Dalle Polaroid ai ritratti, una mostra a Parigi
Mapplethorpe in 3D
Amava a tal punto Michelangelo Buonarroti da ammettere: «Se fossi nato duecento anni fa, avrei potuto fare lo scultore. Ma la fotografia è un modo assai più veloce di scolpire». Come testimoniano le 250 immagini esposte al Grand Palais del grande e discusso fotografo americano...
Qualunque cosa fotografasse, era come se stringesse in mano uno scalpello. E la luce che riusciva a materializzare rendeva qualsiasi superficie calda, a un soffio dalla tridimensionalità: fosse pelle, oppure petali di calla. «Quello che cerco è la perfezione dentro la forma. Un soggetto piuttosto che un altro, non fa differenza. Catturo con l’obbiettivo ciò che istintivamente mi appare scultoreo». Amava a tal punto Michelangelo Buonarroti da ammettere: «Se fossi nato duecento anni fa, avrei potuto fare lo scultore. Ma la fotografia è un modo assai più veloce di scolpire». Fra gli indiscussi maestri dell’arte fotografica c’è lui, con i suoi bianchi e neri che svelano corpi nudi, ritratti, nature morte. Al di là della pulsione erotica che ha reso inconfondibili parecchi suoi scatti, la mostra Robert Mapplethorpe propone fino al 13 luglio al Grand Palais di Parigi 250 foto (dalle Polaroid d’inizio anni Settanta, alla ritrattistica degli Ottanta) che sottolineano il classicismo dell’artista nato nel Queens newyorkese e l’ossessiva ricerca del sublime estetico.
Nell’autoritratto/testamento del 1988 che “dà il La” emotivo all’intera esibizione, Mapplethorpe stringe in pugno un bastone da passeggio che termina con un teschio. È la morte, a preannunciarsi. E quel bastone serve a sostenere i suoi passi sempre più malfermi, calpestati dall’Aids. Il volto da giovane uomo già vecchio, su fondo nero e leggermente fuori fuoco, sta per raggiungere l’aldilà. Mai tecnica fotografica fu più appropriata, per raccontarci un addio d’autore. Addio, dopo una vita sessualmente estrema, che si consuma il 9 marzo ’89 a Boston, a soli 43 anni, dopo un intrecciarsi di furiose polemiche: come definire il suo lavoro, arte o pornografia? Musei e gallerie, intenzionati a esporre le sue foto, avevano dovuto fare i conti con le organizzazioni conservatrici e i movimenti religiosi che si opponevano ai finanziamenti pubblici. Alcune foto in particolare, tratte dalla serie Portfolio X ad alto quoziente omoerotico e sadomasochista («Il lavoro sulle immagini pornografiche? Per quanto mi riguarda è un territorio ancora inesplorato. Sessualità esplicita? Sì, ma filtrata dall’occhio dell’arte»), sono visibili nell’ultima parte del percorso espositivo in una “camera oscura” vietata ai minori.
Sulle pareti non scandalose, invece, si sviluppa la poetica, “michelangiolesca” plasticità dei corpi dei suoi amanti di colore contrapposti a scatti alle statue dell’antica Grecia (al Musée Rodin, fino al 21 settembre, avrete fra l’altro modo di assistere al confronto Mapplethorpe Rodin con altre immagini di nudi che “dialogano” coi bronzei capolavori dello scultore parigino). Tornando al Grand Palais, c’è poi l’eburnea muscolarità della magnifica serie dedicata alla bodybuilder Lisa Lyon, amica sincera dell’artista come la rockeuse Patti Smith capace di farlo innamorare al Chelsea Hotel di New York, fotografata sulla copertina dell’album Horses (’75) e in mille altri atteggiamenti: teneri, sfrontati, selvaggi, timidi. Dopo essere passato dalla Polaroid alla macchina fotografica Hasselblad, Robert Mapplethorpe ha ricercato la perfezione persino negli sguardi, nell’increspatura di un viso, nell’enigmaticità di un’espressione.
Scandagliando splendori e miserie della Big Apple anni Ottanta, ha ritratto l’iconica imperscrutabilità di Andy Warhol, la disarmante spontaneità di Keith Haring, il fascino glaciale di Grace Jones, il pudore di Susan Sarandon, l’attonito stupore di Iggy Pop, il glamour di Deborah Harry dei Blondie, l’allure romantica di Isabella Rossellini, la lucida follia d’un disossato Wlliam Burroughs che imbraccia il fucile… E poi si è narcisisticamente ritratto: nudo e sadomaso, luciferino, truccato da femme fatale, con la sigaretta fra le labbra come un James Dean dei bassifondi. Infine, gli still life. Catturati da creatore d’immagini e poeta, piuttosto che da fotografo e documentarista. Fiori “archiviati” in serie, accarezzati dalla luce, sorpresi nell’atto di sbocciare. Petali e delicati pistilli che alludono, con voluttuosa eleganza, agli organi sessuali. Anteponendo, ancora una volta, la forma. Assolutamente perfetta.