso della lezione magistrale di Umberto Galimberti. Come sempre, parlando di gloria, di fama e celebrità, si è scoperto appunto che la maggioranza dei filosofi, sociologi e studiosi alla fine hanno parlato del presente e il tema è diventato la fragilità: la fragilità dell’uomo d’oggi, con la sua solitudine e i suoi legami fluidi e pronti a cedere per un nonnulla, con un desiderio di appartenere a una comunità, di cui si è perduto il senso, appartenendo al massimo alle comunità virtuali dei social network, come ha fatto notare con le sue puntuali analisi Zygmunt Bauman.

Festival Filosofia modenaNaturalmente se si parla di Gloria e di filosofia, una parte importante l’hanno gli antichi, a cominciare dai greci, cui hanno fatto riferimento moltissimi, da Remo Bodei a Jean-Luc Nancy, ma man mano che ci si avvicina ai nostri giorni ecco che il tema si trasforma in quello della celebrità e della visibilità, molto più effimero e privo di contenuti, finendo di giocare solo sull’identificazione e il senso di appartenenza a un gruppo vasto, che ama quel personaggio e, se si è in tanti, vuol dire che una ragione c’è, che si ha ragione. Ecco perché c’è chi dice che le celebrità oggi sono necessarie alla gente, celebrità ormai del tempo libero e non più dell’arte e del lavoro. Sono i mezzi di comunicazione visivi, dalla fotografia al cinema e la tv, che hanno aiutato questo passaggio dall’autore celebre (pittore, musicista, scrittore) all’interprete celebre, attore innanzitutto, personaggio televisivo, e così via, come ha spiegato Nathalie Heinich, notando come solo l’esposizione, l’apparizione di per sé serva a costruire riconoscimento e quindi notorietà.

Ecco Milad Doueihi che affronta il tema liquido della reputazione Web e Michela Marzano che parla del protagonismo, senza radici e effimero, dei nostri temnpi, visto che si basa appunto sull’insicurezza, l’insicurezza di chi non si sente riconosciuto. «Il desiderio di gloria, di apparire deriva da un senso totale di insicurezza circa il proprio valore, dalla mancanza di fiducia nei propri mezzi», anche perché una società costruita sull’egotismo e l’egoismo porta all’assenza di interesse per l’altro, di cui pure, quasi a prescindere, si cerca il consenso.

E se Ellis Cashmore si è soffermato sul valore e senso della celebrità in genere, partendo dai campioni dello sport e calciatori come Becham, ricordandoci che per i fans la celebrità è comunque sempre virtuale, è una costruzione del loro immaginario che parte da alcuni fatti, ma ha poco a che vedere con le persone reali, Marc Augè ha invece parlato delle glorie letterarie e della loro costruzione da parte degli artisti, facendo in particolare l’esempio di Victor Hugo, per arrivare a concludere che oggi quel che conta è l’immagine del momento, l’effimero: «Lo spazio è tenuto a distanza o perfino negato; il tempo è andato in corto circuito; la gloria impossibile o impensabile. Vi è spazio solo per il martirio anonimo, imbecille e assassino dei fanatici religiosi (morte senz’opera che è snaturamento della gloria) o per il sorriso lieto e provvisorio del campione di un gioco televisivo (gloria senz’opera né morte che si trasforma in celebrità contingente)», conclude Augé, ricordandoci che «la gloria non significa nulla per colui che la raggiunge, in quanto è morto. Ma ha valore per coloro che lo celebrano, che trovano in lui un esempio, una ragione di vita, un modello».

Zygmunt baumanTra tanto parlare di visibilità e gloria, alla fine, anzi in apertura, è arrivato anche Gernot Bohme a far notare, in questo Festival, che a cercar visibilità oggi sono anche i filosofi, che anzi ne hanno bisogno e se prima l’unico strumento che avevano erano i libri, oggi sono più importanti dei testi, radio, tv e media varii. Lo stesso Bohme, che dice di non amare mettersi in scena, accetta però interviste, confronti pubblici e, «soprattutto – dice – mi occupo di come pubblicare i miei scritti, con editori che abbiano un buon marketing e riescano a far uscire recensioni anche sui giornali normali, quelli che legge il pubblico dei non specialisti: la visibilità è diventata un problema importante per un filosofo contemporaneo». E Bauman (nella foto sopra) parla di chi ormai lo riconosce per strada, ma fa confusione tra notorietà e senso, perché in genere, sottolinea «è gente che non sa bene chi sono e non ha mai letto un mio libro». Ma il pericolo – dice Bohme – riguarda anche i filosofi stessi, ed è quello che apparenze e propria vera personalità e idee finiscano per non coincidere più, con una grave perdita di quell’autenticità di cui la filosofia ha sempre bisogno. Del resto, lo si sente standovi in mezzo, è proprio ciò che cerca la gente che assiste alle 51 lezioni magistrali, che hanno avuto duemila presenze ognuna di media, come circa tremila persone hanno ascoltato in Piazza grande a Modena, per la chiusura del Festival sotto la meravigliosa cattedrale, le Variazioni Goldberg di Bach eseguite da un sapiente virtuoso del piano come Ramin Baharami, il quale ha ringraziato calorosamente tutti, entusiasta di questa esperienza e dell’attenzione che ha avvertito.

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