A proposito della Mostra
La nicchia di Venezia
Il cartellone della rassegna veneziana punta molto sui vezzi dei cinefili e poco sui gusti del pubblico. Malgrado Martone, Bogdanovich e Fatih Akin
A dimostrazione che dalla politica non solo non se ne esce ma spesso se ne muore, prima di entrare nel merito dei contenuti della prossima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia non possiamo fare a meno di citare le parole del Presidente della Biennale Paolo Baratta: «Nel mondo vi era il pericolo che un fenomeno di questo genere, (lo scandalo Del Mose, ndr) in una città non grande potesse intaccare anche lo svolgimento di attività di istituzioni come la nostra. Francamente questo non è successo e noi vorremo che la nostra azione fosse ancora una volta considerata come punto di riferimento per la rinascita anche istituzionale, politica, morale che la città, che ha subito un serio colpo, deve compiere». Onestamente ce la saremmo risparmiata. Primo perché distoglie l’attenzione dalla gravità dello scandalo che si vorrebbe già assorbito, secondo perché assorbito non lo è affatto, e non sarà certo un Festival di cinema a dover elaborare un lutto del genere.
Il quale Festival dà adito a qualche perplessità. Come avevamo già segnalato nel commento sui Leoni d’oro alla carriera che ci erano sembrati particolarmente di nicchia (Thelma Schoonmaker e Frederick Wiseman), ci sentiamo in dovere di rimarcare in questo senso la coerenza del Direttore Alberto Barbera. Il quale, dopo avere ricordato che due dei film più attesi, quello di David Fincher e quello di Paul Thomas Anderson sono finiti al New York Festival per motivi prettamente commerciali, ha inanellato una teoria infinita di «straordinario» e «sorprendente» che, come ci ha suggerito un esimio collega, ha ampiamente superato le due dozzine. Straordinari e sorprendenti erano ovviamente tutti i film, non solo i venti in concorso ma anche quelli fuori dalla competizione e presenti nella sezione Orizzonti.
La coerenza barberiana di cui sopra va ricercata nelle scelte operate insieme ai suoi selezionatori, piuttosto in linea con quella nicchia pure di cui sopra. La verità è che giudicare la qualità di un programma dai titoli e dai nomi dei registi è sempre un grosso rischio, ed è soprattutto un peccato di supponenza. Alcune osservazioni ci sembrano però necessarie. Ad esempio ci piace molto l’eterogeneità del fuori concorso, con una serie della HBO, con horror, animazione e il gradito ritorno di Peter Bogdanovich (nella foto). Oddio, di Lars Von Trier avremmo fatto molto volentieri a meno e ci vengono dei brividi, considerati i precedenti, sentendo il nome di James Franco il quale, a nostro sommesso avviso, segue più la deriva del divertente cazzone che quella dell’autore impegnato e sperimentatore. Sempre in grande considerazione va tenuta Orizzonti, voluta competitiva proprio da Barbera per farla così diventare l’altra faccia della medaglia del concorso principale.
Concorso principale che, confermando le anticipazioni della stampa, presenta tre titoli italiani: Il giovane favoloso di Mario Martone (interpretato da Elio Germano, nella foto accanto al titolo), clamorosamente rimbalzato da Cannes, Anime nere di Francesco Munzi e Hungry Hearts di Saverio Costanzo. Naturalmente «straordinari e sorprendenti». Nomi interessanti ce ne sono, manca quello che ti fa dire: non vedo l’ora di vederlo, anche se in verità The cut di Fatih Akin e soprattutto Tsukamoto e il suo Nobi (Fires on the plane) ci intrigano molto. Siamo piuttosto terrorizzati da Abel Ferrara e dal suo Pasolini, perché immaginiamo che non ci darà scampo, in un senso o nell’altro. La sensazione è che in questo concorso ci sia molto rigore, che a volte fa rima con grigiore. Ma come sempre, sarà perché confidiamo nel Direttore, siamo convinti che alla fine il bicchiere ci sembrerà mezzo pieno. Sperando che sia di buon vino e non d’insipida acqua.