Storia di un patrimonio perduto/2
Riaprire i Navigli
Riportare le vie d'acqua a Milano o, più semplicemente, ricordarle con dei segni urbanistici? L'interrogativo è diventato di sorprendente attualità grazie ai progetti nati con l'Expo
Nell’articolo precedente ho ricordato il ruolo del sistema dei Navigli nella storia di quella che tra poco si chiamerà la città metropolitana di Milano. La quasi totalità dei canali e degli specchi d’acqua che caratterizzavano il capoluogo è stata interrata e ricoperta in varie riprese tra il 1929 e il 1970; oggi si parla (vedremo in quali termini) di restituire, se non l’intero sistema, almeno i suoi tratti principali alle funzioni originali. È nato un dibattito vivace, che ha coinvolto sia gli addetti ai lavori che la cittadinanza, anche in vista di EXPO 2015; qui cercherò di riassumerlo nei suoi termini essenziali. I progetti sul tappeto sono parecchi e si possono innanzi tutto classificare a seconda dell’orizzonte geografico di riferimento: se l’intera area settentrionale del Paese, o piuttosto il territorio circostante la città e più o meno riconducibile ai confini provinciali.
Tra il 1854 ed il 1859 i piroscafi di linea gestiti dal Lloyd Austriaco collegavano Trieste a Locarno lungo il Po, il Naviglio Pavese, il Naviglio Grande, il Ticino e attraverso il lago Maggiore: la tela riprodotta qui accanto mostra il Contessa Clementina nel porto di Pavia… Allo stato attuale questo non è più possibile. Il collegamento tra il Ticino ed il Naviglio Grande può realizzarsi soltanto attraverso il Canale Industriale e la diga del Panperduto, località così chiamata nel medioevo perché i milanesi più prudenti ritenevano che per lo scavo in quel sito fosse stata sprecata una quantità di denaro … Entrambi questi tratti attualmente non sono agibili per battelli turistici e di crociera. L’ostacolo maggiore si trova però più a Sud lungo il corso del Po, all’altezza dell’isola Serafini, dove un meandro del fiume è stato “tagliato” negli anni ’60 per generare un salto d’acqua destinato ad alimentare la centrale idroelettrica. È stata realizzata una conca che avrebbe dovuto garantire almeno 3,2 mt d’acqua dal fondo; ma il letto del Po si è progressivamente abbassato, e la conca normalmente è pressoché asciutta.
Il progetto di collegare la Svizzera all’Adriatico non è dunque di immediata realizzazione: si richiederanno importanti investimenti per le opere necessarie tanto a monte che a valle: soltanto per la nuova conca sul Po è prevista una spesa di 47 milioni. Comunque gli interventi sono stati approvati, e in molti casi i cantieri sono già aperti.
Spostiamoci ora verso Milano e i suoi immediati dintorni. Come mostra la figura a sinistra, sotto il suolo cittadino scorre un insospettabile dedalo di corsi d’acqua: il Seveso che si congiunge con la Martesana e viene successivamente incanalato nel Redefossi, l’Olona o quello che resta, dopo che è stato deviato, il Nirone, il Grande Sevese, la Vettabbia ed altri ancora. Guardiamo ora la figura qui sotto: riaprire i Navigli significa essenzialmente ripristinare il collegamento idraulico tra il punto D e la Darsena (H). Nel tratto D-F in rosso l’antica fossa interna è stata innanzi tutto coperta e poi, negli anni ’60, interrata conservando però la struttura originaria (sponde, rivestimenti ecc.); più a valle il tratto giallo F-H è andato completamente distrutto e deve perciò essere scavato di nuovo.
Come si è detto, le proposte sono numerose. Tra le principali quelle di Umberto Vascelli Vallara, di Giovanni Cislaghi e Marco Prusicki, e – last but not least – di Antonello Boatti. Le ha riassunte di recente Jacopo Gardella in un curioso dialogo fittizio tra un architetto ed un urbanista: «Vallara […] non crede nella possibilità di riaprire i Navigli né di farvi scorrere, come una volta, l’acqua corrente. Propone tuttavia di ricordare e di rendere noto il loro intero percorso, che – come sai – si svolgeva all’interno della città, intorno al centro storico. Per fare ciò Vallara pensa di lasciare un segno e di mettere in evidenza questo percorso, segnandone una traccia di colore azzurro brillante, sull’asfalto delle strade che oggi ricoprono la vecchia Cerchia dei Navigli. Pensa anche di segnalare i luoghi in cui si trovavano opere di particolare importanza (ponti, conche, laghetti); e di esporre pannelli e tabelloni contenenti grafici, disegni, fotografie, e ogni altra notizia – tecnica, storica, urbanistica – necessaria a illustrare l’opera idraulica oggi scomparsa».
Secondo Vallara, le opere dell’uomo che sono state rimosse hanno perso il valore di “testimonianza materiale”; ma il loro valore simbolico può rivivere in altre forme. Ad esempio, la Bastiglia è stata abbattuta il 14 luglio 1789; oggi, per conservarne la memoria, è stata recentemente tracciata sul suolo una parte del perimetro. In sostanza Vallara propone info-points disseminati lungo l’antico percorso e segni sulla pavimentazione che richiamino l’idea dell’acqua che vi scorreva una volta.
Torniamo ora a Gardella, e alla proposta di Prusicki e Cislaghi: essi vorrebbero realizzare «un’ampia distesa d’acqua navigabile, tangente al Naviglio Grande, ed estesa nell’area oggi occupata dai binari della Stazione di Porta Genova. Il loro grande merito consiste nell’aver compreso che il ritorno dell’acqua potrebbe ridare vita e bellezza alla nostra brutta Milano. Tuttavia si può fare ancora di più». E “fare di più” è certamente l’obiettivo di Antonello Boatti, che propone non soltanto la riapertura completa della fossa interna; ma anche lo scoperchiamento del tratto della Martesana in via Melchiorre Gioia. In sostanza un canale largo 4,2 mt nel punto più stretto all’incrocio tra via Molino delle Armi e corso Italia (un rigagnolo, secondo i detrattori del progetto …), accanto al quale sono disposte la corsia per il traffico autoveicolistico da un lato, e la pista ciclabile dall’altro. Ancora: si prevede la costruzione di un ponte davanti alla storica chiesa di san Marco per assicurare il collegamento con via … Pontaccio (come si vede, il mondo dell’acqua ha per così dire impregnato i toponimi milanesi).
Sono evidenti gli enormi problemi impliciti in questa soluzione radicale: dai posteggi (un tempo alle case e ai grandi palazzi prospicienti il Naviglio in via Senato, Francesco Sforza ecc. si accedeva dal retro) al traffico urbano – anche se l’apertura della futura linea 4 della metropolitana dovrebbe rendere meno critica la situazione. Per non parlare ovviamente dei costi, attualmente non stimabili con precisione, e dei tempi di realizzazione, che certamente non saranno inferiori ai 10 anni. In proposito commenta Gardella: «La riapertura dei navigli interni, si sa, è costosa. È anche difficoltosa sotto l’aspetto tecnico-costruttivo. Tuttavia, mentre le difficoltà tecniche sono sempre superabili, quelle economiche, al contrario, devono essere valutate ed affrontate con scrupolosa attenzione. Chi metterà i soldi necessari alla riapertura dei Navigli? E per quale motivo dovrebbe investirli? Il Comune in questo momento (ma anche domani) di soldi non ne avrà mai in quantità sufficiente. Ai privati non si può chiedere un investimento di tale dimensione, che sia senza riscontro economico. Non resta che trasformare l’operazione di apertura dei Navigli in un progetto finanziariamente redditizio: dare ai privati la possibilità di guadagnare, cioè di ricavare un profitto. Soltanto così essi saranno invogliati a costituirsi in Società per azioni, avente come scopo sociale la navigazione sul Naviglio. A questo punto per loro non sarà più utopistica la prospettiva di ricavare un utile dal loro investimento. […] Il solo modo per ottenere una possibile riapertura dei Navigli, sia interni che esterni, consiste nel ridare a loro una funzione utile, che non sia solo turistica. A ben guardare anche questo utilizzo eminentemente pratico è un ritorno alla Storia, giacché i canali del passato non erano stati scavati a scopo decorativo ma per trasportare merci e carichi pesanti; erano nati, in conclusione, per scopi pratici e di pubblico servizio. Lo stesso obiettivo dobbiamo porci noi oggi: riaprire i canali, scoperchiare i Navigli, riattivare la Darsena, non soltanto perché la presenza dell’acqua abbellisce il volto della città, ma anche perché l’uso dell’acqua migliora le condizioni di traffico all’interno e all’esterno della stessa città».
Su queste ultime considerazioni è lecito in parte dissentire. Appare molto difficile supporre che la via d’acqua proposta da Boatti e dai suoi collaboratori possa fungere in misura consistente come alternativa al percorso stradale per il traffico urbano, così come accade per la rete di canali connessa al Canal Grande a Venezia. Imbarcazioni in grado di trasportare un numero ragionevole di passeggeri (almeno una ventina) non possono essere larghe meno di 3 metri e lunghe meno di 10: e la strozzatura sopra illustrata di via Mulino delle Armi non solo consentirebbe il passaggio di una sola imbarcazione alla volta; ma obbligherebbe ad un sensibile rallentamento per la difficoltà della virata nella “piega a gomito” del canale. Vincoli poco compatibili pertanto con le necessità di un servizio continuato di trasporto pubblico.
Diverso il discorso relativo al turismo, o meglio: a quel turismo “dolce” che potrebbe trovare un impulso decisivo da EXPO 2015. Il bateau-mouche che partisse dalla Conca delle Gabelle prossima al cuore della città – per discendere alla Darsena, di qui entrare nel Naviglio Grande e percorrerlo in direzione del Ticino sino a Boffalora – consentirebbe di attraversare con calma una regione sconosciuta non solo al turismo di massa, ma anche a molti milanesi, caratterizzata da una agricoltura straordinaria e da ben 64 monumenti disseminati lungo poche decine di km tra l’acqua e la campagna (per non parlare dei luoghi di culto degni di attenzione)… Una simile concentrazione si trova soltanto in pochissimi siti in Italia, come lungo la valle del Brenta, attorno a Vicenza e a Firenze: tutte zone assai più frequentate e note al turismo anche internazionale, purtroppo, di quanto non sia questo straordinario angolo della Lombardia (la foto sopra mostra Palazzo Archinto a Robecco sul Naviglio).
Per concludere, i milanesi non si occupano oggi soltanto dei corsi d’acqua alla superficie; ma si preoccupano anche per quelli che scorrono sotto terra. Uno di questi – il Seveso – costituisce tuttora una minaccia grave: tanto per fare un esempio, l’esondazione del 18 settembre 2010 (la terza nello stesso anno) ha costretto l’amministrazione comunale alla chiusura per 10 giorni di 3 stazioni della linea M3 della metropolitana (con allagamenti e detriti fino a 7-8 metri nella fermata “Sondrio”) e alla sospensione di alcune linee tranviarie, oltre che a registrare ingenti danni nel cantiere della nuova linea metropolitana M5. Il motivo di questi disastri è apparentemente banale: la capacità idraulica dell’alveo all’ingresso in città a Nord, dove inizia il tratto coperto, è attualmente di 135 m3/s. Purtroppo il corso d’acqua subisce una strozzatura sotto piazzale Istria, che ne limita la portata a 45 m3/s: se però si tiene conto dell’inevitabile riduzione della luce dell’alveo dovuta ai detriti ed ai depositi delle acque, non sembra irrealistico ridimensionare il precedente valore a 35-37 m3/s. Come si vede nella foto sopra, in questi casi l’acqua in più da qualche parte deve pure andare… Attualmente il grave problema è affrontato mediante la realizzazione di invasi sussidiari; ma la soluzione definitiva non è vicina.
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