Poesia&Pittura da sabato in mostra a Napoli
Per voce e colore
Interiorizzare la tecnica fino a renderla naturale, e solo allora abbandonarsi all'ispirazione. È così che dalla collaborazione tra il poeta Roberto Gaudioso e l’artista Emanuele Gregolin è nata “Precessione”, dove la contraddizione trova equilibrio e la complessità diventa semplice...
Negli anni ho visto centinaia di volte la luna riflettersi sul mare della costiera amalfitana, mentre l’odore del gelsomino, dei limoni e l’aria marina mi inebriavano come solo in quel luogo può accadere. Quante notti, quanti bicchieri di vino, quanti racconti ho sentito sotto quel pergolato di quella casa con le cupole bianche che mia nonna comprò alla fine degli anni Quaranta perché le ricordava quell’Iran che aveva da poco lasciato per sposare un diplomatico italiano. È sotto quelle foglie che per lunghe sere ho discusso, a volte, perfino litigato, con Roberto Gaudioso, poeta, dottorando in Letteratura Swahili all’Università di Napoli L’Orientale, parlando di poesia e scrittura. Le sue ricerche comprendono la poesia contemporanea tra oralità e scrittura e la traduzione letteraria. Ha scritto alcune raccolte poetiche tra cui: Camere Contigue (2008, prefazione di Camilla Miglio); DNA (Osnago 2012, Pulcinoelefante), libro d’arte con illustrazioni di Emanuele Gregolin; Precessione e Faglie (entrambe 2014 con l’artista Emanuele Gregolin, prefazione di Sara Fontana, postfazione di Aldo Gerbino). Sabato 31 maggio alle ore 18.00 al Palazzo Partanna in Piazza dei Martiri, Napoli, ospiti dell’Ente Provinciale per il Turismo, il poeta Roberto Gaudioso e l’artista Emanuele Gregolin inaugureranno la mostra Precessione. Saranno presentati, inoltre, da un intervento critico di Pasquale Lettieri e performance di Anna Carla Broegg, i libretti Precessione e Faglie.
Quando hai cominciato a far poesia e quali sono le tue fonti di ispirazione?
Da bambino, ricordo che per alcune poesie avevo previsto una sorta di musica, pensavo che fossero da cantare, mentre altre da recitare. Ero molto piccolo, poi smisi di scrivere e ripresi durante il liceo. Non saprei dire quali siano le mie fonti di ispirazione, è una voce, un’intuizione. Parte tutto da poche parole o alcuni versi, mi capita sia a casa sia per strada, quando mi succede devo scrivere, non posso aspettare. Una volta, ero a Berlino, ho appuntato dei versi sul palmo di una mano. Per esempio la poesia “Pignasecca” in Faglie l’ho scritta tra la folla in Piazza Montesanto, “Bagamoyo” al buio pesto di Bagamoyo e ho scoperto solo il giorno dopo cosa avevo scritto.
Nelle tue poesie si percepisce Napoli, ma anche l’Africa dell’est. È possibile conciliare questi due mondi?
L’arte può farlo o almeno tentare, per il resto restano due mondi diversi. L’umanità, nonostante la rigidità dei confini statali moderni e contemporanei, ha sempre viaggiato e ciò che chiamiamo Africa è un’etichetta, così come Europa, Italia o Tanzania, è tutto simile, ma niente è uguale. Utilizziamo la similitudine per spiegarci secondo il nostro mondo qualcosa di lontano, per capire, ma poi nel nostro piccolo, sia individuale che comunitario, costruiamo le nostre identità per negazione, “io non sono”, “noi non siamo”, per differenziarci da una persona o da un altro gruppo.
Mille artisti hanno scritto di Napoli, è difficile scrivere di una città che ha affascinato centinaia di scrittori? Non si sente il peso di chi ha scritto prima di te?
Come dicevo prima non posso pensarci, non ho mai pensato “ora scrivo qualcosa su Napoli”, è venuto, è quello che vivo.
Come nasce il progetto della mostra? Cosa ti lega al pittore milanese Gregolin?
Ho conosciuto Emanuele poco meno di un anno prima di partire per la Tanzania, fui folgorato dai suoi colori, i suoi rossi e poi l’uso del nero. Ho cercato di capire il suo mondo, a tratti sentivo una claustrofobia data dai suoi ambienti chiusi, gli interni che dipinge. Volevo capire l’uso che fa del rosso. Il nostro rapporto è fatto soprattutto di confronto e dialogo a voce. Così è nato il progetto.
Le poesie e i quadri trasudano erotismo, pessimismo, vitalità, morte e vita. Sentimenti appartenente contraddittori che trovano invece un equilibrio profondamente vitale.
Forse, almeno su un piano, si incontrano e scontrano nell’esistenza, per il fatto stesso che colpiscono la nostra percezione. Ci sono tante possibilità, non credo che l’arte debba fare proselitismo politico-ideologico, né religioso o mistico, tantomeno morale o etico, queste possono essere parte di una poetica, ma se diventano predominanti, allora questa diventa didattica, l’autore si mette su un piedistallo, crede di essere una guida, per me invece è un mezzo. Credo che l’arte debba aprirsi alla percezione del lettore, l’autore può solo sospettare la completezza della propria opera d’arte. L’autore è colui che ha la visione più parziale della sua opera rispetto ai suoi fruitori, quindi uno dei meno indicati a parlare di essa. Facendo una provocazione, mi viene da pensare che sarebbe più interessante intervistare qualcuno che viene a vedere la mostra piuttosto che me o Gregolin.
La poesia, l’arte e la pittura possono cogliere con una pennellata o con poche righe sentimenti o realtà di una complessità tale che alcuni studiosi non riescono a spiegare in una vita di sudi. Non c’è nulla di più difficile che saper far intuire la complessità con semplicità?
L’arte è anche disciplina e tecnica, non è pura ispirazione, ci si può abbandonare a quella solo quando si interiorizza così tanto la tecnica che essa appare qualcosa di naturale. Questo vale anche per le persone che non hanno avuto un’istruzione scolastica o accademica, si può interiorizzare la tecnica in modo inconscio, per esempio per emulazione o attraverso una “familiarità” con un’opera d’arte, di qualsiasi genere essa sia. Questo non vale per chi ne fruisce, per lo spettatore, l’arte è leggibile in vario modo, ci fa scoprire altre forme della nostra conoscenza, come l’intuizione. Non leggo mai nulla prima di una mostra o, per esempio, prima di un viaggio, mi lascio sorprendere dal luogo e da ciò che le persone che lo vivono mi vogliono far scoprire. Del resto si può tornare sempre in una città o a vedere un’opera d’arte, ma non si può ripetere l’emozione data dal primo incontro, la scoperta di qualcosa che non è conosciuto, sconosciuto.
Che vuol dire essere giovani poeti oggi?
Si muore di fame, nessuno sa che esisti e amici e parenti ti utilizzano per i biglietti di auguri o per quei versi “poetici” riportati dietro alle immagini che ricordano i defunti e che si distribuiscono al trigesimo della loro morte.
il mio sistema immunitario un’insidia è
per il mondo lo disintegro pian piano
un rivolo magmatico scava vene e arterie
che goccia a goccia il mare si faccia sangue
la terra carne roccia ossa atmosfera respiro
tradurre per me in me non senza eruzioni
e bradisismi perdono resto noncolpevole
con la mia colpa viva un tempo arriverà
a spazzar via le distanze io il mondo