Racconti del peccato/7
È peccato
Con finta casualità iniziammo a parlare della situazione reale... Le chiesi qual era la sua richiesta economica. Rispose con molta naturalezza che dipendeva dalle mie aspettative e dai miei desideri
Andare con le prostitute è peccato. Don Giuseppe fu molto chiaro quando mi fece questa solenne rivelazione, con lo sguardo severo di chi deve convincerti di essere depositario della verità per investitura divina. Eravamo all’oratorio, dopo la riunione dell’azione cattolica, e gli avevo appena confessato di aver perso la mia verginità, la sera prima, con Adriana, un puttanone pugliese all’apparenza cinquantenne, trapiantata a Pescara da una vita. Lavorava in casa con tanto di sala d’attesa munita di TV a colori, riviste, e una vecchia baldracca di assistente addetta a smistare il traffico e regolare il corrispettivo con i clienti.
Avevo appena diciassette anni.
Da allora iniziai a peccare spesso e volentieri, soprattutto negli anni del mio matrimonio, durante i quali non riuscii mai a raggiungere una soddisfacente intesa sessuale con quella che oramai è la mia ex moglie.
La mia ultima esperienza con il sesso mercenario di un certo livello risale a qualche anno fa, quando, dovendomi recare per lavoro a Milano, contattai per tempo una tale Virginia, rossa quarantenne dalle forme morbide e la carnagione chiara. Trovai le sue foto, con scheda e numero di cellulare, su un sito svizzero molto difficile da individuare senza le indicazioni giuste (lo ottenni da un collega anziano esperto di prostituzione su internet).
Virginia si presentò intorno alle 22 nella mia camera d’albergo in pieno centro. La trovai molto bella, con il viso e il corpo cosparsi di minuscole efelidi e lunghi capelli di uno splendido rosso naturale raccolti in una acconciatura alta molto seducente. L’abbigliamento era accettabile, benché non griffato. Tutto sommato dimostrava un certo stile, non fosse stato per le orrende calze a rete che sbilanciavano un po’ il tutto verso una volgarità eccessiva. Forse, pensai osservandola compiaciuto dalla mia ironia, quando per lavoro si fa la puttana si è obbligate a rispettare almeno uno stereotipo della categoria per paura di non deludere il cliente…
Le offrii da bere apprezzando la sua cordialità che la rendeva addirittura simpatica. Parlammo del più e del meno per alcuni minuti sorseggiando la coca cola del frigo bar, commentando il tempo e ridendo della eccessiva formalità dell’addetto alla reception che mi aveva telefonato per chiedere conferma prima di farla salire.
Con finta casualità iniziammo a parlare della situazione reale… Le chiesi qual era la sua richiesta economica. Rispose con molta naturalezza che dipendeva dalle mie aspettative e dai miei desideri.
«Una notte», le dissi. «Fermati qui tutta la notte. Quando non mi andrà più di fare sesso dormiremo e domattina potrai andartene all’ora che preferisci. Se vuoi facciamo colazione insieme».
«Beh sai», rispose lei assumendo improvvisamente un’aria molto più grave e professionale «Per una notte intera chiedo almeno mille euro… ».
«Non c’è problema», dissi subito. Una delle poche regole certe nelle trattative con le prostitute è quella di non mostrarsi mai avari nell’accettare le condizioni economiche richieste. Soprattutto se si pretende di essere trattati con particolare attenzione. L’accettazione del prezzo senza discussioni fa intravedere alla puttana la possibilità di eventuali compensi extra, o di futuri successivi guadagni, predisponendola ad un atteggiamento positivo. Ovviamente occorre anche mantenere una certa padronanza della situazione e evitare di mostrarsi disposti all’esborso economico illimitato. Sono sconsigliabili, ad esempio, le promesse di regali “extra” immediatamente successive all’accordo raggiunto. In questo caso, la deformazione professionale della prostituta, animata da una mentalità rigorosamente commerciale, tende a identificare il cliente come il classico limone da spremere e ciò comporta una perdita di concentrazione e di impegno nell’assolvimento dei propri compiti.
Ci alzammo e mi avvicinai per baciarla. Accettò il baciò ma si discostò quasi subito dicendomi «Aspetta… vado un attimo in bagno a rinfrescarmi e torno».
Rimasi in piedi accanto alla finestra a osservare un deprimente assembramento di tetti milanesi pregustando ciò che sarebbe accaduto di lì a poco e cercando di fissare una scaletta delle prestazioni che avrei imposto a questa Virginia. Aveva un fisico davvero notevole. Gambe lunghe e snelle, seno prorompente ma, almeno all’apparenza, non ritoccato dal chirurgo estetico… e quella naturale morbidezza nelle forme tipica delle donne che hanno superato la quarantina ma si mantengono toniche con attività sportiva, alimentazione sana e cure estetiche naturali.
Rimasi vestito e dovetti attendere non meno di dieci minuti prima di vederla uscire dal bagno. Era completamente nuda, fatta esclusione per le scarpe con il tacco altissimo e un asciugamano che teneva avvolto intorno all’inguine. L’immagine era allo stesso tempo buffa ed eccitante ma sul momento mi provocò un moto di rabbia per il fatto che avrei desiderato spogliarla io. Magari strappandole qualche vestito per poi ripagarglielo con una aggiunta al compenso pattuito. Notai subito qualcosa di strano nel suo atteggiamento, a partire dall’asciugamano, e la interrogai con lo sguardo. Aveva assunto un’espressione davvero ridicola, da ragazzina colta in fragrante a sbirciare nel buco della serratura.
«C’è un problema», esordì «Sono mortificatissima, non so come dirtelo».
Non riuscivo a capire di cosa parlasse. Glielo chiesi.
«Ecco, io…ripeto non so come dirtelo. Ti giuro non avrei mai pensato… Ma purtroppo… Con due giorni di anticipo, capisci. Il solito problema di noi donne».
A quel punto capii. Mestruazioni. Ma non capii solo questo… tutto un universo di consapevolezza mi si spalancò davanti agli occhi e dentro di me provai quasi gratitudine per quella donna.
Fu una sensazione strana, mi trovai indeciso sul da farsi. Non sapevo se scoppiare a ridere, consolarla, incazzarmi e sbatterla fuori dalla porta tirandole dietro i suoi vestiti. Lei intanto continuava a parlare. «Ti giuro non immaginavo… però ormai sono qui, voglio farmi perdonare in qualche modo… dimmi cosa ti piace, cosa preferisci e te lo farò… sono bravissima con la bocca, davvero.. Dai, vieni, ti prego. Vieni qui stenditi sul letto e fammi fare. Oddio come mi dispiace… sei così un bel ragazzo… Che rabbia. Credimi sono furiosa. Accidenti a noi donne e ai nostri problemi».
Ovviamente la troia sapeva benissimo di avere il ciclo, prima di raggiungermi in camera, ma aveva ritenuto, spogliandosi, di convincermi a farmi fare almeno un pompino per poterne ricavare qualcosa. Ecco perché era uscita dal bagno nuda. Ma sì, decisi…. Mi feci spogliare senza opporre resistenza e la osservai mentre si applicava con encomiabile impegno in una fellatio da antologia quasi animata da un fuoco sacro, con tanto di gran finale come da copione.
Aspettai che portasse a termine il suo lavoro che, a causa del crollo verticale della mia libido, si era trasformato in una operazione assolutamente meccanica. Quando ebbe finito mi alzai, ignorando completamente il suo squallido tentativo di effusioni, e afferrai il portafoglio nella tasca della mia giacca. Ne estrassi due banconote da cento euro che poggiai sul tavolino accanto alla sua borsetta, poi recuperai i suoi vestiti, li sistemai con cura sul letto e mi recai in bagno chiudendo la porta a chiave.
«Possibilmente esci prima che io abbia finito», le urlai da dentro.
Nel frattempo lei continuava a parlare, scusandosi, ringraziandomi e scongiurandomi di darle presto una nuova possibilità nel corso della quale mi avrebbe trattato benissimo ripagandomi della delusione.
«Macché delusione», pensai a voce alta (ma non abbastanza alta da far sì che lei sentisse). «Se fossi una persona onesta dovrei darteli tutti quei mille euro. Te li sei guadagnati alla grande…».
Fu la mia ultima esperienza con una escort di lusso. A quel tempo pensai che sarebbe stata l’ultima in assoluto con una prostituta visto che, lasciatomi il matrimonio alle spalle, non avevo più problemi a procurarmi storie di sesso con quel moderato impegno, fatto di corteggiamenti e inviti a cena, che ancora ritenevo accettabile.
Fino a che non mi resi conto che non era una reale necessità fisiologica a spingermi verso le prostitute.
Oggi mi accontento anche di quelle di strada, le straniere da cinquanta euro a botta, al riparo dei finestrini appannati della mia auto, nei parcheggi senza illuminazione. Uno squallore meccanico al quale mi sottopongo solo per provare la sensazione di poter ancora trasgredire a un comandamento. E ripenso a Don Giuseppe che tanto ha contribuito alla mia crescita e alla mia formazione come individuo, regalandomi una delle poche verità inconfutabili sulle quali poggia, e poggerà fino alla fine, la mia sciagurata esistenza: andare con le prostitute è peccato.
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Romano De Marco è abruzzese, classe 1965. Ha esordito nel 2009 nel Giallo Mondadori con Ferro e fuoco (ripubblicato in libreria nel 2012 da Pendragon). Nel 2011, per l’editore Foschi, il suo secondo romanzo Milano a mano armata (vincitore del premio “Lomellina in giallo” 2012) con prefazione di Eraldo Baldini. A Gennaio 2013 è la volta di A casa del diavolo (TimeCrime Fanucci) finalista al premio Nebbia Gialla 2013. Del 2014 è Io la troverò, Feltrinelli. Collabora con numerose riviste e blog letterari e ha partecipato, con i suoi racconti, a numerose antologie.
Per la serie Testo a fronte di Succedeoggi ha scritto L’ultima volta.